Viaggio nella Bibbia: Il ciclo dell’Esodo. La maga e la magia

La maga
La strega di Endor. Di D. Martynov (1826-1889) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=8436532

Lo spirito del gruppo seguente di leggi religiose consiste in una appartenenza a Dio che non è compatibile con le pratiche idolatriche.

Leggi religiose

La maga è la donna ritenuta capace di gettare il malocchio su una persona. La pena è la morte: non si può indulgere a pratiche non conformi all’adorazione di un solo Dio.

Solo la maga o anche il mago?

La parola מְכַשֵּׁפָה mekhashefah , “strega” o “fattucchiera” non si trova da nessun’altra parte nella Bibbia. Il termine maschile  מְכַשֵּׁף  (mekhashaf) dalla stessa radice k.š.p (“stregone”, “stregone” o “mago”) appare nel divieto di stregoneria nel Deuteronomio:

“Non si trovi in ​​mezzo a voi nessuno che consegni il suo figlio o la sua figlia al fuoco, né chi eserciti il ​​sortilegio, l’indovino, la magia” (Dt 18,10).

Dato che numerosi altri versetti fanno riferimento agli stregoni maschi, alcuni antichi traduttori e commentatori non interpretano la parola מְכַשֵּׁפָה (mekhashefah) come specificamente femminile, nonostante il genere grammaticale.

La traduzione greca LXX (Settanta) rende la parola come se fosse scritta al plurale maschile, “non permetterai agli stregoni di rimanere” (φαρμακοὺς οὐ περιποιήσετε). Anche la Vulgata latina traduce in questo senso, “non permetterai agli stregoni di vivere” (maleficos non patieris vivere). Sembra improbabile che questa traduzione rifletta un manoscritto  alternativo con un plurale in ebraico. Sembra probabile che i traduttori abbiano inteso la parola mekhashefah come un sostantivo collettivo di forma femminile, con la heh come segno del plurale.

Anche il Targum Neofiti (dal III al VI secolo d.C. ) evita di tradurre il termine al femminile:

“Il mio popolo, i figli d’Israele, non permette che viva uno stregone o una maga”.

Allo stesso modo, il Targum Pseudo-Jonathan (VII/VIII secolo d.C. ) evita la questione di genere riformulando il versetto con una locuzione diversa:

“Il mio popolo, i figli d’Israele, non lascia vivere nessuno che pratichi la stregoneria”.

Una traduzione al maschile si trova anche nell’aramaico Onkelos e nella siriaca Peshita (חרשא).

Secondo R. Jonah ibn Janach (ca. 990–1055), la heh è per enfatizzare; non è un segno del femminile: il termine comprende maschi e femmine.

Un sostantivo femminile

La stragrande maggioranza dei traduttori e commentatori, tradizionali e moderni, tuttavia, prendono la parola come un sostantivo singolare femminile, che si riferisce a una praticante di magia, ad esempio Abraham ibn Ezra. In sostanza, mentre il divieto si applica sia agli uomini che alle donne, la parola è al femminile per sottolineare che le donne tendono a praticare la stregoneria, come si riitiene anche nei testi del Vicino Oriente Antico. La presunta connessione tra stregoneria e donne ha perseguitato molte culture antiche e non ha avuto origine nella Bibbia.

Pratiche idolatriche

Morte anche per chi pratica il bestialismo, cioè l’accoppiamento umano con una animale: in Mesopotamia e in Canaan esisteva questo tipo di culto deviante reso al dio ariete o toro. È plausibile che questa pratica sia esistita anche nella Grecia pre-classica: il mito del Minotauro, nato da Pasifae e da un toro, di Chirone che nasce dall’unione di Crono in forma di cavallo con Filira, e le numerose unioni di Zeus in forme varie di animali con donne mortali o ninfe (Io, Leda…), può alludere a questo. Anche questa è una pratica idolatrica che confonde l’ordine naturale voluto da Dio distinguendo le specie animali dalla specie umana.