La Bibbia dall’ABC. La donna nei racconti di creazione

Il giardino dell’Eden. Di Lucas Cranach il Vecchio – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=149737

Mi è stato chiesto del materiale su questo tema: la figura della donna nella Bibbia. Per affrontare questo argomento dobbiamo partire dal Principio, dal piano creazionale: una visione che rivoluziona il tradizionale binomio uomo / donna in quanto «essere attivo» / «essere passivo».

«Maschio e femmina li creò»

In Gn 1,26 il narratore enuncia solennemente:

«Dio creò l’adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Gn 5,2 ribadisce: «maschio e femmina li creò, li benedisse e li chiamò ’adam».

Allo stesso titolo del maschio, la donna è ’adam, “umanità”.Come c’è una profonda unità in Dio, c’è anche una profonda unità nell’adam (umanità), costituita a pari merito da uomini e donne. Attenzione, quindi: Dio non ha creato per primo l’uomo maschio come singolo personaggio, ma l’umanità come natura umana, che si individua concretamente nelle singole persone maschili o femminili.

Questa pari dignità è confermata dall’espressione riguardante la donna in Gn 2,18, «un aiuto di fronte a lui», che manifesta questa parità sostanziale: l’adam dà agli animali i nomi che competono loro, come il signore impone il nome ai sudditi, mentre dichiarandosi ’ish = «uomo maschio» riconosce all’«uomo femmina» il suo stesso nome declinato al femminile, ’isshah, perché della stessa natura dell’uomo la donna è fatta.

Quindi secondo il pensiero biblico non c’è differenza di natura fra maschio e femmina della specie umana, ma solo differenze ascrivibili ad una diversa conformazione psicofisica, all’interno di una medesima dignità. Differenze che rendono possibile la complementarietà tra uomo e donna ma che non incidono sulla dignità che entrambi i generi condividono davanti a Dio e fra di loro.

Questa visione, espressa addirittura nel VI secolo a.C., rappresenta una vera rivoluzione rispetto alla cultura di tutti gli altri popoli, presso i quali la donna è considerata un tipo inferiore di essere umano, un essere imperfetto, manchevole, da sopportare e da utilizzare per far figli e accudire la famiglia.

Nelle società antiche

Nelle estinte civiltà antiche, ed anche in altre che sono arrivate fino al nostro tempo, la donna è considerata come un essere umano di categoria inferiore. Secondo Platone, almeno in alcuni passi, la donna è una degenerazione fisica dell’essere umano: gli uomini che non arrivano a perfetta maturazione sono donne. Nella reincarnazione, un uomo che ha vissuto da malvagio rinascerà nel corpo di una donna.

Per Aristotele, la donna è un maschio sterile e dotato di una forma inferiore di intelligenza; perciò l’uomo deve dominare e la donna deve essere dominata. La donna è uno scarto di natura, e serve all’uomo per perpetuare la specie; il vero amore, però, quello più nobile, nella civiltà greca può essere provato solo per un altro uomo, o per un giovinetto in età di educazione. E siamo al vertice della raffinatezza intellettuale!

Maschile e femminile: la rivoluzione biblica

Il giardino dell’Eden. Di Erastus Salisbury Field – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17305153

Fra tutti i popoli dell’antichità, Israele è il popolo scelto da Dio per essere strumento della rivelazione del progetto creaturale divino. E il suo messaggio è questo: c’è un’unica umanità («’adam», da ’adamah / «terra»), e uomo e donna non sono altro che due diverse forme di espressione della medesima umanità.

La visione biblica rivoluziona il classico binomio maschio / femmina in quanto semplice binomio di attività / passività, superiorità / inferiorità, perfezione / imperfezione.

Afferma infatti Gn 1,26: «Dio creò l’adam a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò». Come c’è una profonda unità in Dio, c’è una profonda unità nell’adam, costituita a pari merito da uomini e donne.

C’è una sola umanità creata da Dio, l’adam, declinata nel maschile e nel femminile dei singoli individui, non una umanità suddivisa in classi di maggiore o minore importanza. Questo ci può sembrare scontato adesso, nel nostro mondo occidentale, ma non è ancora vero per molte parti della terra, dove la donna viene considerata non solo diversa, ma anche inferiore.

