Il lungo racconto che ha Balaam come protagonista (Numeri 22-24) presenta caratteristiche insolite. La narrazione è priva di testi legali o cultuali. Contiene un forte umorismo utilizzato per screditare un profeta che, al di là delle sue vanterie, inizialmente manca di vista e di parola, qualità di cui la sua asina invece è abbondantemente fornita. Include straordinarie benedizioni per Israele, ma per bocca di un indovino pagano. La doppia faccia di Balaam è evidente.
Balaam e Mosè
«Mai più è sorto in Israele un profeta come Mosè», dice Deuteronomio 34,10. «Ma uno è sorto tra le nazioni!», rincalza un commento rabbinico, Sifrei Deuteronomio (357): Balaam figlio di Beor. Questo divinatore pagano riceve rispetto, e non solo disprezzo, nella tradizione rabbinica. Quando il re moabita Balaq lo manda a chiamare fiduciosamente per maledire Israele, «poiché – dice – so che colui che benedici è veramente benedetto, e colui che maledici è maledetto» (Num 22,6 ), Balaam insiste che non farà altro che trasmettere le parole di Dio.
Sifrei offre anche un elenco di ragioni per cui Balaam sarebbe stato superiore a Mosè: Balaam riconobbe Dio fin dall’inizio, a differenza di Mosè, che era rimasto sconcertato dal roveto ardente. Balaam sapeva quando Dio sarebbe venuto da lui, a differenza di Mosè, che rimane sorpreso dalla voce di Dio. Dio si presentava a Balaam anche quando questi giaceva in uno stato di trance visionario, mentre Mosè doveva rimanere vigile in attesa, stando al servizio di Dio come un servitore.
Certamente, la figura di Balaam, il cui nome ricorre ben 65 volte nella S. Scrittura (di cui solo 3 nel Nuovo Testamento), mantiene una sua importanza, in positivo come in negativo. È una figura ambigua.
La doppia faccia di Balaam
La Scrittura stessa sostiene pienamente entrambe queste immagini nettamente opposte. Balaam si presenta come un giusto tramite del messaggio di Dio che rifiuta addirittura le pretese dei potenti e l’offerta di ricchezza:
«Anche se Balaq mi desse la sua casa piena d’argento e d’oro, non potrei fare di mia iniziativa nulla di buono o di cattivo contro il comando dell’Eterno. Ciò che dice il Signore, questo devo dirlo» (Num 24,13 ).
Ma dopo alcuni capitoli (Numeri 31,16) Balaam è ricordato come istigatore alla trasgressione sessuale, in quanto avrebbe incaricato le donne moabite di sedurre gli israeliti, rendendoli degni di castigo (Num 31,16). Eppure alla fine della storia delle benedizioni Balaam lascia la scena per tornare a casa propria, e non era neppure presente durante questa opera di seduzione: Numeri 25 non menziona una sua ricomparsa né un suo coinvolgimento. Non lo menzioneranno neppure Deuteronomio 4 né i riassunti dell’evento di Giosuè 22.
La doppia faccia di Balaam: Balaam il buffone
La storia di Balaam non ha mai avuto un solo volto, nemmeno nella sua prima versione. L’immagine che se ne trae è quella di un veggente buffone meno capace del suo animale di vedere ciò che sta di fronte a lui, al punto di rischiare la morte. La realtà divina gli viene spiegata da un’asina che egli stava per picchiare ferocemente. Qui Balaam rappresenta l’opposto della profezia: la cecità spirituale, la collericità e la vendicatività.
In effetti, Balaam interpreta due ruoli contrastanti nella stessa storia. Balaam è il veggente che obbedisce alla volontà del Signore («Non posso disobbedire minimamente al Signore mio Dio», Nm 22,18) ma anche l’uomo maldestro, ignaro del mondo soprannaturale che incombe su di lui. Il conflitto è acuto: Balaam comunica direttamente con Dio e tuttavia si rivela così cieco da dover vedere il divino attraverso gli occhi di un’asina.
Balaam il profeta
Nelle visioni iniziali, Dio incontra Balaam di notte per impartirgli una serie di benedizioni. Ma dopo questa serie di oracoli il narratore denigra le rivelazioni di Balaam chiamandole con il termine dispregiativo di “presagi” (nechashim):
«Ora Balaam, vedendo che era buono agli occhi del Signore di benedire Israele, non andò incontro a presagi come prima, ma volse la faccia verso il deserto» (Num 24,1).
Dopo di che, la figura caricaturale di Balaam scompare per lasciare posto alla sua visione certa di ciò che il Dio di Israele gli vuole suggerire.
Al di là delle complicate vicende di formazione del testo, forse si dovrebbe cogliere questo aspetto: Dio per rivelarsi si serve anche di strumenti guasti. E si serve anche dell’umorismo…