Lettura continua della Bibbia. Osea: la conversione (cap. 2)

La conversione
Osea e Gomer.  Miniatura della Bibbia del Monastero di Santa Maria de Alcobaça, c. 1220s (National Library of Portugal ALC.455, fl.291v). Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80457365

Il secondo capitolo del libro di Osea, vv. 4—25, si presenta come una grande lite (RÎB) del Signore contro Israele, che però ne annuncia la conversione. La terminologia, tratta dal linguaggio legale, trabocca però della tenerezza dello sposo tradito ma non arresosi davanti all’infedeltà della donna sempre amata. La struttura letteraria segue la classica logica a spirale, per cui il tema dell’accusa è ripreso due volte, e seguito dall’invito alla conver­sione e dalla sentenza di castigo per la riconquista della sposa. Viene pronunciata la formula di divorzio:

“Essa non è più mia moglie

 ed io non sono più suo marito” (2,4).

Insieme allo sposo, la sposa infedele perde anche tutti i suoi beni, perché non era dagli amanti che traeva realmente la sua felicità. Gli amanti  di Israele sono le divinità cananee, gli dei della fecondità e della vita, da cui il popolo credeva dì ricevere pane, acqua , olio, lana…

La conversione di Israele

La sciagura è imminente: Israele tornerà nel deserto. Ma per volontà divina  il deserto è luogo di purificazione, il ritorno all’amore della giovinezza, del fidanzamento, della comunione con Dio:

16 Per questo io la sedurrò,

 la ricondurrò al deserto e parlerò al suo cuore.

17 Allora le restituirò i suoi vigneti

e farò della valle di Acor la porta della speranza.

Là ella canterà come ai giorni della sua giovinezza,

come il giorno in cui salì dalla terra d’Egitto.

18 In quel giorno, oracolo del Signore, ella mi chiamerà «Mio marito»

e non mi chiamerà più «Mio Baal».

19 Toglierò i nomi dei Baal dalla sua bocca

e non si ricorderanno più del loro nome.

20 Farò per loro un patto in quel giorno con le bestie dei campi,

con gli uccelli del cielo e i rettili della terra;

l’arco, la spada e la guerra li bandirò dalla terra e li farò dormire tranquilli.

21 Io ti unirò a me per sempre;

ti unirò a me nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell’amore;

22 ti unirò a me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore.

23 In quel giorno, oracolo del Signore, io risponderò al cielo

ed esso risponderà alla terra…

25 Lo seminerò per me nel paese, amerò “Non-amata”

e dirò a “Non-popolo-mio”: «Tu sei il mio popolo»,

ed egli dirà: «Mio Dio» (2,16-25).

Dunque, in questo secondo capitolo, al ripudio senza appelli del cap. 1 fa riscontro una prospettiva di recupero e di salvezza. Il Dio vivente vuol ridonare la vita e l’amore a colei che è caduta, e sarà amore come la prima volta. La conversione sarà un ritorno alla freschezza delle origini.

La seduzione

Il primo verbo impiegato, sedurre (PATHAH), ha nella Bibbia una connotazione di violenza esercitata con parole e pressioni per ottenere il consenso di qualcuno, viene usato per indicare la seduzione operata da un innamorato nei confronti di una ragazza (Es 22,15: “Se uno seduce una vergine che non sia fidanzata e dorme con lei, verserà il prezzo perché diventi sua moglie”) o da una donna per carpire un segreto all’amante (Giud 14,15: “Al quarto giorno essi si rivolsero alla moglie di Sansone: «Seduci tuo marito, perché ci dia lui la soluzione, altrimenti daremo fuoco a te e alla casa di tuo padre!»), e sarà nuovamente utilizzato da Geremia per esprimere l’azione con cui Dio spinge un uomo a parlare in nome suo non ostante la sua riluttanza (Ger 20,7: “Mi hai sedotto, Signore, e ho ceduto alla seduzione; mi hai forzato e hai prevalso…”).

Il pesante antropomorfismo esprime la presenza e l’azione di Dio per il suo popolo, il suo amore presente e liberante. Dio ama e soffre per il suo amore tradito, e non si arrende di fronte al tradimento.

