C’è una parola chiave del discorso della montagna, una parola che vi ricorre 5 volte, forse non a caso: 5,6.10.20; 6,1.33. È la parola giustizia / dikaiosyne, termine che non compare mai in Marco ma che è fondamentale in Matteo. Ma non dobbiamo fraintendere. Per “giustizia” non si intende quello che noi pensiamo, la giustizia retributiva o punitiva, dare a ciascuno il suo. È, invece, la giustizia di Dio.
La giustizia di Dio
Diciamo di più. Giustizia di Dio è la volontà salvifica verso l’uomo. Di conseguenza, giustizia dell’uomo è la risposta di fedeltà radicale alla volontà di Dio e non una semplice ineccepibilità nella osservanza della Legge. La “giustizia” del cristiano, poi, è l’orientamento a Cristo che lo rende nuova creatura, a differenza della giustizia degli antichi farisei che consisteva nella corretta esecuzione di una legge. Chiarisco però che la Legge di Mosè conteneva anche il grande comandamento dell’amore del prossimo, e molti precetti improntati proprio a tale amore.
Gesù si era presentato al Battista, in Mt 3,15, affermando di dover compiere ogni giustizia. Adesso ci dice quale è la giustizia che Dio chiede all’uomo.
Antitesi che non sono proprio antitesi:
Vi è stato detto… ma IO vi dico
La fedeltà del discepolo alla giustizia di Dio, portata alle estreme conseguenze, viene esemplificata dal Discorso della Montagna nelle cosiddette «antitesi». Le chiamo «cosiddette» perché in realtà non sono antitesi, in quanto il secondo elemento della frase non si oppone al primo, ma ne mostra il senso più pieno.
Matteo chiarisce che Gesù non è venuto ad abolire niente di buono che sia esistito prima di lui. Tanto meno è venuto ad abolire la legge donata da Dio al suo popolo. È venuto, invece, a rivelarne il senso più profondo e a darne perfetto compimento.
Né uno iota né un apice della Legge, i segni più piccoli della scrittura ebraica, saranno disattesi, dice Gesù. La iod è la più piccola lettera dell’alfabeto, l’apice un minuscolo segno di lettura. Noi diremmo «non cambierà una virgola»: niente è senza importanza. Ogni cosa deve essere compiuta; e il compimento è il Regno di Dio che entra nella storia venendo nella persona del Cristo.
La formula «Avete udito» non si riferisce direttamente alla S. Scrittura, ma alla tradizione orale che la interpreta. «Ma io vi dico» non è antitesi ma approfondimento della stessa. Tuttavia, la formula Io vi dico esprime una autorità inaudita in Israele. Solo Dio può pronunciarla, è frase divina.
Forme in attesa di riempimento
Gesù viene per compiere, dice Matteo, e il verbo pleróo significa sia riempire che mettere in pratica. L’idea fondamentale è quella di un recipiente vuoto che aspetta di essere riempito per poter adempiere alla sua funzione, di una forma vuota che per avere consistenza attende di essere colmata.
Anche se è di Giovanni e non di Matteo, l’immagine più vicina è quella delle sei idrie di pietra che alle nozze di Cana giacciono sterilmente vuote aspettando chi le riempia. Sia o no voluto questo parallelo, anche le parole dell’antica Legge sono le forme vuote che giacciono sterili finché non riceveranno il loro senso più profondo.
Rimuovere la violenza dal cuore
«Non uccidere»; «non commettere adulterio»; «non spergiurare»; «occhio per occhio» ovvero punisci il crimine equamente; «ama il prossimo» e odia il nemico. Non basta: anche i pagani fanno questo. La legge di Dio chiede di più.
Quindi non è sufficiente evitare la violenza fisica. Anche l’ira e l’odio sono già sentimenti omicidi e lo scherno del fratello (raka vuol dire «testa vuota») è un crimine che sarà giudicato l’ultimo giorno.
Ed anche: il giusto risarcimento dell’offesa deve evolversi nella non violenza. La famosa legge del taglione non ordinava al fedele di vendicarsi, ma regolamentava l’istituto giuridico della comminazione della pena in tempi in cui il potere giudiziario veniva esercitato dal capofamiglia; la pena doveva essere commisurata al danno inferto, non eccederlo. Siamo nell’ambito del diritto penale; tuttavia, questa norma poteva anche facilitare la diffusione di una mentalità vendicativa, e di una risposta violenta che faceva rientrare anche l’offeso nella logica del male. L’unica risposta che possa far uscire dalla spirale della violenza è la non violenza (Gandhi: «Occhio per occhio rende cieco il mondo»). La non violenza non è acquiescenza, ma accoglienza di un fratello anche quando questi non vuole essere un fratello per noi e non sa di esserlo.
Custodire il desiderio e la parola
Similmente, la fedeltà radicale alle nozze non si limita ad astenersi da azioni che la disonorino, ma comporta la custodia interiore del desiderio e non consente scioglimento. La morale cristiana, morale di libertà, non è meno rigorosa di una legge esterna, anzi lo è di più, esigente com’è delle richieste dell’amore. L’occhio concupiscente, che spoglia l’altro della sua dignità e lo riduce a oggetto di desiderio, ferisce gravemente la persona.
Così, la parola deve essere non solo rispettosa della santità di Dio; deve essere sobria, essenziale. Ammettere la liceità dei giuramenti non formulati nel nome di Dio è considerato un sofisma, perché tutto appartiene a Dio ed è sacro, il cielo suo trono, la terra dimora della sua gloria, la vita dell’uomo sua creatura. Né si deve inflazionare il mondo di discorsi, perché chi sente il bisogno di appoggiarsi su una moltitudine di parole è insicuro o insincero. La relazione con Dio e con gli uomini deve essere basata sulla schiettezza e sulla linearità.
Siate perfetti… che cosa significa?
In realtà anche i rabbini proponevano una interpretazione della legge che proibisce le parole offensive e vane e i desideri impuri e comanda l’amore del prossimo. Ma la morale proposta dal discorso della montagna è eroica, sfida le convenzioni e si conforma al sentire di Cristo, che non è slancio sentimentale ma ferma decisione di agire come Egli agirebbe, di comportarsi con gli altri come si vorrebbe gli altri si comportassero verso di noi.
La proposta? Essere perfetti come è perfetto Dio! Sembra inattuabile, assurda. Come si può uguagliare la perfezione di Dio? Ma il termine greco, e l’ebraico ad esso sottostante, ci vengono in aiuto.
Téleios, perfetto, non significa quello che noi intendiamo, e non si riferisce alla perfezione assoluta, l’esenzione totale da ogni difetto e da ogni male. Dio nell’Antico Testamento non viene mai chiamato tamim, perfetto, perché tale nozione è di ordine rituale e riguarda l’agnello pasquale, integro, senza macchia (Es 12,5 LXX). Perfetta è quindi l’offerta sacrificale, l’offerta di tutta la persona a un Dio che – Lui per primo – si offre interamente all’uomo per quanto l’uomo lo possa accogliere.