Lettura continua della Bibbia. La Confessione di Pietro (Mt 16,13-23)

Rilievo d’altare (1480/90): Simone di Cirene aiuta Gesù a portare la croce. Museo di Weilheim – Di GFreihalter – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67410749

La sezione narrativa costituita dai capitoli 14-17 di Matteo, come già abbiamo detto, rappresenta il centro del Primo Vangelo. Esprime anche l’attenzione di Matteo per il materiale petrino, a partire da un episodio particolare: la Confessione di Pietro.

La sezione è formata da due parti: la prima, che abbiamo già trattato, è la cosiddetta Sezione dei Pani (14,1-16,12) e presenta Gesù come Pane spezzato per i giudei e per i pagani.

La seconda parte (16,13-17,27) concorre anch’essa a mettere in luce chi sia Gesù, parlando del suo Messianismo sofferente.

È caratteristica di Matteo il mettere in risalto la fede petrina, e Pietro ne è infatti un personaggio chiave. Il centro strutturale è costituito dall’episodio della Trasfigurazione, di cui Pietro è testimone:

a) Confessione di Pietro (16,13-20)

b) Primo annuncio della passione (16,21-23)

c) Trasfigurazione (17,1-13)

b’) Secondo annuncio della passione (17,14-23)

 a’) Il tributo di Pietro

Come si vede, il tema di Pietro rappresenta la cornice esterna del materiale qui contenuto [a + a’]. La seconda cornice, interna, è costituita dai due annunci della Passione [b + b’], e al centro sta la Trasfigurazione [c]: poi cercheremo di capire perché.

La Confessione di Pietro (16,13-20)

La consegna delle chiavi a Pietro, miniatura dell’XI secolo. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=155314

Cesarea, residenza del tetrarca di Gaulanitide Filippo, si trovava alle pendici dell’Hermon e alle sorgenti del Giordano, nel punto più settentrionale della terra di Israele, il luogo più lontano da Gerusalemme. Gesù vi si ritira con i suoi discepoli per essere con loro in intimità e introdurli gradualmente al mistero della sua identità più profonda. Le domande che rivolge loro mirano a provocare la risposta di fede.

La prima domanda, generica, riceve una risposta generica: il popolo crede che Gesù sia uno degli antichi profeti redivivo.

La seconda è più diretta: «Ma voi, chi dite che io sia?» (16,15). Definire Gesù come profeta è giusto, perché lo è, ma è riduttivo, non dà ragione del suo vero essere. La risposta, non per caso, viene dall’irruenza di Pietro, guidata dalla fede. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (16,16).

Per noi la risposta di Pietro suona come una chiara professione di fede nella divinità di Cristo, ma dobbiamo sapere che nel contesto originario ebraico «Figlio di Dio» è titolo consueto del Messia in senso metaforico, figlio di Dio per adozione e non per natura. Gli angeli sono figli di Dio, il re è figlio di Dio, i giudici sono figli di Dio e se si comportano iniquamente dovrebbero ricordarsi di questo rapporto con Dio che ha affidato loro l’esercizio della giustizia fra gli uomini. È un modo di dire. Pietro senza saperlo si sta già esprimendo con la fede della Chiesa e non per ragionamento umano («carne e sangue»), ed è per questo che Gesù lo sceglie come primo degli apostoli e ne fa la roccia su cui fondare la Chiesa.

La promessa di Gesù è imperniata sul gioco di parole dovuto al soprannome Kepha, sostantivo aramaico corrispondente al greco pétros / pietra (e, come questo, semplice nome comune, non usato all’epoca come nome proprio), che il Maestro impone al pescatore Simone bar Jonah.

Non la persona fisica di Pietro, ma la sua fede sarà la pietra su cui Gesù edificherà la sua Chiesa, e questa costruzione sarà così forte, non ostante le debolezze degli uomini, che neppure le forze degli inferi potranno prevalere su di essa. Il ruolo che Pietro – o meglio, ogni suo successore – dovrà svolgere è ben rappresentato dal simbolo delle chiavi, chiaro segno di autorità sulla casa, e da quello del legare e sciogliere dagli obblighi.

Ma Gesù impone il silenzio sulla sua qualità messianica: non è nella gloria che si deve manifestare. Infatti, il suo insegnamento sarà del tutto diverso.

L’episodio, nell’interpretazione prescoché letterale di Zeffirelli, QUI.

Primo annuncio della Passione (16,21-23)

Ary Scheffer (1795–1858). Pubblico dominio. https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4b/_Walters_37111.jpg

Contrariamente all’idea gloriosa del Figlio di Davide vittorioso che regna sulla città di Dio, Gesù si presenta come colui che andrà a Gerusalemme, ma per patire, essere ucciso e risuscitare il terzo giorno.

Quello che per noi è chiarissimo, per i discepoli, al momento, è oscuro: il Messia non doveva morire – un Messia morto avrebbe solo dimostrato di essere un falso Messia – e quindi neppure risorgere. Le Scritture che Gesù, e noi con lui, legge in relazione al suo messianismo sofferente, i salmi della passione del Giusto (ad esempio, il salmo 22) e la figura del Servo (Is 52,13-53,12), erano interpretate dagli ebrei del suo tempo in relazione ad una figura di giusto o di profeta.

Pietro dimostra subito, infatti, l’incomprensione di tutti i discepoli rimproverando a Gesù le sue strane e inammissibili intenzioni. Da discepolo si fa maestro che si mette davanti ed insegna la strada. Ragiona secondo schemi umani che contrastano la paradossale logica divina dell’umiltà e dello svuotamento di sé. Da pietra di fondazione diviene pietra di inciampo, da seguace diviene avversario, «satana». Viene perciò invitato da Gesù ad andare dietro di lui, non a precederlo senza sapere dove andare.

È questo l’essere discepoli: seguire la via del Maestro rinunciando a se stessi e alla propria stessa vita per guadagnarla. Maestro e discepoli devono intraprendere la stessa via che non è quella dell’onore e del potere. Eppure, la vera gloria sarà questa, quando il giudizio verrà.