Il numeroso pubblico che si è presentato giovedì 26 settembre nella chiesa dell’Immacolata a Piombino ad ascoltare il prof. Antonio Natali è sicuramente rimasto colpito dalla densa relazione che il piombinese storico dell’arte, nonché direttore degli Uffizi di Firenze dal 2006 al 2015, ha tenuto sul tema dell’iconografia francescana.
Ma anche Antonio Natali era commosso dal fatto di ritrovarsi nella chiesa che aveva visto sposarsi i suoi nonni, i suoi genitori e lui stesso, nella comunità dove ha vissuto le sue giovanili esperienze ecclesiali e di amicizia, facendo parte insieme a numerosi giovani, come ricordava Luciano Francardi che lo ha presentato all’uditorio, della cucciolata di padre Fiorenzo.
Se Piombino è stata la città di origine di Antonio, Firenze è stata la città che lo ha visto crescere negli studi e nella sua professionalità di storico dell’arte. Infatti il tema della conferenza, l’iconografia francescana, è stato da lui affrontato con un taglio particolarmente profondo, andando ben al di là della dimensione descrittiva della lingua pittorica per entrare nella sfera del pensiero sottostante. Un pensiero di grande spessore.
L’iconografia francescana
Conosciamo tutti l’iconografia serena del Francesco della predica agli uccelli, un’immagine irenica che ci è molto familiare. Ma in S. Francesco vi è molto di più. Una caratteristica fondamentale della sua forma di vita è la convinzione della non irrangiungibilità degli insegnamenti di Gesù: il Vangelo si può praticare. E la sua radicalità nel vivere il Vangelo di Gesù Cristo ha pervaso la spiritualità della sua epoca e dei secoli successivi. Anche l’arte figurativa ne ha profondamente sentito gli influssi.
Arriviamo, così, alla scelta di Antonio Natali di presentarci la Madonna delle Arpie di Andrea Del Sarto (1517), oggi agli Uffizi.
La Madonna delle Arpie
Il 14 maggio 1515 le monache di San Francesco de’ Macci a Firenze stipularono con Andrea Del Sarto il contratto per la pala d’altare della loro chiesa: pagamento stabilito, 40 fiorini d’oro. Il dipinto avrebbe dovuto rappresentare una Madonna con Bambino incoronata da due angeli ed avente ai lati S. Giovanni evangelista e S. Bonaventura. Il programma iconografico iniziale subì però notevoli trasformazioni, probabilmente, come vedremo, per l’interessamento di F. Antonio di Ludovico Sassolini che era un importante esponente del convento di Santa Croce. S. Francesco, così, sostituì S. Bonaventura, e gli angioletti, anziché incoronare Maria, furono ritratti in atto di sorreggerne le gambe sul piedistallo. Queste modifiche non erano casuali.
Tempi inquieti
Erano tempi inquieti quelli, in cui la Riforma premeva ponendosi all’esterno della Chiesa romana, i principi europei erano in guerra fra di loro, e l’impero turco pressava i confini della cristianità. All’interno della Chiesa serpeggiavano tendenze millenariste che prevedevano l’avvento dell’Anticristo proprio per il 1517. In quello stesso anno, Lutero aveva affisso le sue tesi alla porta della cattedrale di Wittemberg. A Firenze si sentivano (lo registra anche il Machiavelli) omelie di tono catastrofico, tanto è vero che la Chiesa fiorentina arrivò a proibire la predicazione apocalittica. Le opere d’arte registrano questo clima… una di queste è la Madonna delle Arpie.
La Madonna delle Arpie: realizzazione
Il Vasari descrive con precisione l’opera di Andrea Del Sarto, dandole persino il titolo, che le è rimasto, di Madonna delle Arpie, in quanto interpretò le figure scolpite sugli spigoli del piedistallo come arpie, esseri mitologici dal corpo di uccello e volto di donna.
Sul piedistallo si legge l’iscrizione
AND.[rea del] SAR.[to] FLOR.[entinus] FAC.[iebat]
AD SUMMUM REGINA TRONUM DEFERTUR IN ALTUM M.D.XVII.
