Vediamo di seguire insieme una traccia biblica di riflessione su questo argomento molto importante che riguarda il rapporto dell’uomo con le altre creature. Insieme ad esse, è chiamato a glorificare il Creatore e insieme ad esse forma la Comunità del Sesto Giorno.
Il fatto è che l’uomo, l’adam, non è solo su questa terra. Forma con gli animali, in questa nostra Casa comune, quella che si può chiamare «la comunità del Sesto giorno». Perché questo nome, e quale è il suo significato profondo?
Le parole chiave che ci aiuteranno in questa analisi sono sei: dignità, responsabilità, pace, comunanza, vita, redenzione.
Prima parola chiave: Dignità
La dignitosa autonomia della natura
Nel racconto biblico, Dio crea la materia e le dà forma, dotandola di leggi proprie, le leggi naturali, ognuno secondo la propria specie… Questo è un ritornello che accompagna la creazione degli esseri viventi, piante ed animali. Nel quadro creazionale, la natura viene insignita di una sua dignitosa autonomia: la terra germogli… le acque brulichino… la terra produca… L’Input divino la rende capace di un proprio sviluppo. Si potrebbe anche dire che il grande quadro creazionale è un quadro evolutivo. In esso ogni cosa trova il suo posto secondo le leggi di natura, dalla materia bruta all’energia, dalle forme di vita primitive alle più avanzate.
La gioia della natura
Questa natura scoppia di gioia davanti al suo Creatore. La gioia è espressa particolarmente dalle creature marine che guizzano nelle acque con un movimento di rapida festosità, in particolare i tanninim, i mostri marini o più propriamente i cetacei che non sono esseri orribili portatori di male ma creature fatte per il gioco. Come canta il salmo 104, una sorta di Cantico delle creature ante litteram, Dio ha fatto il mare con tutte le sue creature piccole e grandi, il mare che vede la fatica degli uomini che lo attraversano con le navi, ed ha plasmato il Leviatano per giocare con lui (v. 26).
Le grandi acque che tanto spaventavano il popolo di Israele non sono altro che la casa di tante creature belle e liete. Infatti, ultimo creato, come l’ospite d’onore chiamato in una casa così bella pronta in sua attesa, viene l’adam. Adam in ebraico non è un singolo individuo, ma è l’umanità, nome collettivo che comprende ogni essere umano.
Seconda parola chiave: Responsabilità
La responsabilità dell’adam
Fra la creazione degli animali e quella dell’umanità c’è uno stacco, segnalato da un progetto speciale di Dio. Questo progetto è tanto solenne che si esprime col plurale deliberativo («Facciamo un adam a nostra immagine e a nostra somiglianza, e domini…»). C’è uno stacco, una gerarchia relazionale. Tuttavia, dominare non vuol dire tiranneggiare. Indica invece un rapporto di responsabilità e di cura come di un buon padre di famiglia verso i propri cari, familiari, domestici, animali. Il compimento della creazione degli animali – iniziata il quinto giorno – e la creazione dell’uomo hanno luogo il sesto giorno, formando una comunità di creature che avranno un cammino per molti aspetti comune.
Il senso della presenza dell’immagine di Dio in ogni essere umano consiste proprio nel rispecchiare la regalità e la cura di Dio verso il creato. Dio esercita la cura verso il creato, attraverso l’umanità come un re che ponga una sua immagine nel regno perché ogni suddito, guardandola, si ricordi del suo rapporto con lui. Un’immagine che però deve essere somigliante e non deforme, una brutta copia che distorca l’originale.
Ognuno di noi ha la responsabilità di servire Dio riconoscendolo nell’altro uomo (Avevo fame…: nel povero Dio è affamato, è pellegrino, è carcerato, è infermo), ma anche di essere per ogni altro una immagine fedele di Dio in ogni campo. Una duplice responsabilità, ed enorme, per di più. Ad ogni passo, noi dovremmo chiederci: come possiamo «copiare» il suo comportamento? Come si comporterebbe il Signore in questo caso?
