Lettura continua della Bibbia. Deuteronomio 7: La legge dello Cherem

La legge dello Cherem
Giosuè contro gli amaleciti. Di René-Antoine Houasse (1645 – 1710), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79543064

Questo capitolo, trattando la legge dello Cherem, sviluppa temi che appaiono profondamente estranei alla nostra mentalità cristiana. La parte centrale (vv. 6-11) esalta la predilezione di Dio per Israele, e la liturgia la propone per la festa del S. Cuore nell’anno A; ma questo nucleo è circondato da una serie di prescrizioni sulle relazioni da tenere con le nazioni, relazioni ostili, belliche:

“Sopprimerai tutti i popolo che JHWH tuo Dio sta per consegnare a te” (7,16).

La legge dello Cherem

La legge che regola i rapporti di Israele con i popoli della terra di Canaan è quella che viene indicata come legge dello sterminio (Cherem), e sembra dare ragione all’eretico Marcione (II secolo d.C.) che contrapponeva il Dio feroce e guerriero dell’Antico Testamento al Dio buono e misericordioso Padre di Gesù Cristo.

Il contesto

Quando Israele, piccolo e confidente nel Signore, dal deserto passerà alla terra, troverà popoli potenti, idolatri, che rappresentano il suo opposto speculare. Israele, così, è la figura del popolo secondo Dio, i Cananei gli si contrappongono come l’emblema del mondo che è contro Dio. Come potrà il popolo santo continuare ad appartenere totalmente all’unico Signore? La sopravvivenza è garantita dalla totale alterità di Israele rispetto ai pagani, quindi da una totale ostilità. La radice CHRM significa primariamente dedicare una cosa / una persona alla divinità perché ne disponga secondo il suo giudizio. Lev 27,28 recita:

“Ogni cosa di cui un uomo ha fatto voto di sterminio al Signore fra tutto quello che gli appartiene, sia fra le persone e gli animali e fra i campi del suo patrimonio, non sia venduto e non sia riscattato; ogni cosa votata allo sterminio sia considerata santissima per il Signore”.

Attraverso la distruzione, l’uomo immette nel mondo del divino quanto appartiene a Dio, che gli è stato votato e che l’uomo non può in nessun modo usare. Tale legge delimita a mo’ di inclusione tutto il cap. 7,

  • partendo dal v. 2 (“Quando il SIgnore tuo Dio avrà messe quelle nazioni in tuo potere e tu le avrai sconfitte, tu le voterai allo sterminio”)
  • fino alla sua conclusione, dove il vocabolo ricorre in forma di sostantivo: “Non introdurrai questo abominio in casa tua, perché sarai come esso votato allo sterminio, lo detesterai e lo avrai in abominio, perché è votato allo sterminio” (7,26). L’uomo non ha potere su ciò che è votato al Signore, lo può semplicemente annientare.

Il Deuteronomio applica questo concetto a due ambiti legislativi:

  • la guerra di conquista, avente per oggetto le popolazioni cananee (7,2; 20,16-18)
  • e il giudizio contro le città israelitiche colpevoli di idolatria (13,13-19).

La legge dello Cherem contro l’idolatria

In sostanza, lo Cherem colpisce chiunque aderisca all’idolatria, facendone un sistema di vita.

La relazione con gli idolatri comprende tre aspetti.

Nessuna alleanza

Primo aspetto. Nessuna alleanza, neppure matrimoniale (vv. 1-4); proibiti, quindi, i matrimoni misti, per preservare l’identità etnica e religiosa di Israele. In realtà Mosè sposò una madianita, Booz una moabita, Davide ebbe fra le sue mogli un’aramea; non parliamo di Salomone. Ma, psicologicamente, il matrimonio misto rappresenta un rischio; simbolicamente, rappresenta un tradimento della pura fede jahvista: Israele non deve sposare l’idolatria, colpevole delle più grandi perversioni (menzogna, violenza, ingiustizia, morte). Israele deve rimanere il popolo separato, santo, e non contaminarsi con gli altri culti. Oggetti – emblema del culto cananeo erano le massevoth di pietra (stele) e gli asherim = pali sacri (in LXX e Volgata, resi invece con boschetti sacri, lucos). Non solo è vietato adorare altri dèi, ma anche impiegare per il culto di JHWH gli oggetti di culto degli altri dèi.

Nessuna tolleranza dei luoghi

Pertanto, secondo aspetto: distruzione dei luoghi di idolatria (vv. 5-25 s.). Oggi la tolleranza religiosa è considerata un principio inoppugnabile, il Deuteronomio predica l’intransigenza. Ogni materiale, anche prezioso, usato per il culto idolatrico deve essere distrutto, il fuoco deve bruciare tutto ciò che non esprime la santità di JHWH. La tolleranza è considerata accettazione, complicità.

