Lettura continua della Bibbia. La fine di Mosè (Dt 34)

La fine di Mosè
Foto di Jo Justino da Pixabay

Il cap. 34 del Deuteronomio registra la morte di Mosè all’età di 120 anni. Il numero 120 rappresenta chiaramente tre generazioni (40 x 3), quindi una totale pienezza di vita (cfr. Gen 6,3); tuttavia la sua morte sembra essere rappresentata come prematura, perché non riesce a raggiungere la Terra Promessa completando la propria missione. In effetti, il ​​libro del Deuteronomio non usa termini positivi per esprimere la vecchiaia di Mosè, mentre altri passi parlano della “vecchiaia matura, anziana e piena” di Abramo (Gen 25,8), di Isacco “anziano e pieno di anni” (Genesi 29) e della “vecchiaia matura” di Gedeone (Giudici 8,32). Al contrario, Deuteronomio 34,7 descrive Mosè come ancora vigoroso (cfr. però 31,2).

La fine di Mosè: perché non poté entrare nella terra promessa

L’affermazione più nota è quella, di scuola sacerdotale, secondo cui Mosè ed Aronne non ebbero sufficiente fiducia in Dio a Meriba (Numeri 20,12).

Altri passi di Deuteronomio (1,37; 3,26 e 4,21), invece, sembrano offrire una spiegazione diversa, attribuendo la sua esclusione dalla terra promessa alle azioni del popolo.

Secondo il racconto di Deuteronomio 1 fu al principio del viaggio nel deserto che Mosè fu condannato a morire fuori dal paese (1,37.46) insieme a tutta la sua comunità resasi responsabile di ribellione davanti al rapporto degli esploratori della terra di Canaan (vv. 27-29). Il racconto afferma altresì che la morte di Mosè è avvenuta a causa del popolo (v. 37): tutti gli israeliti che hanno lasciato l’Egitto (eccetto Caleb) non potranno entrare nella terra, compreso il loro capo, Mosè.

In Deuteronomio 3, Mosè incoraggia Giosuè dicendo che i popoli della Cisgiordania saranno da lui sconfitti come caddero sotto Mosè quelli della Transgiordania (vv. 21-22). A quel punto, Mosè supplica il Signore di lasciarlo entrare nella terra con Israele, ma il Signore rifiuta. Non se ne dice il motivo, ma sembra volgersi ad una sorta di vantaggio per Israele. Infatti, il testo dice che il Signore si infuriò con Mosè “per voi” (למענכם), intendendo che la decisione fu a vantaggio di Israele.

In realtà, come appare nel discorso di Mosè in Deuteronomio 31, la fine della sua leadership arriva quando raggiunge il numero limitato degli anni di una vita umana (cfr Gen 6,3). Pertanto, la fine di Mosè è la semplice conseguenza della sua mortalità. Il Signore, che è eterno, accompagnerà gli Israeliti nella loro vita come popolo destinato a sussistere, ma Mosè non avrà questa sorte.

La fine di Mosè a beneficio di Israele

Mosè sbaglia a chiedere un prolungamento innaturale della sua vita così da poter partecipare alla fase successiva del destino di Israele. È stato la guida dell’esodo e del cammino nel deserto, ma adesso nuove sfide attendono il popolo. Occorre un nuovo condottiero per iniziare una nuova fase: è la morte di Mosè che lo rende possibile.

Alcune aspettative popolari richiedevano che Mosè non morisse come un uomo normale, così il capitolo 1, seguito dal cap. 4, riflettono un tentativo di suggerire che Mosè non morì solo a causa della vecchiaia come qualsiasi altro mortale, ma a causa di un peccato grave, suo (tradizione P) o del popolo.

In contrasto con queste suggestioni, Deuteronomio attribuisce a Mosè l’esperienza della morte comune a tutti gli uomini, in tarda età, non potendo più essere attivo a sufficienza (cfr. Dt 31,2), sebbene le sue forze fossero fresche come quelle di un giovane (34,7). La sua missione termina così al culmine della sua vita, chiudendo un periodo. Era necessaria una nuova persona, Giosuè, per portare Israele nella Terra Promessa.

La fine di Mosè è davvero la morte?

Il racconto di Deuteronomio 34 suscita molte domande:

  • Com’è possibile che si forniscano così tanti dettagli sulla vicinanza della tomba di Mosè, eppure la posizione precisa della tomba rimanga sconosciuta?
  • C’erano molti siti sepolcrali antichi, la cui ubicazione è andata perduta perché la Torah deve invece prendersi la briga di notare questa mancanza nel caso di Mosè?
  • Come è possibile che le memorie delle tombe di altre figure (come Rachele) siano state mantenute, ma proprio quella di Mosè non sia stata conservata?
  • Se Mosè sale sul Monte Nebo nel v. 1, come finisce sepolto nella valle sottostante nel v. 6? Dove muore: sulla montagna, nella valle o da qualche altra parte?
  • Il corpo di Mosè come viene trasportato al suo riposo finale, e da chi? Chi è il “lui” senza nome che seppellisce Mosè (v. 6)?

La storia è chiaramente incompleta. Perché è stata lasciata tale?

Un tentativo di risposta

Basandosi sui primi scritti rabbinici, già nel medioevo Nachmanide notò che eventi, temi e storie che si verificano all’inizio della Bibbia spesso si ripetono nelle narrazioni successive anche con personaggi diversi e in altri contesti. In effetti, le storie bibliche successive sono spesso riflessi di narrazioni precedenti. Essendo presentato Mosè come il più grande tra tutti i condottieri israeliti, qualsiasi aspirante capo biblico vorrebbe presentarsi come Mosè.

