Lettura continua della Bibbia. Lettera di Giacomo: la parola dell’uomo (Gc 3,1‐18) 

La parola dell'uomo
Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Nel capitolo tre Giacomo affronta un particolare aspetto del comportamento che può ostacolare il cammino di perfezione: la lingua. L’uomo perfetto infatti, “non inciampa a causa della lingua”, e per questo dimostra di avere il potere di “condurre tutto il suo corpo” (3,2). Il capitolo in realtà inizia con un invito a non, diremmo noi, fare i maestrini

Capitolo 3 1 Fratelli miei, non siate in molti a fare da maestri, sapendo che riceveremo un giudizio più severo: 2 tutti infatti pecchiamo in molte cose.

Giacomo annovera anche se stesso nella categoria dei maestri, ammonendo che si tratta di un ufficio rischioso: per la conoscenza di cui necessita, attirerà un giudizio più severo che nei riguardi degli altri.

Essendo un ministero della Parola, comporta il rischio di usare male la parola stessa. Giacomo arriva a dire che chi non commette peccato con essa si dimostra giunto alla perfezione, perché è capace di dominare tutto se stesso.

La parola dell’uomo: il dominio della lingua

3,2 Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. 3 Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. 4 Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. 5 Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! 6 Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna.

7 Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, 8 ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. 9 Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. 10 Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei! 11 La sorgente può forse far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? 12 Può forse, miei fratelli, un albero di fichi produrre olive o una vite produrre fichi? Così una sorgente salata non può produrre acqua dolce.

Giacomo associa il termine “lingua” (3,2.5.6.8) ad una serie di immagini efficaci:

  • la lingua è ciò che “guida l’intero corpo” (3,2);
  • è la briglia o il morso con cui si guidano i cavalli (3,3);
  • è il timone che orienta il cammino della nave (3,4);
  • è un membro che ha la forza di un fuoco (3,5);
  • ha il potere di vantarsi (3,4), di contaminare e incendiare tutta la nostra vita (3,6).

Può essere infatti “indomabile”, “un male senza posa”, “piena di veleno”, strumento con cui si benedice o si maledice; un albero che può dare frutti buoni o frutti cattivi; “un mondo di male” (3,5).

Questo perché il modo con cui attraverso le parole ci mettiamo in relazione con gli altri determina la qualità delle relazioni, producendo il male o può produrre il bene. Infatti, quando dice che la lingua è un “mondo di male”, esorta: “le cose non devono andare per forza così” (3,10).  Il modo di comunicare può e deve esprimere la sapienza di Dio (3,13).

L’immagine finale della lingua come una “sorgente” (3,11) si colloca sulla linea dell’insegnamento di Gesù che afferma che “è ciò che esce dalla bocca che rende l’uomo impuro” (Mt 15,11), perché “ciò che esce dalla bocca viene dal cuore. Dal cuore infatti provengono propositi malvagi, omicidi, adulteri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie” (Mt 15,18). Dal cuore, dai suoi pensieri, dalle sue parole sono determinate le nostre azioni, quindi solo purificando il cuore si potrà essere perfetti nel senso in cui lo intende Giacomo.

La sapienza che viene dall’alto

13 Chi tra voi è saggio e intelligente? Con la buona condotta mostri che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza. 14 Ma se avete nel vostro cuore gelosia amara e spirito di contesa, non vantatevi e non dite menzogne contro la verità.

15 Non è questa la sapienza che viene dall’alto: è terrestre, materiale, diabolica; 16 perché dove c’è gelosia e spirito di contesa, c’è disordine e ogni sorta di cattive azioni.

17 Invece la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera. 18 Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia.

In Gc 3,13 l’apostolo esorta i credenti a “mostrare con la buona condotta che le sue opere sono ispirate a mitezza e sapienza”. Di fronte a questo occorre domandarsi: Che sapienza esprime ciò che dico e faccio? Viene da Dio? Che cosa abbiamo davvero nel cuore? La sapienza che viene dall’alto è mite, non perché significhi arrendevolezza o passività, ma perché vede le cose con lo sguardo di Dio, uno sguardo di misericordia cui si mostrano contrari invidie, divisioni e gelosie. Quando mancano pace, mitezza, misericordia e giustizia, invece, ciò significa che il nostro modo di vedere e di relazionarci non è ispirato dalla sapienza di Dio, e il nostro cuore deve ancora essere purificato.