L’adam e gli animali
Ciò vale anche per il rapporto con gli animali, con i quali formiamo la comunità del Sesto giorno. Il secondo racconto biblico di creazione, Gn 2,4b e seguenti, ci dice che siamo impastati della stessa terra, adamah: tutt’al più, l’adam è impastato con la polvere – ‘aphar – più fine. Animali dei quali abbiamo la responsabilità. Compagni di creazione, gli animali sono anche compagni di vita: perché la connaturalità non si ferma all’atto della creazione, ma prosegue nella storia del mondo.
Ma allora, se siamo connaturali e c’è solo un rapporto gerarchico, dove sta la differenza? La differenza c’è ed è vistosa. L’animale appartiene alla sfera della natura, segue le proprie leggi che però non sono di carattere etico. Sono, quelle che riguardano gli animali, leggi naturali. Esse implicano non solo istinti ma anche, negli animali superiori, capacità di intelligenza, di affetto e di sofferenza. Non implicano però la capacità di scelta morale – gli animali non hanno malizia, la loro eventuale violenza e la loro stessa bontà sono frutto di natura («ché di natura è frutto ogni vostra vaghezza…», cantava Giacomo Leopardi).
L’umanità non è confusa con il resto del creato, ma occupa un posto, una dignità e una responsabilità sua propria nel disegno creazionale di Dio.
L’uomo creatura del dialogo
C’è un particolare, nel testo ebraico, che fa riflettere su questa differenza. All’atto della creazione della vita animale, Dio pronuncia delle parole, ma lo fa in questi termini:
«E Dio li benedisse dicendo: “Crescete e moltiplicatevi…”».
Il verbo lemor è all’infinito, un modo indefinito, impersonale, generico (come il nostro gerundio). All’atto della creazione dell’umanità, il testo ebraico usa la stessa formula ma afferma:
«E Dio li benedisse e disse loro…».
Qui il verbo ha assunto un modo finito, wayyomer lachem, che esprime la persona a cui si rivolge.
C’è quindi un dialogo da persona a persona: l’adam è l’essere della Parola, è la voce di un cosmo muto che loda Dio con la sua bellezza e con la sua maestà senza parole, e che non ha voce per esprimere la propria sofferenza, sta all’uomo comprenderla. L’uomo ha la parola e può lodare Dio verbalmente e coscientemente, l’animale lo loda con la sua sola esistenza, per natura.
In quanto animale, l’uomo appartiene all’ordine della natura e ne condivide le leggi, ma appartiene anche alla storia (gli animali invece vivono nel tempo stagionale, il chronos, ma non nella storia). L’uomo ha una capacità etica di scelta fra bene e male che gli permette (è un onore, ma anche un onere) di costruire la propria vita e la vita dei popoli.
Ma è possibile appartenere a più dimensioni senza che l’una cancelli l’altra? Ce lo dice un aneddoto riguardante il sovrano illuminato, Federico II di Prussia, della seconda metà Settecento. Federico II era stato un promotore dell’istruzione del suo popolo attraverso la fondazione di scuole, scuole che poi andava a visitare personalmente.
Una volta, in una di queste scuole, volle interrogare gli alunni in scienze naturali. Davanti alla lavagna di classe, chiese: «La pietra di cui è fatta questa lavagna, a quale regno appartiene?». Un bambino, molto vispo, alzò la mano e rispose: «Al regno minerale,m Maestà». «Bene! E l’albero che si vede dalla finestra, a quale regno appartiene?». «Al regno vegetale, Maestà». «Molto bene! E l’uccellino che salta su quel ramo, a quale regno appartiene?». «Al regno animale, Maestà». «Benissimo, proprio bravo! E io, a quale regno appartengono?». Il sovrano voleva divertirsi a mettere in imbarazzo il bambino costringendolo a dire che anche il re, in fondo, apparteneva al regno animale. Ma il bambino sorrise e rispose: «Al regno di Dio!».
Ecco come l’uomo appartiene pienamente al regno animale, è un animale come gli altri, ma ha una marcia in più: appartiene anche al regno dello spirito.
