Madonna di Montenero (15 maggio)

La Madonna di Montenero

A Montenero, una collina che vigila su Livorno, sorge l’illustre santuario mariano da cui regna la Madonna delle Grazie, Mater Etruriae, patrona della Toscana.

Il santuario nasce per custodire un’immagine sacra trovata ad Ardenza il 15 maggio 1345, giorno di Pentecoste,  da un pastore storpio: anche in questo caso si conferma la costante dei racconti di rinvenimento delle immagini miracolose, il cui luogo di nascondimento è sempre riconosciuto dagli umili, dai poveri e addirittura dagli animali. Un vitello che si sottrae alla mandria trova, e venera ogni giorno, la statua della Madonna del Frassine; i buoi che arano scoprono, e venerano, il SS. Crocifisso di Castagneto; sono ancora i buoi, che trainano il carro contenente le reliquie del vescovo San Fiorenzo, a deciderne la destinazione, Campiglia Marittima e non Piombino.

Madonna di Montenero: il ritrovamento del quadro

Una storia popolare narra diffusamente la leggenda della Madonna di Montenero, e il Can. Francesco Polese la traspose in poesia nel Poemetto della Madonna:

Oltre l’Ardenza un po’ più su del ponte,

uno storpio pastor pascea l’armento:

signor del luogo era allor forse il conte

 di Bòlgheri sul mezzo del Trecento.

“Portami, buon pastor, portami al monte”,

disse una voce in sovrumano accento

(lucea maggio su l’acque in ogni fonte

e stormia l’elce ov’or grana il frumento).

L’umil pastore al subito mistero

de la voce, Maria vede: e “il piè movo

teco”, rispose, a l’ospite dimora.

E parea sotto il peso un cavaliero

sacro, che canti in un trionfo novo

la maggiolata di nostra Signora.

Più toccava del monte e più le spalle

sentìa gravar quel vecchio pastor zoppo,

finché, cresciuto il peso e al pié l’intoppo,

posò Maria su l’erta della valle.

Corser da le badie per le vassalle

pievi dispersi i pii romiti in groppo;

ed ei già storpio, via, quasi a galoppo,

scese la costa del ripido calle

(“Montenero, Numero unico” per il secondo centenario dell’Incoronazione della Madonna, Livorno, Tipografia Francesco Vigo, 1890).

L’immagine mariana che poi sarà chiamata Madonna di Montenero inizia subito la sua storia taumaturgica guarendo il pastore e facendo sgorgare una sorgente, e mostra chiaramente di voler essere trasportata sul colle. Da quel momento, il colle chiamato Montenero perché luogo oscuro, rifugio di briganti, cambia aspetto e diviene faro di luce e di grazia.

Dal punto di vista storico è certo che nel 1345 il quadro era custodito in un piccolo oratorio retto da romiti, poi da terziari francescani e dagli agostiniani di S. Jacopo in Acquaviva. Leggenda volle che San Luca dipingesse l’immagine, e che gli angeli la trasportassero lì. Tuttavia, la bella immagine che raffigura la Madonna con il Bambino e un cardellino è ascrivibile ad un maestro della Scuola pisana, certo Jacopo di Michele detto Gera, attivo a Pisa soprattutto fra il 1350 e il 1405, come la identificò Enzo Carli. Il particolare interessante, tra i preziosi dettagli delle stoffe dell’abito della Madonna ispirati ai tessuti di origine orientale che probabilmente si commerciavano a Pisa, è la stella d’oro stampigliata sul manto ad indicare che ella è la Stella Maris, colei che indica la strada ai naviganti, non solo metaforicamente. Una presentazione del santuario QUI.

Storia di un santuario

Già sul finire del Trecento numerosi pellegrinaggi richiesero e permisero un primo ampliamento dell’oratorio, ampliamento che avvenne a partire dal 1380.  Nel 1442 la custodia dell’oratorio passò ai frati Gesuati, e nel corso del Cinquecento la fama della Madonna taumaturga si consolidò, non solo a motivo delle due pestilenze del 1576 e 1591, ma anche per la paura costante, negli insediamenti costieri, degli attacchi dei corsari barbareschi che saccheggiavano, devastavano e rapivano gli abitanti per farli schiavi.