È, questo, un antico inno mariano che si riferisce all’Assunzione al cielo. In una nicchia architettonica Maria si erge su un piedistallo, sostenuta da due angioletti. Ha il Bambino in braccio e ai lati S. Francesco col crocifisso e S. Giovanni evangelista, che indica il libro che tiene in mano. Il Vasari ha cura anche di segnalare, fra i particolari, “un fumo di nuvole trasparenti sopra il casamento”.
Ecco: è normale che in una pala d’altare sia presente del fumo? Quelli che ad uno sguardo superficiale potrebbero sembrare particolari decorativi sono invece dettagli che dimostrano da parte del pittore una vera robustezza teologica, qui al limite dell’ortodossia.
Antonio Natali propone infatti della pala un’interpretazione legata al capitolo 9 dell’Apocalisse di Giovanni, che rappresenterebbe il libro tenuto aperto dall’evangelista, inteso invece dal Vasari come il Quarto Vangelo.
Nel nono capitolo l’Apocalisse di Giovanni annuncia la fuoriuscita di mostruose cavallette, dalla testa di donna e dal ventre corazzato di ferro, dal fumo scaturito dal pozzo dell’abisso, per tormentare tutti coloro che non avessero avuto sulla fronte il sigillo di Dio. In questo modo si spiegherebbe anche la presenza di S. Francesco al posto di S. Bonaventura. Proprio S. Bonaventura, infatti, nella sua Legenda Maior, aveva identificato in S. Francesco l’angelo del sesto sigillo profetizzato da Giovanni. Questo angelo, salendo dall’Oriente, avrebbe portato con sé il sigillo del Dio vivente (Ap 7,2), il salvifico tau emblema della Passione di Cristo, che lo stesso S. Framcesco aveva avuto impresso nella propria carne mediante le stigmate:
Egli viene simboleggiato nella figura dell’angelo che sale dall’oriente e porta in sé il sigillo del Dio vivo, come ci descrive l’altro amico dello sposo, I’apostolo ed evangelista Giovanni, nel suo vaticinio veritiero. Dice infatti Giovanni nell’Apocalisse, al momento dell’apertura del sesto sigillo: Vidi poi un altro angelo salire dall’Oriente, il quale recava il sigillo del Dio vivente (FF 1022).
Il piedistallo su cui si erge la Vergine rappresenterebbe quindi il pozzo dell’Inferno e la Madonna sarebbe raffigurata nell’atto di chiuderne la bocca, sorretta da due angeli che ne favoriscono l’azione. La Vergine sarebbe perciò non l’Assunta, come recita l’iscrizione, ma l’Immacolata che calpesta vittoriosa il serpente, chiudendone simbolicamente il pozzo. Le figure del basamento non sarebbero arpie, né tanto meno sfingi come sono intepretate da alcuni studiosi, ma le cavallette apocalittiche, portatrici di calamità tremende. Questo sarebbe confermato anche dal fumo che si leva dal piedistallo, come quello che sale dall’infernale “pozzo dell’Abisso”. San Francesco quindi non è solo il titolare della chiesa per cui la pala era stata commissionata, ma rappresenta anche l’esempio da seguire per coloro che eviteranno tali tormenti in quanto segnati dal sigillo della croce.
L’elaborazione di questa complessa simbologia potrebbe rifarsi a quell’Antonio di Ludovico Sassolini, frate di Santa Croce, che secondo Vasari avrebbe commissionato il dipinto. Il Sassolini era stato infatti un assiduo uditore delle prediche del Savonarola e uno dei fautori del clima di fervore religioso che si respirava a Firenze ad inizio Cinquecento.
È evidente come dietro le pitture di quel periodo si trovassero persone di cultura altissima, sia religiosa che laica, e come non si possa prescindere da queste conoscenze per essere veramente in grado di comprendere il significato collocandole nel loro contesto. Un sentito grazie, perciò, ad Antonio Natali che con grande profondità e con disinvolta piacevolezza ci ha offerto uno spaccato di quella cultura, significativa anche per il mondo di oggi.