De-estinzione: si può fare?

La de-estinzione
Vignetta di don Giovanni Berti su https://www.cercoiltuovolto.it/?p=236844

Gli scienziati stanno lavorando per la de-estinzione. Pentita della provocata scomparsa di molte specie animali, l’umanità cerca di correre ai ripari. Certamente è solo fantascientifico pensare di riportare in vita animali estintisi 65 milioni di anni fa, come i dinosauri. Ma quando di parla di mammut (“solo” 4.000 anni fa), dodo (1681,) e tilacino o tigre della Tasmania (1936), il discorso cambia completamente. Che ci sia la capacità tecnica è oggi certo, anche se gli animali “ricreati” non sarebbero identici ai prototipi scomparsi. È certo, ma è giusto?

Se vogliamo gettare uno sguardo da cristiani al Creato, dobbiamo prima di tutto imparare da San Francesco, come ci insegna a fare papa Francesco nella «Laudato si’».

Lo sguardo alle creature nella «Laudato si’»

«Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e”li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione”» (LS n. 11).

L’ecologia stessa deve avere uno sguardo contemplativo, che possa cogliere la realtà come mistero: «Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (n. 12).

«Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma. L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore (nn. 230 s.) ».

Gli interventi umani non possono dunque ridursi a mera tecnologia. Devono avere un senso grazie ad una visione ampia e profonda. «Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale» (n. 111).

D’altra parte, la terra, nostra madre e sorella, «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei» (n. 2). Invece, «la persona umana tanto più cresce, matura e si santifica quanto più entra in relazione, quando esce da se stessa per vivere in comunione con Dio, con gli altri e con tutte le creature. Così assume nella propria esistenza quel dinamismo trinitario che Dio ha impresso in lei fin dalla sua creazione. Tutto è collegato, e questo ci invita a maturare una spiritualità della solidarietà globale che sgorga dal mistero della Trinità» (n. 240).

Questi sono i principi. Che dire di una possibile applicazione?

Il processo di estinzione

Certamente non sono imputabili all’uomo, che non era ancora comparso sulla terra, le cinque grandi estinzioni di massa, nei periodi

  • Ordoviciano – Siluriano (450 milioni di anni fa: esplosione di una supernova?)
  • Devoniano superiore (375 milioni di anni fa: riscaldamento globale?)
  • Permiano – Triassico (250 milioni di anni fa: impatto di un asteroide?)
  • Triassico – Giurassico (200 milioni di anni fa: riscaldamento globale?)
  • Cretaceo (65 milioni di anni fa: scomparsa dei dinosauri; asteroide?).

Un’estinzione può avvenire per un mutamento improvviso dell’ambiente, cui gli animali non riescono ad adattarsi; o per l’arrivo di specie concorrenti o predatrici. Le specie più esposte a questo pericolo sono quelle che sono più specializzate, per esempio perché si nutrono esclusivamente di uno specifico cibo, come il panda, o perché occupano ristrette nicchie ecologiche come le tartarughe giganti delle Galápagos. All’altra estremità, quella di minimo rischio, si trovano le specie onnivore diffuse e adattabili, come il topo, la mosca, lo scarafaggio e l’uomo (che non è, quindi, in una posizione di onore).

In età moderna, a partire dal Seicento, le estinzioni sono state causate prevalentemente dall’uomo, o direttamente per la caccia, o indirettamente per la distruzione dell’habitat naturale, l’induzione di mutamenti climatici e l’introduzione di specie invasive non originarie del luogo. 

Estinzioni solo presunte

In alcuni casi, gli animali dichiarati estinti sono stati ritrovati in natura, come il celacanto, pesce che si credeva estinto fin dal Creataceo; il rospo arlecchino della notte stellata, il marsupiale australiano opossum pigmeo di montagna, la lucertola australiana tiliqua pigmea dalla lingua blu (certo che la natura ha molta fantasia); il wallaby dalla coda unghiuta dalle briglie ritrovato nel Queensland e ora rappresentato da circa 1.000 esemplari; il tragulo del Vietnam o topo-cervo dalla pelliccia argentata. E così via, per molti altri animali. In altri casi, si segnalano ripetuti avvistamenti, senza però che vi siano prove decisive, come nel caso del tilacino o tigre (o lupo) della Tasmania..

La de-estinzione

Mammut lanoso, Royal BC Museum, Victoria, British Columbia. Di Tracy O – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4387467

La de-estinzione è il processo di ricreazione artificiale di un organismo appartenente ad una specie estinta. La clonazione è il metodo più conosciuto, ma l’allevamento selettivo ha già dimostrato di poter essere utilizzato con successo (come nel caso del Quagga).

Il processo di de-estinzione è controverso: molti affermano che sarebbe meglio concentrarsi sulla conservazione delle specie attualmente a rischio, e fanno presente che gli habitat originali delle specie estinte ormai si sono adattati alla loro assenza. Che cosa succederebbe con la loro reintroduzione in natura? Diverrebbero a loro volta specie invasive? Inoltre, questi progetti possono solo portare ad imitare le caratteristiche genetiche delle specie estinte, ma non possono rigenerare perfettamente la loro diversità genetica.