Si dice che nel 1575 alcuni di questi, sbarcati sulla costa labronica, tentassero di rubare la sacra immagine senza riuscirvi e, abbacinati, si perdessero sul Monte. Questo fatto pare avere indotto Cosimo I de’ Medici ad edificare il forte di Antignano per meglio controllare le coste; nel 1606 una sola galera granducale catturò tre brigantini turchi e, per la grazia ricevuta, portò alla Madonna un ex-voto. Era per lo stesso motivo, cioè per il controllo dei mari, che Cosimo nel 1548 aveva fatto edificare la città fortificata di Cosmopoli – Portoferraio, originaria sede dell’ordine dei Cavalieri di Santo Stefano da lui pure fondato, presto, però, trasferito in via definitiva a Pisa nella celebre Piazza dei Cavalieri; ordine militare la cui specifica missione era quella di liberare il Mediterraneo dai pirati saraceni e di affrancare i cristiani caduti in schiavitù.

Sotto Cosimo III, nel 1669, i Teatini, che provenivano dal convento di San Gaetano a Firenze, subentrarono ai Gesuati (nel 1668 Clemente IX ne aveva soppresso l’ordine), e svolsero un ruolo fondamentale nell’ampliamento del santuario, fino al 1783, anno della soppressione leopoldina.

Furono proprio i teatini a iniziare grandi lavori di ampliamento del santuario, che fino ad allora era costituito da una semplice aula a pianta rettangolare. Tra fine Seicento e inizio Settecento aggiunsero un atrio di forma ovale riccamente decorato; intorno al 1721, su disegno di Giovanni Del Fantasia, iniziarono i lavori per l’inserimento nell’abside di un corpo cruciforme destinato a ospitare l’immagine della Madonna, inserimento che fece assumere al complesso una pianta a croce latina. L’ampliamento giunse a conclusione nel 1774.

Santuario di Montenero. Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692923
Santuario di Montenero, altare. Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692923

Una lunga storia d’amore fra la Madonna di Montenero e la città di Livorno

Ex voto 1829

Durante la peste del 1630 la popolazione traslò per la prima volta a Livorno la Madonna di Montenerocon una solenne processione; la città fu liberata dal contagio e la Madonna delle Grazie ne divenne la Protettrice. Questo legame con la città si rinsaldò nel 1646 in occasione del terremoto – maremoto che la colpì, per cui si raccolse allora «tanta moltitudine di popolo che ne era ricoperta non solo la strada ma se ne vedeva anco ripieni i campi adiacenti».

Da allora la storia di Livorno e della Madonna di Montenero convivono: dal 1631 sulle patenti di sanità rilasciate alle navi in transito viene stampata la sua immagine. Soprattutto durante il regno di Ferdinando II e Cosimo III la fama taumaturgica della Madonna di Montenero si diffonde in tutto il Tirreno. Fu in particolare durante la peste del 1630-33 che si consolidò l’usanza di portare alla Madonna, in ringraziamento, un voto in argento o dipinto con la storia della grazia ricevuta, tanto che la stanza dei Voti divenne sempre più grande sino a formare una vera e propria Galleria – museo, costituita da circa settecento ex-voto catalogati come oggetti d’arte. Nel 1690 la Madonna viene solennemente incoronata e si intensificano i pellegrinaggi e le offerte di ex voto. Nel Settecento accadde qualcosa di più.

Il terremoto – maremoto del 1742

Era il 27 gennaio del 1742, quando un terrificante terremoto colpì la città di Livorno, producendo anche un maremoto con onde altissime che arrivarono fino in città, ad un’altezza, si dice, di 14 metri. Supplicando che cessassero le scosse, i livornesi portarono l’immagine della Madonna di Montenero in piazza Grande e le fecero un voto perpetuo: “d’astenersi dal far maschere, balli, sì pubblici che privati, e da qualunque sorta di carnevalesco divertimento, né ad alcuno di quelli intervenire”; ossia, quello di rimandare i festeggiamenti del carnevale fin dopo questa data; di offrire ogni anno 10 libbre di cera alla lampada accesa sotto l’immagine della Vergine; e di partecipare alla Messa solenne di questa giornata.

Il terremoto immediatamente cessò, e praticamente nessun livornese morì, nonostante la forza di questa calamità naturale, per questo motivo, tuttora, a Livorno il Carnevale non può iniziare prima del 28 gennaio. La tradizione è rispettata, e con esso il voto antico.

Nel 1792 si insediano nel santuario di Montenero i Vallombrosani che ne sono tuttora i titolari. Il 15 maggio 1947 la Madonna di Montenero è dichiarata Mater Etruriae (patrona della Toscana) da papa Pio XII. Da allora il 15 maggio pellegrini da tutte le diocesi toscane si radunano al santuario della Madonna delle Grazie per donare l’olio santo. E così…

Disserrò Montenero il tutelare

Varco, e levò Maria nel Simulacro

Sul pian d’Ardenza e a specchio d’Antignano;

E vertice fra i due liti ed altare

Chiuse nell’orma d’un triangol sacro

L’isole, il porto, e tutto il mar toscano

(Can. Franc. Polese, Il Poemetto della Madonna nel Montenero. Numero unico pubblicato in occasione del II centenario dell’Incoronazione della Madonna – Livorno, Francesco Vigo, 1890).