Pari dignità

L’espressione di Gn 2,18 «un aiuto di fronte a lui» esprime invece questa parità sostanziale fra uomo e donna, una concezione straordinariamente moderna; e mentre l’adam dà agli animali i nomi che competono loro, come il signore impone il nome ai sudditi, riconoscendosi ’ish = uomo maschio dà all’uomo femmina il suo stesso nome declinato al femminile, ’isshah, ossia il proprio, perché della sua stessa natura è fatta (nell’antichità si riteneva che la donna fosse una forma inferiore di vita rispetto al maschio).

Nel secondo racconto di creazione, prima di «costruire» la donna da un fianco dell’adam, il Signore Dio enuncia il suo progetto: «Non è bene che l’adam sia solo; gli farò un aiuto che gli stia di fronte» (Gn 2,18). L’adam allora diviene ’ish e ’ishshah, maschio e femmina della stessa identica natura e della medesima dignità ma resi individui con caratteristiche distinte. Benché gli studiosi sostengano che l’etimologia di ’ish / «uomo maschio» sia collegata con una radice che significa «essere forte», e ’ishshah / «donna» venga invece da una radice che significa «essere debole», in questo racconto ’ishshah non è altro che il femminile di ish.

Due persone, uno stesso nome

Ciò è molto significativo, perché nel brano in questione l’adam impone il nome agli animali riconoscendoli altro da sé e suoi sudditi, mentre alla donna, nella logica del racconto biblico, dà il proprio nome declinato al femminile, riconoscendola, pur nella differenza, pari all’uomo e della stessa natura e, come lui, creata ad immagine di Dio Gn 2,23). È stato il peccato, poi, a scombinare le cose, e la redenzione a rimetterle a posto; ma questa è un’altra storia.

L’adam si riconosce uomo (maschio) e donna (femmina) nella diversità dei sessi e delle persone ma nella profonda unità della stessa natura. La donna è colei che sta «di fronte all’uomo», lo guarda in faccia, dritto negli occhi, perché è pari a lui, stessa natura, osso delle sue ossa e carne della sua carne. Anche l’immagine della «costola» ribadisce in modo diverso lo stesso concetto.

La costola di Adamo

L’interpretazione di Hugo Simberg di Adamo, Eva e Dio in Paradiso. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=61511787

«Costola», «tzela‘», è parola che non si riferisce solo ad un ossicino della gabbia toracica, ma indica un’intera fiancata simmetrica ad un’altra, per esempio la fiancata di un edificio, in questo caso un fianco dell’adam. La traduzione greca è significativa, perché rende tzela‘ con pleurà che significa sia costola che fianco, ma che nel cap. 19 di Giovanni indica il costato trafitto del Cristo sulla croce, quindi non certo una costola, ma il fianco del nuovo Adamo dal quale Dio trae la Chiesa significata nell’acqua e nel sangue sacramentali che ne sgorgano.

I midrashim

I racconti rabbinici si sono sbizzarriti, in modo anche divertente, per cercare di spiegare la scelta divina di trarre la donna da una costola dell’adam.

Un racconto molto bello la spiega così: Dio non ha voluto trarre la donna dalla testa dell’uomo perché sarebbe stata altezzosa, neppure dai piedi perché sarebbe stata una schiava; l’ha tratta invece dalla costola, la parte più vicina al suo cuore.

Un racconto molto divertente nella sua misoginia invece attribuisce a Dio questi pensieri:

«Non la trarrò dalla nuca, perché sarebbe superba; non dagli occhi, perché sarebbe curiosa e spierebbe ciò che non deve; non dagli orecchi, perché origlierebbe alle porte; non dalla bocca, perché chiacchiererebbe in continuazione; non dalle mani, perché si impiccerebbe di tutto; non dalle gambe, perché andrebbe sempre in giro… la trarrò dalla parte più neutra ed innocua del corpo umano, la costola».

Eppure, a dispetto di tutte queste precauzioni, la donna ha tutti questi difetti, ed altri ancora…

In realtà, nella lingua dei sumeri, alla cui cultura l’ebraico era debitore, la parola «costola» designava anche la «vita», e il nome della dea Nin-ti, la «signora della costola», era traducibile anche come «signora della vita». Quindi nella visione biblica la donna, tratta dalla «costola», condivide la stessa «vita» dell’uomo, nella complementarità e non nella disparità.