La Bibbia dall’ABC. Caino e Abele: la fraternità negata

Le offerte di Caino e Abele. Mosaici del duomo di Monreale. Di Sibeaster – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4515670

I figli di Eva crescono, le loro strade si dividono. La fraternità è negata.

All’inizio del racconto sarebbe sbagliato contrapporre il buon Abele al malvagio Caino. Caino è il primogenito, il più apprezzato dalla madre, il più forte, privilegiato da Dio. È il primo ad offrire in sacrificio i frutti del suo lavoro. Ma non ha offerto le primizie, come richiederà poi la legge mosaica, o almeno queste non vengono menzionate: anzi, fa la sua offerta alla fine dei giorni, cioè alla fine della stagione, quando ormai è sicuro di quanto ha raccolto. Abele, invece, offre i primogeniti del gregge e il grasso, cioè le parti migliori.

Dopo dunque che i fratelli si sono differenziati intraprendendo lavori diversi e con diverso gradimento da parte della madre, avviene adesso un’ulteriore differenziazione anche sul piano religioso: offrono sacrifici diversi, e non pensano nemmeno a celebrare insieme l’offerta.

Dio si volge verso il disprezzato dagli uomini, Abele, che diviene a lui gradito. I commentatori ebrei spiegavano: «Abele con le sue offerte offriva anche se stesso».

L’offerta di Caino, invece, si riduce a vuota formalità. Egli risponde all’elezione con la durezza del cuore e la ripulsa della voce di Dio. Caino non è più gradito con la sua offerta, ma non per questo è respinto, rifiutato. Anzi, Dio lo segue nella sua irritazione e nel suo abbattimento.

Libero arbitrio

Dio lo ammonisce per il suo bene, lo richiama a sé: non deve forse tenere alta la testa se agisce bene? Se invece sente l’attrazione della colpa, sappia che questa si apposta alla sua porta come un robez, ma Caino lo può dominare…

Il peccato, insomma, non è una parte dell’uomo, gli è esterno, non lo costringe.

Dio chiarisce a Caino che davanti a lui sta la scelta fra il bene e il male, e non è una scelta obbligata, ma libera. Abbiamo qui il primo insegnamento esplicito del libero arbitrio che è nel potere dell’uomo esercitare. Il peccato è come una bestiaccia accovacciata alla porta, all’esterno, pronta ad entrare, ma la porta si può e si deve tenere chiusa, la bestia accovacciata si può respingere… L’immagine usata è molto vivace, ma per capirla meglio devo spiegare che cosa è un Robez.

Il Robez (v. 7)

Il v. 7 si traduce letteralmente:

«Forse che, se tu agisci bene, non c’è elevazione (se’eh) (del volto),

e se non agisci bene, alla porta c’è il peccato (chatta’th, femminile) accovacciato (robez, maschile)

e verso di te è il suo (maschile) desiderio e tu lo dominerai?».

Come vedete, nel testo originale c’è un errore grammaticale: il nome chatta’th è femminile, il participio che gli è attribuito è declinato al maschile. Come se si scrivesse: la colpa è accovacciato alla porta. È un errore anche in ebraico; ma se c’è ci sarà un motivo.

Forse l’agiografo ha pensato al Rabisu, un demone del mondo accadico che stava in agguato appiattito alla porta della casa per introdurvisi furtivamente:

«Essi penetrano di casa in casa,

nessuna porta può chiuderli fuori,

nessun chiavistello li può trattenere,

essi scivolano attraverso le porte a guisa d’un serpente»

(citato da “Biblica” 16 [1935] 431-442).

Questi spiritelli, se si fosse aperto loro uno spiraglio, sarebbero sgusciati nella casa e avrebbero combinato un sacco di guai, senza aver modo di cacciarli. L’unica possibilità di salvaguardarsene era quella di non aprire loro la porta… Ma Caino non ascolta l’ammonimento.