Terza parola chiave: Pace
Un progetto di pace
Mentre esiste un solo adam, una sola umanità, pur nella molteplicità delle esperienze e delle culture, esiste una grande molteplicità di animali, una biodiversità che è una benedizione, un dono per l’uomo e per la Casa comune. Si calcola che vi siano nel pianeta milioni di specie diverse di animali (oltre 8 milioni) una cinquantina delle quali si estingue ogni giorno: siamo di fronte al pericolo di una nuova estinzione di massa, questa volta dovuta all’impatto dell’uomo sul pianeta.
Ma il progetto divino di creazione, che culmina nell’adam, è un progetto di pace: quando nel racconto di Genesi Dio assegna in cibo ad ogni vivente la vegetazione, il significato teologico è che Dio non ha creato la morte o per lo meno non la morte violenta, ma questa entrerà nel creato per mezzo del peccato dell’uomo, una ferita profonda nel piano divino in cui regna l’amore.
Il permesso di mangiar carne sarà concesso dopo il diluvio (Gn 9,3), ad una umanità rinata dalle acque nella persona di Noè e della sua famiglia ma in tono minore, ormai in stato di peccato, vulnerata da questa antica ferita che ha incrinato il suo rapporto con la natura e con il mondo animale cui ormai ispira non solo timore reverenziale (mora’) ma terrore (chat).
Quindi noi, realisticamente, ci muoviamo in un terreno storico viziato dal peccato, da strutture di morte e da logiche di potere e di denaro che poco hanno a che fare con il disegno di pace che Dio ha per noi. Sarà sempre così?
Quarta parola chiave: Comunanza
Verso la comunità del Settimo giorno
No, la storia si sta muovendo e possiamo imprimerle anche un moto più giusto. Si sta muovendo verso il Settimo giorno, quello senza tramonto, quando Dio asciugherà ogni lacrima e farà nuove tutte le cose. Sta a noi costruire questo settimo giorno, perché Dio potrebbe farlo senza di noi ma, come dice S. Agostino, Sermo 169, 11, 13: «Chi ha creato te senza di te, non ti giustifica senza di te».
Il cammino di salvezza delineato nella Bibbia va verso questa direzione. Lo afferma Isaia:
11,6 Il lupo dimorerà insieme con l’agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
7 La vacca e l’orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
8 Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi.
In questa immagine visionaria, la pace ricomposta tra gli animali, predatori e prede, in cui il serpente è il tradizionale avversario dell’uomo, viene espressa la pace originaria di cui Dio ci chiama a ricomporre il disegno. E Romani 8 riprende questa aspirazione cosmica, in un contesto di resurrezione (11E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi):
19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.
Il cammino dell’uomo non è solitario in questo cosmo corruttibile ferito dal suo peccato, ma è compiuto con tutte le altre creature, che, esse pure, anelano in qualche modo alla liberazione dalla corruzione, inconsapevolmente e innocentemente: ma è l’uomo, se si fa guidare dallo Spirito di Dio, che deve essere artefice di questa liberazione.
Nel frattempo… Gli animali compagni della vita
La responsabilità umana nei confronti del creato è enorme. Bisogna pensare che la cura di Dio (e l’uomo deve rispecchiarla) si estende su tutte le creature. Con tutte le creature Dio fa alleanza dopo il diluvio (alleanza noachica) ed a tutte le creature Dio promette la sua alleanza nella storia di peccato che il suo popolo ha intessuto:
Osea 2 20 Farò per loro un patto in quel giorno con le bestie dei campi, con gli uccelli del cielo e i rettili della terra; l’arco, la spada e la guerra li bandirò dalla terra e li farò dormire tranquilli.
Di tutti Dio ha compassione ed ha cura, e ne fa una unica comunità di salvezza. Ninive è la grande città cattiva, crudele e sanguinaria (cfr. Nah 3,1) e si sta avviando alla propria distruzione. Ma i suoi abitanti si convertono: credono a Dio, digiunano, fanno penitenza vestendosi di sacco, grandi e piccini, uomini e bestie (Gio 3,7-8).
