
Il giovane Assalonne, figlio molto amato, cerca di soppiantare il padre nel regno e fugge con il suo seguito. Quando Ioab riesce a farlo rientrare in Israele, David non vuole vederlo e quindi non perviene ad una vera riconciliazione. Assalonne cerca più volte di servirsi di Ioab per incontrare David; quando finalmente lo ottiene, viene perdonato e riprende il suo ruolo di figlio del re, ma lo fa con un secondo fine, usando il perdono di David per usurparne il trono. David allora decide di lasciare Gerusalemme dandosi alla fuga davanti al figlio, per non coinvolgere la città in una faida sanguinosa. La scena viene rappresentata in modo toccante dal testo biblico.
2 Samuele 15 – 16
15 23 Tutti quelli del paese piangevano ad alta voce, mentre tutto il popolo passava. Il re stava in piedi nella valle del Cedron e tutto il popolo passava davanti a lui prendendo la via del deserto.
24 Ecco venire anche Zadòk con tutti i leviti, i quali portavano l’arca dell’alleanza di Dio. Essi deposero l’arca di Dio presso Ebiatàr, finché tutto il popolo non finì di uscire dalla città. 25 Il re disse a Zadòk: «Riporta in città l’arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare e me la farà rivedere insieme con la sua Dimora. 26 Ma se dice: Non ti gradisco, eccomi: faccia di me quello che sarà bene davanti a lui». 27 Il re aggiunse al sacerdote Zadòk: «Vedi? Torna in pace in città con tuo figlio Achimaaz e Giònata figlio di Ebiatàr. 28 Badate: io aspetterò presso i guadi del deserto, finché mi sia portata qualche notizia da parte vostra». 29 Così Zadòk ed Ebiatàr riportarono a Gerusalemme l’arca di Dio e là dimorarono.
30 Davide saliva l’erta degli Ulivi; saliva piangendo e camminava con il capo coperto e a piedi scalzi; tutta la gente che era con lui aveva il capo coperto e, salendo, piangeva.
La fuga di David è un riavvicinamento a Dio
Un’altra notizia sconfortante lo raggiunge: Achitofel, suo stratega e consigliere tra i più influenti, si è messo dalla parte di Assalonne. Tutto sembra congiurare contro di lui. Ma quando tutto sembra perso, David rifiuta di porre la sua fiducia in un surrogato di Dio. Trova perciò aiuti insperati, come quello di Ittai di Gat, un filisteo mercenario: «Per la vita del Signore e per la vita del re, mio signore, dovunque sarà il re, mio signore, sia per la morte che per la vita, là sarà il tuo servo!» (15,21). Arriva Cusai l’archita, il più fedele consigliere ed amico. Mette in gioco la sua vita per infiltrarsi presso Assalonne e da lì agire secondo il piano di David.
Paradossalmente, è proprio con la decisione di fuggire che David riprende il suo ruolo regale. C’è una ripartenza. Esce finalmente dalla sua immobilità e reagisce alla storia, anche se, apparentemente, con l’accettazione della sconfitta. Che cosa è cambiato, allora, in lui?
Quel che è cambiato è che David con la sua fuga non salvaguarda la propria posizione, ma la vita del popolo, mentre personalmente si sottomette agli intenti di Dio per il suo regno. Torna ad affidarsi a Lui, come aveva fatto nella sua giovinezza. Lascia l’arca di Dio a Gerusalemme, perché non vuole usarla per i propri scopi: non gli appartiene, ma rappresenta la dimora di Dio in mezzo al suo popolo.
I Leviti, che si schierano con David, si preoccupano di portare a lui l’arca dell’Alleanza. È una scelta ovvia, ma in realtà rappresenta un espediente: garantirsi la presenza del Signore mediante un oggetto. David, riconoscendo la radice della sua sventura, cioè il proprio peccato, chiede a Zadoc di riportare l’arca in città. Ripone giustamente la sua fede nel Signore: «Riporta in città l’arca di Dio! Se io trovo grazia agli occhi del Signore, egli mi farà tornare e me la farà rivedere insieme con la sua Dimora. Ma se dice: Non ti gradisco, eccomi: faccia di me quello che sarà bene davanti a lui» (vv. 25-26).