Quello che Giacomo sta disegnando davanti ai suoi destinatari è un cammino cristiano di perfezione, ma è un cammino possibile per tutti.
Non rinunciate…
Giacomo 1 16 Non ingannatevi, fratelli miei carissimi; 17 ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. 18 Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Una difficoltà per il credente potrebbe essere rappresentata dalla tentazione di rinunciare al cammino di perfezione perché non ci si sente all’altezza, temendo di non avere i doni per compierlo.
Questo pensiero è sbagliato secondo Giacomo, perché Dio ha dato a tutti i doni per realizzare la propria vocazione: “non ingannatevi fratelli: ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal cielo” (1,16).
Quando ci sembra di non farcela non è perché Dio non ci ha dato i “doni”, ma perché non abbiamo conosciuto quei doni, perché ci siamo fatti condurre dalle “passioni”, perché non abbiamo imparato la “sapienza di Dio”, perché abbiamo ceduto alle prove e alle tentazioni.
Ma Dio continua a donare, sempre, in Lui, nella sua volontà di donarci il necessario per realizzare la nostra vocazione all’amore non c’è “variazione né ombra di cambiamento” (1,17).
La perfezione cristiana: essere se stessi
Non dobbiamo fare l’errore di pensare che essere perfetti voglia dire essere tutti uguali. Può capitare infatti di non sentirsi capaci o all’altezza della chiamata di Dio, perché ci confrontiamo con gli altri.
La perfezione di cui parla Giacomo non è una misura standard a cui tutti sono chiamati, per cui ci sarebbero alcuni più perfetti di altri a seconda di quanto riescono a realizzarla per essere buoni. La perfezione è vivere quello a cui Dio ci ha chiamati, diventare quello che siamo, cioè sviluppare i doni che portiamo dentro e realizzare noi stessi.
C’è un aneddoto, relativo al rabbi polacco Sussja (+ 1800) il quale, giunto verso la fine della vita, diceva:
Nel mondo futuro non mi si chiederà: Perché non sei stato Mosè?
Mi si chiederà invece: Perché non sei stato Sussja?
È questo il senso anche della domanda di Dio all’adamo originario, e quindi a ciascuno di noi: Dove sei? Sei dove io ti ho chiamato ad essere? Sei te stesso?
Libero arbitrio
Le parole di Giacomo in 1, 17-18 mettono in guardia da altri due atteggiamenti che non permettono di percorrere questo cammino di perfezione: il fatalismo e la credenza nell’astrologia.
Questi due atteggiamenti sono molto comuni e per certi versi simili, perché entrambi scaricano la persona dalla responsabilità delle proprie decisioni e azioni, attribuendo al “fato” o all’influenza delle stelle o di forze occulte il compimento del proprio “destino”.
Quando Giacomo dice che in Dio è “Padre delle luci”, che in lui “non c’è variazione né ombra di cambiamento”, usa in greco termini astronomici, proprio per fugare ogni credenza nell’esistenza del fato e nell’influenza deterministica delle stelle.
Questi due atteggiamenti non vanno banalizzati, perché rivelano il bisogno che c’è in ognuno di noi di sentirsi al riparo dal peso delle responsabilità, di avere una spiegazione per il mistero della vita che a volte non è come vorremmo, attribuendo ad altro la ragione di quanto ci accade.
Per i credenti il mondo e le stelle sono soggette al controllo divino, e l’uomo è stato creato libero da Dio, che gli ha affidato la responsabilità della scelta tra il bene e il male, e quella della realizzazione della propria vita. E il credente sa che in questo cammino Dio lo assiste con la sua saggezza e con “la parola della sua verità”, che è il principale dei doni che vengono dall’alto (1,16).