Il deserto

Il deserto nell’Esodo rappresenta il luogo desolante della prova, ma da Osea è assunto come il tempo della situazione ideale di Israele, stato di totale dipendenza da JHWH unico Signore, Sposo e datore di vita.

Il deserto, in Osea, rappresenta un nuovo inizio per la storia del suo popolo. Nel deserto Dio parlerà al cuore di Israele, come un corteggiatore appassionato; anche questa è un’espressione usata per indicare la volontà di conquistare Dina da parte del giovane Sichem (Gn 34,3: “E subito l’anima sua si legò a Dina, figlia di Giacobbe; amò quella giovinetta e parlò al cuore di lei”), o di far sua Rut da parte di Booz (Rut 2,13: «Possa io trovare grazia ai tuoi occhi, mio signore, poiché mi hai rassicurata e hai parlato al cuore della tua serva, mentre io non pretendo nemmeno di essere come una delle tue serve!»).

Il deserto è l’ambiente ideale per la rinascita di Israele, perché rende evidente la gratuità dei doni ricevuti. Osea rievoca l’ideale della vita nomade, le esperienze del deserto e del Sinai, come l’epoca del grende amore sponsale tra JHWH e Israele. E’ implicita l’idea che la sedentarizzazione, la vita cittadina abbiano avuto effetti deleteri sulla fedeltà e sulla fiducia di Israele verso il suo Dio.

La conversione: le nozze

La tenace fedeltà del Signore, infine, vincerà la riluttanza del popolo: Israele tornerà ai tempi della sua giovinezza, dell’innamoramento. In quel giorno, Israele non chiamerà più Dio con il nome di BA´ĀLΠ = Mio padrone, ma `ÎSHÎ= Mio marito, quindi esprimendo un rapporto paritario di amore e non di sudditanza. Il termine Ba´al ha doppio senso, perché richiama anche il nome della divinità cananea adorata in più luoghi sotto vari titoli.

Nei vv. 21 s. ritorna con forza il linguaggio nuziale: l’espressione  “Ti farò mia sposa per sempre”, resa con il verbo `ĒRAŚ indica la celebrazione delle nozze con una ragazza nubile, usando il verbo del primo matrimonio, le nozze con una vergine e non con una vedova o ripudiata. Dio è talmente novità assoluta che anche il suo matrimonio con una prostituta o con una adultera diviene matrimonio con una vergine, una vergine che diviene sua per sempre  (le ôlam), irrevocabilmente, come la promessa fatta ad Abramo di alleanza perenne.

I doni nuziali

La dote della sposa sarà di virtù interiori:

  • giustizia (sedeq), diritto (mishpāt), binomio tipico di Amos;
  • benevolenza (chesed), amore (rachamîm), termini tipici di Osea;
  • fedeltà (`emûnâ),espressione tipica di Isaia:

non solo, quindi, capacità di riamare teneramente e fedelmente Dio, ma anche di stabilire rapporti sociali giusti contro i soprusi e le violenze del presente.

Martin Buber (La fede dei profeti, Marietti 1983) evidenzia che lo chesed originariamente è il rapporto di benevolenza e di fedeltà che lega un signore e i suoi sudditi, e non ha una connotazione di vera reciprocità. Il SIgnore, che esercita benevolenza e fedeltà, richiede proprio questo chesed da Israele, ma non come qualcosa che debba essere reso a Lui: piuttosto, come una benevolenza da dimostrare nei confronti di tutto. L’autentico concetto di reciprocità nel rapporto Dio-Israele è espresso in Osea, secondo Buber, mediante l’immagine del conoscere.

“E tu conoscerai JHWH”: JĀDĀ´ è il caratteristico eufemismo biblico che esprime i rapporti sessuali dei coniugi. Non si può escludere questo senso proprio, in un testo che adotta un linguaggio nuziale. Ma in Osea conoscere ha anche un senso più ampio di rispondere con fedeltà piena, aderire totalmente a Dio.

La comunione ristabilita fra Dio e il suo popolo riporterà anche la pace con il mondo esterno, prima sconvolto dal peccato di Israele (cfr. Gen. 3): il Cielo ridarà prosperità alla terra, e Jzreèl riacquisterà il suo vero significato: “Dio ha seminato”, Dio ridà vita a Israele, e questa sarà nuovamente Amata, sarà nuovamente Suo popolo, ed Egli sarà per lui il suo Dio.