
Fin dall‘epoca patristica i commentatori hanno inteso la trafittura del costato di Cristo come una rilettura di Gn 2,21-23: dal costato aperto del nuovo Adamo, addormentato nella morte, nasce la nuova Eva, la Chiesa. Questa interpretazione deve essere collegata al racconto delle nozze di Cana e può spiegare in tal modo perché, tanto nel racconto del primo segno, quello del vino di Cana, quanto nel momento estremo del cammino terreno, Gesù chiami sua madre Gynai, Donna (2,4; 19,27). Questo nome traduce l‘ebraico ’ishâ, il nome che l‘Adamo originale dà alla sua compagna. Il nome stesso implica un contesto nuziale.
La Donna di Cana e la Donna della croce
I due sposi di Cana sono solo figure sbiadite (la sposa, anzi, non è neppure menzionata) che servono a rimandare a significati ben più profondi, gli sponsali del Cristo con l‘umanità, mentre la Sposa nuova è insieme la Madre dello Sposo e la Chiesa. Maria che, all‘inizio, ha servito da matrice al corpo biologico di Gesù, al termine, donando suo Figlio, diviene madre del Discepolo (Gv 19,27), cioè del popolo dei credenti, corpo del Cristo.
Non si può interpretare correttamente il ruolo della Donna di Cana se non in relazione con il ruolo della Donna ai piedi della croce. Nella prospettiva giovannea, ai piedi della croce, “sua” madre diviene “tua” madre (Gv 19,25.26.27), la madre del Discepolo che rappresenta tutti i discepoli, in quello che Ignace De La Potterie chiama “un trasferimento di proprietà”. In Maria, che è se stessa ma anche il popolo di Dio, si compie la sinagoga e comincia la Chiesa.
La Madre
Non è un caso che il primo personaggio nominato nella pericope di Cana, il personaggio invitato al banchetto, sia proprio la Madre. È lei che è presente da subito alle nozze, il terzo giorno. È la madre ad attirare l‘attenzione di Gesù su di un fatto che il lettore già conosce: non c‘era vino (2,3). La Madre è il primo personaggio introdotto ed è quello che inizia l‘azione con le sue affermazioni. Il banchetto (messianico) è per lei: lì ella “partorisce” il Figlio che è lo Sposo. Lo partorisce
- prima riconoscendo una carenza, una sterilità: il vino messianico, che ella si aspettava per gli invitati, in realtà è esaurito, non può soddisfare i commensali, non può dare loro gioia; deve avere un‘altra provenienza;
- poi accettando una rottura, una separazione: il Figlio – Sposo – Messia non risponde alle sue aspettative, non si presenta con le apparenze e con le modalità che ella si sarebbe aspettata.
Qualsiasi cosa dica…
È un Figlio che si stacca dalla madre, seguendo il corso della propria vita, corso segnato da un‘Ora che non è quella che la Madre poteva prevedere o desiderare; ed esprime questo suo distacco con una risposta sorprendente. Ma la contro-risposta della Madre non è meno sorprendente: “Fate qualsiasi cosa egli vi dica”. Il congiuntivo ci dice che la Madre non sa che cosa il Figlio chiederà; l‘imperativo aoristo ci dice che si chiede di dare inizio ad una azione nuova.
Tutto è nuovo d‘ora in avanti. La Madre – Popolo di Dio partorisce il Messia ed insieme partorisce il nuovo Popolo di servitori della Parola. Per i discepoli si tratterà di dare inizio ad una sequela che li condurrà per vie che non conoscono. L‘assenza di nome proprio non è di per sé sorprendente: nell‘antico costume orientale, dopo la nascita del primo figlio la donna si chiamava “madre di…”. Tale assenza esprime però anche che per l‘evangelista l‘accento non è messo sulla persona di Maria, ma sulla sua funzione: è “Madre”, è “Donna”.
La Donna
Gynai (vocativo) appare nel IV Vangelo per la prima volta proprio in Gv 2,4: titolo che non indica irriverenza né freddezza, anzi viene spesso usato in un contesto elogiativo (Mt 15,28; Lc 13,12; Gv 4,21; 19,26; 20,13.15). È un nome di rispetto alla maniera semitica, secondo un uso attestato anche nel greco profano, e tuttavia generalmente veniva evitato nella sfera intima familiare. I rabbini si indirizzavano talvolta alla loro madre con tale termine, ma il termine normale da parte di un figlio sarebbe stato ’imma’– “mamma”, corrispondente ad ‘abbà – babbo.
Con la scelta dell‘altro vocabolo, che denota in certo modo distacco e distinzione dei ruoli, l‘evangelista mostra Gesù ad un piano diverso da quello della carne, e condensa così, in questa espressione, la tradizione sinottica sull‘atteggiamento di Gesù nei confronti della propria famiglia (cfr. Mc 3,33 par.; Lc 11,27 s.). Nella Madre Gesù non vede più solo colei che, come l‘antico Israele, gli ha dato la vita, ma la Donna Nuova.