Con la de-estinzione avremmo di fronte un processo fortemente manipolatorio della natura. D’altra parte, riportare in vita questi magnifici animali potrebbe costituire una sorta di risarcimento alla natura stessa per le perdite che le sono state inflitte.

Il mammut

Team di scienziati, dal 2013, stanno progettando la rinascita del mammut lanoso. Non si tratterebbe di clonazione pura, ma di utilizzazione del DNA di esemplari ben conservati all’interno dei ghiacci per produrre un embrione ibrido e impiantarlo in una femmina di elefante asiatico come madre surrogata. Pare che sia possibile avere le sperate nascite entro pochi anni. È stato proposto di reintrodurre gli animali all’interno del Parco del Pleistocene, una riserva naturale in Siberia.

Alcuni scienziati si aspettano che, come prima della loro estinzione, i mammut contribuiscano a mantenere la terra ghiacciata (permafrost) calpestando l’erba, abbattendo alberi e compattando la neve. Questo dovrebbe rallentare il disgelo del permafrost con il conseguente pericoloso rilascio di metano nell’atmosfera. Pensate! Il ritorno dei mammut potrebbe contribuire a restituire stabilità ad un ambiente naturale la cui compromissione, causata dal riscaldamento globale prodotto dall’uomo, avrebbe effetti disastrosi sul pianeta in cui viviamo.

La de-estizione dell’uro e del quagga

Dell’uro, estinto nel 1627, è rimasto abbondante DNA che può essere confrontato con quello degli animali moderni per individuare le razze che presentino ancora quei geni, per poi intraprendere un programma di allevamento selettivo. Ad ogni generazione la prole sarebbero sempre più vicina all’animale originale, anche se non identica.

La stessa cosa è già accaduta per il quagga, una sottospecie di zebra estinta nel 1880. Il nuovo animale, non geneticamente identico alla sottospecie estinta, è stato chiamato quagga Rau.

Il moa e il dodo

Si tratta di grandi uccelli non volatori (il moa, 4 metri d’altezza e 110 kg di peso; il dodo, con i suoi 30 kg, era comunque un columbiforme). Il moa si estinse circa 1400 anni dopo l’arrivo delle popolazioni Maori, in Nuova Zelanda. Il DNA è stato ritrovato in tracce di pelle e frammenti di gusci d’uovo. Il dodo dell’isola di Mauritius si è estinto nel 1640. Anche nel suo caso grazie a numerosi frammenti organici è possibile riportarlo in vita, usando come madre surrogata il parente più stretto, il piccione delle Nicobare.

La de-estinzione: il tilacino

La de-estinzione
In primo piano: tilacino femmina; in secondo piano: il figlio, un giovane maschio. Di Baker; E.J. Keller. – Report of the Smithsonian Institution, 1904. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=58331

Il tilacino o tigre della Tasmania è forse l’animale più prossimo alla de-estinzione.

Il Thylacinus cynocephalus era un marsupiale predatore diffuso in Australia, Nuova Guinea e Tasmania. La specie fu dichiarata ufficialmente estinta solo nel 1982, anche se recentemente numerosi avvistamenti sono stati segnalati in natura. L’Università di Melbourne ha ottenuto una donazione di 5 milioni di dollari dal Wilson Family Trust per ampliare il laboratorio di genetica e proseguire le attività di ricerca per riportare in vita questa specie mediante il sequenziamento del DNA. Un video dell’animale QUI.

Il prof. Andrew Pask, coordinatore del progetto di ricerca, ha affermato che il genoma della tigre della Tasmania è della qualità più alta rispetto a qualsiasi altra specie estinta; la sequenza del DNA per le specie che rappresentano i parenti più stretti del tilacino è stata completata e rappresenterà il genoma stampo; il parente più prossimo al tilacino è il topo marsupiale dalla coda grassa del genere Sminthopsis. Anche se il topo marsupiale è molto più piccolo del tilacino, tutti i piccoli dei marsupiali quando nascono sono minuscoli, e non darebbero problemi alle madri surrogate.

Occorrerà molto tempo, ma la cosa è fattibile; inoltre, l’habitat della Tasmania è rimasto quasi invariato e consentirebbe una facile reintroduzione in natura della tigre della Tasmania.

La de-estinzione: si può fare tecnicamente, si può fare moralmente?

Su tutto questo pesa una domanda: si può fare, ma è giusto farlo? L’umanità, certamente, ha perso molto quando ha provocato l’estinzione delle specie. Ha mancato ad uno dei suoi compiti. Forse non è male restituire alla natura, per quanto è possibile, ciò che l’uomo le ha carpito. Con prudenza, ponderando le possibili conseguenze.