Nessuna tolleranza delle persone

Terzo aspetto: distruzione dei cananei (vv. 16-24). Indicati dal numero simbolico di 7 popoli (in altri testi sono dieci: Gen 15,19 ss.; oppure otto: Esd 9,1; o sei: Esodo e Deuteronomio, Giosuè e Giudici, vari passi; cinque: in Esodo e Numeri, in 1 Re 9,20; tre o due: quasi sempre sono citati i Cananei e gli Amorrei), che rappresenta la totalità delle genti che risiedono in terra di Canaan, questi popoli sono oggetto della norma che ne impone la totale eliminazione: essi sono da “divorare” (7,16), “far sparire” (7,24).

Questa legge non riguarda tutti i popoli del mondo ma solo gli abitanti della terra di Canaan: il Codice Deuteronomico prevede le trattative di pace con una città lontana (20,10-15), e il possibile matrimonio con una prigioniera di guerra (21,10-14). Nel caso delle città cananee, invece, non c’è possibilità di alleanza, e neppure di razzìa, solo di sterminio, perché “essi non vi insegnino a commettere tutti gli abomini che fanno per i loro dèi” (Dt 20,18). Israele, in questo periodo storico, si presenta come lo strumento di giustizia di cui Dio si serve per punire le nefandezze di cui i cananei si sono macchiati. Dio “consegna”, appunto, i Cananei (il termine “consegnare” è tecnico, tipico della procedure giudiziaria) a Israele perché faccia giustizia senza commuoversi (7,16): ciò è necessario per il bene comune, come la pena di morte. Quando Israele cadrà nei medesimi eccessi, saranno le nazioni pagane ad eseguire la medesima sentenza su di esso (Dt 28,49 ss.; Is 10,5 s.; Ger 1,15 s.; 25,8 s.; 51,20 ss., ecc.). Perché l’azione di Israele non appaia venalmente interessata, egli non deve toccare i beni di questi popoli, ma votare tutto alla distruzione.

La guerra santa

Non può non disturbarci l’applicazione indiscriminata di questa norma, benché essa sia volta a salvaguardare la purezza “spirituale” di Israele. E, in effetti, essa si può capire solo come prefigurazione di una purificazione spirituale di cui la drastica figurazione materiale è espressione.

La guerra santa cui Dio sollecita il suo popolo non è basata sulla potenza bellica di Israele, ma solo sulla sua fede in Dio che la combatte, come già sulle rive del Mar Rosso, e come poi ai piedi di Gerico, con le proprie armi (i calabroni, promessi in Es. 23,28 e menzionati in Gios 24,12 e Sap 12,8, rappresentano una curiosa manifestazione dell’aiuto divino).

Il popolo di Dio è tale proprio perché è piccolo, debole, inerme, e non conta sulle proprie forze; è il popolo della pazienza, che sa che Dio non scaccerà il nemico tutt’a un tratto, ma a poco a poco, con le piccole vittorie quotidiane (“affinché le bestie selvatiche non si moltiplichino a tuo danno”: questa motivazione basata sul rispetto dell’equilibrio ambientale è di una grande finezza). La conquista della terra di Canaan è come la parabola del trionfo del povero, confidente in Dio, sull’impero della violenza, e lo sterminio del nemico è spiritualmente la sconfitta del mondo di Satana.

Una lettura spirituale

Questa norma dello Cherem non era più attuale nel VII secolo all’epoca di Giosia, e poteva essere oggetto di una lettura solo spirituale.

Nel passo centrale di questo capitolo, “infatti” (questa è la congiunzione causale da cui viene introdotto, a dare la motivazione della durezza delle disposizioni da cui è preceduto e seguito), si dà la chiave di lettura teologica della legge dello sterminio. Israele è definito con una terminologia che lo chiama

santo = sottratto alla funzione comune, consacrato al Signore, per Sua elezione (“il Signore tuo Dio ti ha scelto”): qadosh fa parte della terminologia cultuale;

proprietà personale (segullah) di Dio come un bene speciale che appartiene personalmente ad un re (la terminologia qui è desunta dal linguaggio di corte).

Separazione (santità) e appartenenza definiscono Israele come popolo dell’alleanza: ma è Dio che ha fatto ciò, scegliendolo, legandolo a sé, riscattandolo, solo perché LO AMA, senza altre motivazioni (“non perché siete più numerosi…”). È andato a cercare il piccolo e il debole in terra di schiavitù, l’ultimo, il povero, il non-popolo. Dio lo costituisce suo popolo e lo fa crescere: “Egli ti amerà, ti benedirà, ti moltiplicherà” (v. 13). I ricchi sono rimandati a mani vuote, i poveri sono colmati di beni. L’amore di Dio è incondizionato. Ne è condizione, da parte umana, la fedeltà alla Legge: ascoltare (SHAMA‘) – osservare (SHAMAR = custodire) – eseguire (‘ASAH = fare) la Parola è condizione perché Dio conservi l’alleanza e la benedizione giurata.