Lettura continua della Bibbia. Luca: la missione dei discepoli (10,1-24)

La missione dei discepoli
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Luca ha, in proprio rispetto a Marco e Matteo, una lunga sezione del viaggio verso Gerusalemme (cap. 10-19) che accentua ancor più il tema della divina misericordia, con la premessa già vista in 9,51-55: i samaritani non accolgono Gesù nel loro villaggio sapendo che si dirige verso Gerusalemme, ma Gesù rimprovera i discepoli che vorrebbero distruggerli. Il verbo che esprime il rimprovero di Gesù, anzi, è epetìmesen cioè minacciò: lo stesso verbo usato per indicare gli esorcismi. La tentazione dei discepoli è quella di un potere senza misericordia, che è azione diabolica. Solo la tolleranza dà frutti di salvezza.

La missione dei 72 discepoli (10,1-24)

Un brano prettamente lucano fa da introduzione alla sezione del viaggio, notevolmente ampliata da Luca (in Marco occupa solo poco spazio) e ricca di insegnamenti ai discepoli: la missione dei 72 discepoli (10,1-16), con il corollario dell’inno di giubilo (10,17-24) comune con Matteo.

Luca presenta la chiesa come una realtà concentricamente disposta attorno a Gesù. Perciò, dopo la missione dei Dodici in Israele (9,1-6), viene, con le stesse caratteristiche, la missione di 72 discepoli, ad universalizzare la missione di annunziare il vangelo.

Per Luca, l’evangelizzatore dei pagani, è importante ricordare il momento dell’invio di questi discepoli davanti a lui in ogni luogo in cui Gesù stesso sarebbe poi giunto. Per i rabbini, 72 sono i popoli del mondo, i goim, al di fuori di Israele, le gentes o gentili / pagani di Paolo; 72 sono le lingue dei popoli del mondo, quelle che saranno parlate il giorno della Pentecoste.

La Samaria, terra scismatica, preannuncia la missione tra i pagani. La salvezza del Vangelo non conosce limiti, ma cammina per le strade della terra in vesti dimesse, come di agnelli in mezzo ai lupi, senza armi, in povertà e semplicità. Ogni casa che accoglie i missionari del Vangelo, anche se povera, diviene abitazione di Dio. Chi respinge la misericordia compie una scelta tragica di autoesclusione dall’amore, se consapevolmente respinge Dio.

Da chi rifiuta il Verbo, i missionari, senza astio, non devono ricevere alcunché, fosse pure la polvere che rimane attaccata alle suola delle calzature. Questo gesto forte e provocatorio è quello del chirurgo che riapre una ferita purulenta portandola allo scoperto per consentirle di asciugarsi e rimarginarsi. Se questo non avviene, guai: non si tratta di una minaccia ma di un lamento, un compianto sulla sorte di chi respinge l’Amore; ma per chi lo accoglie, gioia, esultanza, felicità.

L’Inno di Giubilo

Gioia per chi accetta il potere del Vangelo, non per la vittoria di chi lo esercita ma per la gloria della salvezza.

Esultanza per la grandezza della rivelazione che è accolta non dai superbi e dai furbi ma dagli umili e dai piccoli che hanno il cuore aperto, perché non viene dall’uomo la conoscenza del mistero di Dio, ma da Gesù volto del Padre.

Beatitudine per chi ha uno sguardo di fede e un atteggiamento di ascolto della Parola.

La religione dell’Antico Testamento era la religione dell’ascolto (Shema‘ Israel / Ascolta Israele!), ma la Parola ormai si è fatta carne ed ha assunto un Volto di uomo. Quel Dio che nessuno mai aveva potuto contemplare, adesso occhi di uomo lo hanno visto, mani di uomo lo hanno toccato: vivo, crocifisso, risorto, è uno di noi per sempre, il Dio-con-noi. Ma c’è una beatitudine anche per coloro che non hanno potuto vederlo con gli occhi del corpo: nel IV Vangelo, a Tommaso che ha preteso di toccarlo, Gesù dirà: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29). Tuttavia la rivelazione è aperta solo a chi l’accoglie con lo sguardo del piccolo: non la persona immatura o rozza, ma il discepolo che si affida al Padre come il bimbo che si abbandona nelle braccia della mamma (cfr. Sal 131).