Ad esempio, la vita di Giosuè si presenta come parallela a quella del suo mentore: Giosuè divide le acque (del Giordano) in modo che gli Israeliti possano attraversarlo a piedi asciutti (Gs 3 // Esodo 14); incontra un’apparizione divina che gli ordina di togliersi i calzari (Gs 5,13-15 // Esodo 3,1-6); manda delle spie a esplorare la terra promessa (Gs 2 // Num 13).

Mosè ed Elia

Allo stesso modo, anche la vita del profeta Elia segue da vicino la vita di Mosè.

  • In seguito allo sterminio dei profeti di Baal, Elia fugge dalla regina Jezebel che cerca di ucciderlo, in parallelo all’inseguimento di Mosè da parte del Faraone e alla fuga di quest’ultimo dopo l’assassinio dell’egiziano (1 Re 19,1-3 // Esodo 2,12-14).
  • In entrambi i casi il fuggitivo finisce presso un cespuglio (1 Re 19,4 // Esodo 3,1-2)
  • e vaga nel deserto fino ad arrivare all’Oreb (=Sinai) (1 Re 19,8 // Esodo 3,1).
  • Sulla stessa montagna, il profeta riceve una rivelazione mentre la Presenza di Dio gli passa accanto (1 Re 19,11ss. // Esodo 33,21-22; 34,6ss.).
  • Come Mosè (e Giosuè), anche Elia divide le acque e passa attraverso un importante corso d’acqua (2 Re 14,21 ss.).

La fine della vita terrena di Mosè ed Elia

La fine della vita terrena di Elia è preceduta dalla nomina del suo seguace, Eliseo, come suo successore, proprio come Giosuè è unto per guidare dopo Mosè (2 Re 2, Deuteronomio 34). Le informazioni geografiche offerte in 2 Re 2,8 collocano il profeta Elia proprio nelle vicinanze del Monte Nebo durante i suoi ultimi momenti sulla terra.

Ma qui le storie bibliche divergono. Deuteronomio 34 narra la morte di Mosè, mentre per Elia (2 Re 2,1) si parla di un suo rapimento in cielo con un carro di fuoco.

L’assunzione in cielo di Elia gli assegnò una parte importante nella tradizione ebraica, in cui Elia riappare regolarmente per aiutare gli indigenti, presiedere i riti di circoncisione o presentarsi alla Cena pasquale.

Resistenze ad accettare la morte di Mosè

Questo suggerisce un possibile parallelismo con un presunto racconto originario dell’assunzione al cielo di Mosè, come appare in alcune fonti pre-rabbiniche e rabbiniche. Ad esempio, nell’Assumptio Mosis, un’opera apocalittica del Secondo Tempio (o post-Secondo Tempio) che racconta la storia della morte di Mosè, Giosuè reagisce orrore quando Mosè gli racconta della sua morte imminente (cap. 11), come se questa morte fosse, in realtà, impossibile.

Nell’opera rabbinica altomedievale Midrash Petirat Moshe, un pensiero simile compare nella bocca degli angeli.

«Gabriele disse: “Come posso prendere l’anima di un uomo che è pari a 600.000 uomini?”. Successivamente lo disse a Michele, e Michele pianse. Lo disse a Zangaziele e questi disse: “Maestro dell’universo, io ero il suo insegnante e lui era il mio allievo, come posso prendere la sua anima?”».

Se Mosè in realtà non morì ma fu portato a Dio vivo, si spiega perché la tomba di Mosè non solo è sconosciuta, ma inconoscibile: semplicemente non esiste. Il misterioso “lui” che “seppellisce” Mosè è Dio stesso. Ma perché un simile esaltante racconto sul grande condottiero di Israele dovrebbe essere stato omesso dalla conclusione della Torah?

Perché omettere la menzione del luogo di sepoltura?

Il commentatore medievale Ralbag, Rabbi Levi ben Gershon, offrì una spiegazione ormai nota del motivo per cui la Torah si assicurava che non ci sarebbe mai stata una tomba terrena per il più grande di tutti i profeti:

«Hashem, possa Egli essere esaltato, determinato che nessuno avrebbe mai conosciuto il luogo di sepoltura [di Mosè] …, fece questo affinché, se il luogo fosse stato conosciuto, le generazioni successive avrebbero potuto [trasformare la tomba in un santuario e] e adorarlo [lì] come un dio…».

L’omissione del racconto della sepoltura potrebbe essere dovuto al timore di una divinizzazione di Mosè e della venerazione della sua tomba.

Io preferisco fare un diverso ragionamento. Il fatto che non si possa additare in alcun luogo una tomba di Mosè (quanto sarebbe stato facile inventare un luogo, nel caso in cui fosse rimasto sconosciuto!) è indizio forte della veridicità storica sostanziale della figura e della storia  di Mosè. Se la località della sepoltura resta sconosciuta è perché la sua fine è rimasta avvolta nel mistero, come quella di Elia, e l’onestà intellettuale dei narratori ha impedito che essi colmassero con particola inventati le lacune della storia.

Tuttavia, l’episodio della Trasfigurazione di Gesù, raccontato in Matteo 17 e nei paralleli di Marco e Luca, ci conferma che nell’immaginario popolare la fine di Mosè doveva essere stata misteriosa e gloriosa come quella di Elia. Mentre la Torah scritta si sforzava di evitare l’apoteosi di Mosè onde non deificare la sua figura, la tradizione orale della sua ascesa al cielo rimase nella memoria di Israele.