La Nuova Eva
La figura della madre, a Cana e ai piedi della croce, è assai complessa. Da una parte, indubbiamente, vi è la persona storica di Maria di Nazareth, con il suo ruolo materno storico ed ecclesiale: madre di Gesù e madre nostra, è stata interpretata anche come figura collettiva del popolo di Dio, Israele, le cui attese messianiche si compiranno solo mediante la croce.
Ma una lettura di questo solo genere rischia di essere riduttiva, e deve essere completata da altri significati. L‘appellativo “Donna” allude con ogni probabilità alla Donna di Gn 3, fatta, nel Cristo, nuova creatura. Il richiamo ad Eva e alla sua inimicizia col serpente è pregnante: Gesù, infatti, come il serpente, verrà innalzato (Gv 3,14), e attirerà dal legno della croce tutti a sé, nell‘unità, come era in principio. Nel mondo simbolico giovanneo, la madre di Gesù rappresenta la Chiesa nel suo ruolo di novella Eva, madre dei credenti. In particolare, l‘azione della madre al Golgotha è quella di ricevere i nuovi Figli; a Cana, invece, è l‘azione di insegnare ai discepoli di Gesù che cosa devono fare (Gv 2,5) per ricevere il dono di Cristo, per bere il suo vino.
Cana e il Sinai

La frase di Maria, “Fate quello che egli vi dica” (2,5), riecheggia Es 19,8: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo”, come formula di alleanza mediante la quale Israele-Sposa dice il suo sì a Dio-Sposo. A Cana si rinnova l‘alleanza nuziale (cfr. Es 24,3-7; Dt 5,27; Gs 24,24; Esd 10,12; Ne 5,12); vi è qui una identificazione tra la comunità dell‘antico Israele e la madre di Gesù. E come il popolo della prima Alleanza, in quanto Sposa di Dio, veniva spesso raffigurato sotto l‘immagine di una Donna, così ora Maria è chiamata “Donna” (2,4).
Il “terzo giorno” del Sinai, il dono della Torah ebbe luogo dopo che il popolo pronunciò il suo atto di fede incondizionato. Ugualmente, “il terzo giorno” di Cana il dono del vino nuovo, simbolo della Nuova Legge che è il Vangelo, si realizza dopo che Maria ha espresso il suo abbandono confidente in ciò che dirà il Figlio. Trasmettendo quell‘invito ella ricorda ai servi la consegna essenziale per prendere parte alla mensa della Nuova Alleanza, nell‘economia pasquale del “terzo giorno”. Per godere l‘intimità col Cristo Sposo, occorre ascoltare la sua voce (cfr. 10,16), fare quanto egli dice (2,5). A. SERRA, La madre di Gesù. 510.
“In sintesi, Giovanni imprime una duplice polarità al segno archetipo di Cana: l‘una, retrospettiva, guarda al Sinai: l‘altra, prospettiva, guarda al mistero pasquale. Analogamente, anche la presenza e l‘intervento di Maria a quella mensa nuziale vanno interpretati sullo sfondo dischiuso dall‘ottica giovannea: dal Sinai alla Pasqua (ARISTIDE SERRA, La madre di Gesù in G. GHIBERTI e collaboratori, Opera giovannea, LDC, Neumann (Torino) 2003, 505- 521, 507).
La risposta di Gesù
La risposta di Gesù (2,4b) tira una linea di demarcazione fra Gesù e sua madre. La sua interpretazione è notoriamente difficoltosa. L’espressione Tí emoì kaì soí , “Che cosa a me e te”, presente anche in testi greci e in passi dei sinottici (Mc 5,7; Lc 8,28; cfr. Mt 8,29; Mc 1,24; Lc 4,34), traduce una formula ebraica, mah-lî walak, propria del linguaggio diplomatico, che serviva a focalizzare il legame tra due alleati per indicare una rottura ma anche, al contrario, un punto in comune. L‘espressione, molto vaga, può dunque significare: “Che c‘è in comune fra me e te?”, ma anche “Che cosa ci oppone?”. Il suo significato può assumere sfumature diverse a seconda del contesto e di quali siano gli interlocutori implicati, anche se un qualche elemento di durezza non può essere eliminato dalla risposta di Gesù.
La logica narrativa comporta che la madre abbia interpretato la frase non come un rifiuto assoluto, ma come un invito a riesaminare la propria richiesta in tutte le sue implicazioni. La madre rinuncia a continuare a rivolgersi al figlio esercitando su di lui la sua influenza come nel passato: la sua influenza passa ad esercitarsi a servizio di Gesù. La madre consente alla rinuncia che le viene chiesta, ma dispone anche gli altri alla sua docilità. Con questo essa passa dal suo ruolo di madre di Gesù secondo la carne a quello di madre spirituale dei fedeli.
Detto per noi
Gesù, in realtà, accoglie il desiderio di sua madre; ma la tonalità interrogativa, retorica, che non chiede una risposta, spinge alla riflessione: la decisione di Gesù di agire non verrà da un intervento umano, e sopratutto sorpasserà il livello della circostanza concreta per portarsi ad un piano superiore, secondo la missione ricevuta dal Padre. Maria, mai chiamata per nome dal IV Vangelo, non appare portatrice di questa visione riduttiva, banale, terra-terra della salvezza. In realtà, la frase detta alla Madre è detta a noi.