
L’abilità narrativa di Luca sembra inesauribile. Il racconto del naufragio (vv. 27-44) si sviluppa nel cap. 27 di Atti in tre distinti quadri temporali:la notte (vv. 27-32), l’alba (vv. 33-38), il giorno (vv. 39-44). L’articolazione da lui scelta ricorda, in questo, la celebrazione della Pasqua, come passaggio dalle tenebre alla luce attraverso l’attesa dell’alba.
La notte del naufragio
«Come giunse la quattordicesima notte»… Il computo non è fatto in base ai giorni trascorsi, ma in base alle lunghe notti passate, come se nelle ultime due settimane non si fosse mai vista la luce del sole: una notte permanente, prima ancora che tragicamente giunga la notte del naufragio. Infatti, Luca aveva precedentemente notato: «Da vari giorni non comparivano più né sole né stelle…» (v. 20).
«Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell’Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l’impressione che una qualche terra si avvicinava. Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia. Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno. Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo. Allora i soldati recisero le gomene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare» (vv. 27-31).
Si devono salvare tutti insieme. Se i marinai si ammutinano, la nave è perduta, e con essa tutte le persone presenti a bordo. I marinai non possono trovare una soluzione privata, usando una scialuppa di salvataggio. Nelle tenebre, la comunanza di vita deve continuare. La sorte è unica per tutti. Si rinuncia alla salvezza di solamente alcuni per sperare nella salvezza di tutti.