
La fine di Sodoma è raccontata con dovizia di particolari (Genesi 19). Nell’immaginario biblico, Sodoma e Gomorra sono simbolo di malvagità (Is 1,9-10; 3,9; 13,19; Ger 23,24. 49,18; 50,40; Ez 16,46-56; Am 4,11; Sof 2,9). Ma forse il peccato di Sodoma non è quello che immaginiamo, ma piuttosto quello di ingiustizia e oppressione (Is 1,10-17). Ezechiele fa riferimento al racconto della distruzione di Sodoma quando Dio si rivolge così a Gerusalemme: «Questa è stata la colpa di Sodoma: era orgogliosa di vivere nell’abbondanza e nella sicurezza. Non aveva preoccupazioni, tuttavia non ha aiutato i poveri e gli oppressi. È diventata arrogante e ha commesso azioni che io detesto. Allora io l’ho fatta scomparire dalla faccia della terra come tu sai» (Ez 16, 49-50).
Questa corruzione non può non avere conseguenze: non solo su chi la subisce, ma anche su chi la compie. E l’atteggiamento verso lo straniero ne è un indizio.
Infatti, sotto molti aspetti, il racconto di Sodoma è speculare, in negativo, a quello dell’accoglienza di Abramo. L’accoglienza porta benedizione, l’oppressiva non-accoglienza del popolo di Sodoma porta alla distruzione.
Il lungo racconto si può dividere in diverse scene.
Prima scena. L’accoglienza
I due messaggeri arrivano a Sodoma e sono accolti da Lot (vv. 1-3). Come Abramo è all’ingresso della tenda, così Lot si trova all’ingresso della città. Come Abramo, anche Lot accoglie ospitalmente i due stranieri che non riconosce come angeli.
Seconda scena. Il tentato abuso

Gli uomini di Sodoma tentano di abusare degli stranieri (vv. 4-11), in totale contrasto con l’accoglienza di Abramo e di Lot. La malvagità degli abitanti di Sodoma si esprime proprio in questo contrasto. Invece di rispettare lo straniero, lo mercificano, riducendolo a oggetto da manipolare a proprio piacimento. La loro cultura è cultura di abuso e di sfruttamento.
L’ospitalità di Lot si spinge invece fino ad una scelta abominevole per salvaguardare gli stranieri: offrire in cambio le figlie. Per la moralità comune dell’epoca, abusare di una donna era il male minore rispetto all’abuso di un uomo. Il particolare, comunque, per quanto da noi inaccettabile, sottolinea quanto per Lot fosse doveroso proteggere lo straniero entrato nella sua casa (“perché sono entrati all’ombra del mio tetto”).
Questo però ricorda agli abitanti di Sodoma che anche Lot è uno straniero per loro, quindi non ha diritto al loro rispetto. Saranno i due messi celesti a intervenire per salvare la situazione.
Terza scena. La fuga

I due uomini cercano di convincere Lot a fuggire con tutta la famiglia (vv. 12-14), e li portano fuori da Sodoma (vv. 15-17); Lot si rifugia a Zoar (vv. 18-23). Sembra che Lot reagisca con una eccessiva lentezza, anche dopo che i due uomini gli si rivelano esseremessi celesti, con una missione di distruzione. Devono agire con lui come con un bambino che non si rende conto del rischio: “presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie”… “Ecco quella città: è abbastanza vicina”.
Questo gesto di salvezza avviene per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui [v. 16].
Quarta scena. La fine di Sodoma

Sodoma e Gomorra vengono distrutte (vv. 24-25: quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sodoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore).
La conseguenza della violazione dei diritti dei più deboli è la sterilità, ben evocata dal paesaggio infecondo delle coste del Mar Morto, inospitale per la vita. Ne sa qualcosa la moglie di Lot: Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale (v. 26). Chi ha potuto visitare le coste del Mar Morto con le loro fantastiche concrezioni saline, e magari ha potuto fare il bagno nelle sue acque salatissime, non si meraviglia nel sentir raccontare questo dettaglio.
Quinta scena: le figlie di Lot (19,30-38)

E poi accade l’impensabile. Lot è un giusto, solo lui con la sua famiglia viene salvato dalla distruzione di Sodoma. Ma la salvezza non è un automatismo: ce lo insegna anche la vicenda della moglie di Lot, messa in salvo dalla città ma non dal proprio bisogno di sicurezza che la induce a guardarsi indietro per esser certa di potersi fidare. Non si fida, e rimane di sale.
Lot farà anche peggio, anche se inconsapevolmente. In fondo, anche lui va dietro al bisogno di sicurezze umane: teme altri assalti, vuol tenersi alla larga da ogni consesso umano. Così, costringe le figlie all’isolamento, contro ogni loro necessità di essere considerate persone che hanno il diritto e il dovere di farsi una famiglia. Infatti il loro gesto non è giudicato dal narratore, anche se è un atto di incesto che getta una luce infamante sui due popoli che saranno nemici storici di Israele, Moab (“Da mio padre”) e Ammon (etimologicamente “Figlio del mio popolo”). Non solo: saranno due popoli ostili agli stranieri. Nati dalla stessa famiglia di Abramo, avranno una storia completamente diversa.
C’è una strana analogia, da un certo punto di vista, con l’episodio che vede Noè, ebbro e scomposto, in preda dello sguardo predatore del figlio Cam. Dopo una storia gloriosa di obbedienza a Dio e di cura per gli altri… Così si naufraga quando si va dietro ai propri egoismi invece che farsi pervadere da una generosità simile a quella di Abramo (vedere QUI).