
Anche la parabola del banchetto, in Luca, è occasionata dalle parole di uno dei commensali, che pensava di aver colto un cenno al banchetto escatologico nel parlare di Gesù. “Beato chi mangerà pane nel regno di Dio”, dice un invitato (14,15).
Alle beatitudini proclamate dagli uomini Luca ribatte sempre, trovandone il vero senso. A Elisabetta che proclama Maria beata per avere creduto, Maria replica con il Magnificat in cui canta la sua piccolezza (1,45 ss.). Alla donna che proclamata beata sua madre, Gesù rivela che la vera maternità è ascoltare e osservare la sua parola (11,27 s.). A colui che adesso proclama beato chi prende parte al banchetto del Regno, Gesù risponde che tale beatitudine è accolta dai poveri, dagli infermi e dagli esclusi. Nella casa del Padre c’è posto per tutti, solo chi rifiuta l’invito si autoesclude. Chi accetterà?
La parabola del banchetto in Matteo e in Luca
La parabola del banchetto si trova sia in Luca che in Matteo, ma in forme diverse che si riferiscono a diversi contesti.
Matteo è preoccupato del rifiuto che Israele ha scelto nei confronti di Gesù come Messia. In Matteo 22,1-14 la parabola si riferisce chiaramente al rifiuto di Israele di accogliere le nozze messianiche, mentre coloro che accettano di entrare nella sala sono i pagani. Il banchetto è il banchetto di nozze del figlio del re.
Nella forma lucana, i partecipanti al Regno sono i poveri, anche se il Signore non usa rappresaglie verso i primi invitati. Questi sono rappresentati da tre figure-tipo che sono il ricco, l’affaccendato, colui che si preoccupa dei beni di questo mondo. Coloro che possiedono i beni devono “uscire a vederli” o goderli, si identificano con essi e perdono perciò se stessi. Al banchetto del Signore potranno prendere parte solo coloro che hanno il cuore povero; dopo i poveri, i passanti che entrano per ultimi rappresentano i pagani. In Luca, la parabola ha una struttura più semplice ed è incentrata sul problema del rapporto con le ricchezze.
La radicalità della scelta (25-35)
Ma prima di intraprendere la sequela accogliendo l’invito bisogna riflettere bene, perché una volta iniziata l’opera non si ammettono mezze misure e non si torna indietro. La scelta del Cristo implica una radicalità straordinaria: si tratta di “odiare” se stessi e i propri cari, di prendere la croce, di iniziare un cammino che chiede di andare sempre avanti. Perciò è necessario calcolare se se ne hanno le forze, o meglio la consapevolezza e la sincera intenzione, per non rischiare di divenire un sale insipido, una contraddizione in termini.
Non scandalizzi l’uso del verbo odiare in tale contesto: non significa ciò che intendiamo noi con questa parola. La lingua semitica sottostante al greco di Luca, fedele alla sua fonte, possiede pochi vocaboli ed è priva di sfumature, per cui ci si può esprimere solo in termini di amore e odio, senza poter parlare di preferenza, di precedenza o di priorità, che è il senso dell’espressione. Certamente la parola è esigente: Gesù infatti ammonisce di far bene i nostri conti: possiamo respingerlo, ma se lo accettiamo ci chiederà di andare fino in fondo. E non ci darà pace finché non ci avrà portato alla perfezione che desidera da noi.