
L’ultimo insegnamento nel viaggio di Gesù verso Gerusalemme è in Luca la parabola delle mine, parallela alla parabola dei talenti in Mt 25,14-30.
La mina è una moneta d’oro che ha un valore considerevole equivalente a cento dracme o denari, il salario di 100 giornate di lavoro, anche se molto inferiore al talento. È Matteo l’evangelista che ha un debole per le forti somme e menziona molte volte il denaro nel suo Vangelo, indizio forse della sua deformazione professionale… Ma il problema dell’uso delle ricchezze sta molto a cuore a Luca, come abbiamo visto più volte. Il senso generale della parabola è chiaro: bisogna essere abili con ciò che abbiamo, per poter ricevere un buon posto nel Regno.
Nell’attesa del re
Nella parabola l’attesa della venuta finale del Regno sembra breve inizialmente, invece dura molto di più, e si complica perché i sudditi approfittano dell’assenza del nobile, divenuto re, per ribellarglisi. Nel frattempo, i servi devono bene impiegare il tempo mettendo a frutto i beni che il padrone ha affidato loro: ciò che conta è agire bene nell’oggi, qui ed ora, seguendo la scelta di Zaccheo. Il servo infingardo non si è lasciato convincere né dall’amore per il padrone né dalla paura per i suoi castighi: è un tiepido, che non ha saputo vivere il tempo dell’attesa. È l’atteggiamento del fratello maggiore, che non riesce a capire che i beni del padre sono anche suoi. Chi riceve i beni del Signore come dono, avrà di più; chi li considera estranei, li perderà del tutto.
A differenza di Matteo, in Luca i servi ricevono tutti la stessa somma, ma il premio diverge a seconda della risposta (in Matteo è il contrario: i doni sono diversi e il premio è lo stesso per tutti). Luca mette così in luce l’impegno del servizio.