Giustizia e Pace. Il Diritto Internazionale e la legittima difesa

Il Convegno su Giustizia e Pace a Follonica in ricordo di don Enzo Greco ha visto succedersi, dopo l’intervento iniziale del sindaco Benini (QUI), una densissima relazione della prof. Alessandra Viviani, docente a Siena di Diritto Internazionale, che ha fatto luce sugli aspetti giuridici dei conflitti in corso in questo momento non facile della nostra storia. Il chiarimento che ci viene dal Diritto Internazionale è essenziale, ha detto – e l’ha ampiamente dimostrato nel corso della sua comunicazione – per la nostra memoria, per il diritto all’autodeterminazione, per la costruzione di un mondo più giusto.

Partiamo da una semplice constatazione: nessuno direbbe che il furto è lecito. Eppure in moltissimi casi gli autori dei furti restano impuniti. Così pure, il Diritto Internazionale pone degli obblighi vincolanti in materia di diritti civili, le regole ci sono, ma è anche vero che certi stati fingono di ignorarle. L’ignoranza è uno strumento potentissimo…

La Pace nel Diritto Internazionale

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Che cos’è la Pace nel Diritto Internazionale? Si presenta sotto due forme:

  • In forma negativa come assenza di guerra, cioè assenza di violenza e di conflitto armato
  • In forma positiva come assenza di violenza strutturale, cioè come giustizia.

È necessario rinnovare l’attenzione su un concetto olistico (integrale) di pace che tenga conto dell’importanza dei principi di giustizia sociale, dei diritti umani, della necessità della non discriminazione, dello sviluppo sostenibile e commercio equo e solidale.

Il rispetto dei Diritti umani perché si possa vivere la Pace nel senso più pieno è un’esigenza molto chiara, ed emerge con nitidezza dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile.  L’Obiettivo 16 consiste appunto nel promuovere Pace e Giustizia: «Promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli». Tradotto: Pace e Giustizia!

Nazioni Unite: il divieto dell’uso della forza

Le stesse Nazioni Unite con la Carta del 1945 nascono da una visione di pace che non è solo assenza di conflitto, poiché nei suoi principi fondamentali la Carta riconosce l’importanza della cooperazione internazionale e del rispetto dei diritti umani.

E non è un caso se i primi sforzi della neonata organizzazione di codificare il Diritto Internazionale si siano proprio rivolti al tema della «pace positiva» e della giustizia con l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo e della Convenzione sul Genocidio del 1948.

Le Nazioni Unite si preoccupano non solo dell’assenza di guerra ma della promozione della giustizia sociale e dei diritti umani. Nella Carta delle Nazioni Unite il divieto dell’uso della forza è espresso in maniera inequivocabile tra i principi fondamentali. L’art. 2 § 4 della Carta recita:

«I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite».

È un chiaro divieto, questo, dell’uso della forza, e ciò che nel 1948 afferma la Convenzione sul Genocidio fa proprio di quest’ultimo l’antitesi della Pace, la forma più grave di negazione della «pace positiva», legando il crimine di genocidio all’idea di eliminare un intero gruppo dalla vita della comunità internazionale, cioè alla distruzione di un gruppo nazionale etnico razziale o religioso, di un popolo.

Il divieto dell’uso della forza si accompagna all’obbligo di soluzione pacifica delle controversie, al divieto di ingerenza negli affari interni di un altro stato e all’obbligo di rispettare i diritti umani.

Eccezioni al divieto

Esistono eccezioni a questo divieto? Nel sistema della Carta le eccezioni solo solo due:

  • l’uso della forza deciso e autorizzato dal Consiglio di Sicurezza
  • e la legittima difesa.

Per quanto riguarda la legittima difesa in caso di attacco armato l’art. 51 sostiene:

«Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale».

La legittima difesa

L’eccezione che ammette l’uso della forza è dunque molto ben definita. A parte una azione del Consiglio di Sicurezza, unico organo che può gestire l’uso della forza ma che è bloccato dal diritto di veto detenuto da cinque Stati (Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna), ecco che cosa si intende per legittima difesa: è l’autotutela nel caso di un attacco armato contro uno Stato membro dell’Onu finché il Consiglio di Sicurezza non si pronuncia.

È abbastanza evidente che l’uso della forza armata è possibile solo per respingere un attacco subito, o solo per andare in soccorso su richiesta di chi ha subito un attacco armato.

Si deve anche sottolineare che nella Carta «attacco armato» è inteso come l’uso della forza militare di uno Stato nei confronti di un altro Stato.

Nel 1945, dunque, la legittima difesa riguardava il caso di uno Stato contro un altro Stato. Ci sono state, poi, modifiche di questo concetto?

Negli anni seguenti, soprattutto a partire dall’11 settembre 2001 con l’attacco alle Torri gemelle, si è cercato di allargare il concetto di legittima difesa nel senso di un attacco armato di terroristi (cioè non di un esercito regolare) contro uno Stato che avrebbe quindi il diritto di reagire usando la forza militare fuori dai propri confini. Questo ha portato alcuni a sostenere questa natura della legittima difesa applicandola contro l’Afganistan per l’eliminazione di gruppi terroristici. Questa nuova interpretazione però non è stata accettata da molti Stati. Non vi è una risposta chiara, ma si sostiene che anche in questo caso la risposta debba avvenire solo in assenza di un’azione del Consiglio di Sicurezza e nel rispetto degli esistenti limiti alla forza armata, secondo il Diritto Internazionale umanitario.

(Continua…)