Gli ex voto di Montenero

Ex voto 1856

Nel ricco repertorio degli ex-voto si trova di tutto: persone che cadono dalla finestra o rimangono travolte da un barroccio, malattie, incidenti sul lavoro. Fra tutte mi rimane sempre in mente la foto, che vedevo anche nello studio del mio medico di famiglia perché si trattava di suo padre, di un poliziotto in divisa, affissa sul vetro che custodisce una camiciola insanguinata: l’agente fu colpito da un proiettile sparatogli da un malvivente, ma questo centrò in pieno la medaglietta della Madonna di Montenero che, come si usava allora, era cucita sulla maglia all’altezza del cuore, e gli salvò la vita.

Ex voto alla Madonna di Montenero

Tuttavia negli ex voto livornesi prevalgono ovviamente i pericoli del mare, tra cui il tema della pirateria turca che costituiva un grave problema per le città marinare. L’altro ex voto che non posso dimenticare, infatti, è quello forse più antico di tutti, risale ai primi dell’Ottocento, ed è costituito da un corpetto tramato in oro e un paio di babbucce di velluto rosso ricamati d’oro come quelli in uso negli harem di Istanbul ai primi dell’Ottocento. Appartenevano ad una giovane livornese che, rapita dai turchi in mare presso Antignano, fu venduta e annessa all’harem del sultano di Costantinopoli; e infine liberata dal fratello, che non si dette pace finché non si mise in mare per cercarla dopo aver invocato la protezione della Madonna di Montenero. Riuscì rocambolescamente a ritrovarla, farla fuggire e riportarla a casa. Il grido «Mamma li turchi» non era proprio uno scherzo, a quei tempi.

Santuario di Montenero, Galleria degli ex voto. Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692925
Santuario di Montenero, Galleria degli ex voto. Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692925

La scritta recita: «Verso il 1800, la giovinetta Ponsivino, trovandosi sul lungo mare, presso Antignano, fu rapita dai turchi che la portarono a Costantinopoli per l’ harem del sultano. Di fronte all’ ignominia che la sovrastava, invocò fervidamente la Madonna di Montenero che non tardò ad ascoltarla. Un giorno si vide arrivare nei giardini dell’ harem il proprio fratello che, con somma accortezza e non senza un aiuto speciale della Vergine, come attesta il voto, riuscì a ricondurla a Livorno».

Ecco spiegato il perché questi oggetti furono lasciati in dono al Santuario.

Ex voto 1849
Ex voto 26 luglio1849

Il Famedio: la Santa Croce dei livornesi

Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692905
Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2692905

Tra il 1832 e il 1842 furono eseguiti vari lavori per la sistemazione della piazza del Santuario di Montenero. Il portico ebbe l’attuale configurazione intorno al 1853, quando furono aggiunte altre quattro arcate oltre alle cinque già esistenti. Nel medesimo periodo fu allungato anche il fabbricato a monte, unendo il loggiato al santuario tramite l’Alloggio del Pellegrino. La piazza, rettangolare (47,10 x 27,10 m), fu dotata di una grande scalinata d’accesso.

Nell’Ottocento Francesco Domenico Guerrazzi propose di trasformare il loggiato in un famedio, cioè quale Casa della fama o Tempio della fama. Il sindaco Federigo De Larderel utilizzò per la prima volta la struttura come sacrario degli uomini illustri il 5 ottobre 1873, precisamente per accogliere le spoglie del Guerrazzi che era deceduto alcuni giorni prima. Nel Famedio vennero poi accolti, ricordati con una lapide, i livornesi più insigni. Dopo il violento bombardamento del 18 maggio 1943, il Famedio divenne luogo di rifugio per molti sfollati.

Vi sono sepolti:

  • Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), politico e scrittore
  • Carlo Bini (1806-1842), scrittore e patriota
  • Enrico Pollastrini (1817-1876), pittore
  • Carlo Meyer (1837-1897), garibaldino e politico
  • Paolo Emilio Demi (1798-1863), scultore
  • Giovanni Fattori (1825-1908), pittore e incisore
  • Giovanni Marradi (1852-1922), poeta e scrittore
  • Ernesto Rossi (1827-1896), attore teatrale
  • Mario Puccini (1869-1920), pittore

Con epigrafi commemorative vi sono ricordati, tra gli altri, il musicista Pietro Mascagni (1863-1945), il pittore Amedeo Modigliani (1874-1920) e lo scrittore Giosuè Borsi (1888-1915).