Giona 4,11 «E io non dovevo aver pietà della grande città di Ninive, nella quale ci sono più di centoventimila esseri umani che non distinguono la destra dalla sinistra e così tante bestie?».
I diritti degli animali e la comunanza di vita
La religione di Israele è cruenta perché prevede il consumo di carne (non del sangue però, perché il sangue è la vita e la vita appartiene solo a Dio e a Dio deve tornare). Prevede anche i sacrifici animali sostitutivi di quelli umani: il male minore. Tuttavia, il benessere degli animali è tutelato, essi sono compagni di vita e:
- Hanno diritto al riposo del sabato. C’è un bel racconto rabbinico sul rabbino Jochanan chiamato il figlio della giovenca. Un ebreo osservante, caduto in povertà, è costretto a vendere ad un pagano la sua giovenca. La giovenca obbedisce puntualmente al suo nuovo padrone ma il sabato rifiuta di lavorare, come prescrive la Legge di Mosè. Il pagano allora chiama il precedente proprietario e gli spiega il problema. Se l’animale continuerà a non lavorare il sabato, dovrà restituirglielo e riprendersi i soldi. Allora l’ebreo supplica la giovenca: «Giovenca mia, aiutami e mettiti a lavorare anche di sabato, altrimenti il tuo nuovo padrone vorrà riprendersi i soldi, e allora come faremo noi due a vivere?». La giovenca, convinta, si mette a lavorare di sabato. Il pagano è molto colpito ed esclama: «Se un animale può riconoscere e seguire la volontà del Signore, come posso non farlo io che sono fatto a sua immagine e somiglianza?!». Così il pagano si converte all’ebraismo e diventa un Rabbi. Questo rabbi sarà conosciuto come Jochanan, figlio della giovenca, perché è stato questo animale ad avvicinarlo a Dio (Pesiqta Rabbati 56/57),
- Hanno diritto di nutrirsi mentre lavorano (Dt 25,4: «Non mettere la museruola al bue che trebbia»).
- Hanno diritto ad essere aiutati quando faticano, ad essere ricondotti alla stalla se smarriti (Es 23,4-5; Dt 22,13).
- Si deve aver riguardo per le loro forze (aggiogare asino e bue è proibito = Dt 22,10),
- E si deve avere il massimo rispetto per la vita. Se si trova un nido, bisogna lasciare libera la madre, per avere vita lunga e prospera. Dt 22,6-7: «perché tu sia felice e si prolunghino i tuoi giorni», cfr. Dt 5,16 «Onora tuo padre e tua madre come ti ha ordinato il Signore tuo Dio, affinché prolunghi i tuoi giorni e sii felice sul suolo che il Signore tuo Dio ti dona». Sono gli unici due precetti in cui si trova la promessa di una ricompensa.
Questa comunanza di vita riluce nel vangelo di Marco quando Gesù, condotto dallo Spirito nel deserto, vi rimane 40 giorni stando con le fiere, e gli angeli che lo servono. È il nuovo Adamo, Uomo nuovo che è totalmente conciliato con Dio e quindi amico della natura oltre che del mondo soprannaturale.
Questa amicizia e comunanza di vita con gli animali rimane caratteristica distintiva della santità.
I santi e gli animali
I santi si sono riconciliati con Dio e molti di essi hanno vissuto esplicitamente l’esperienza di sentirsi riconciliati con tutte le creature amate da Dio. La loro vita è modello per l’oggi e anticipazione dell’umanità rinnovata nel settimo giorno.
Frequenti sono i casi di belve che, ammansite, rifiutano di sbranare i cristiani dati loro in pasto. Orsi, leopardi, leoni divengono mansueti davanti a loro e, invece di divorarli, fanno loro le feste. Questo avvenne, secondo san Gregorio Magno, a san Cerbone: il santo, nato verso il 550 in Nord Africa, divenne vescovo di Populonia. Accusato dal pagano re dei Longobardi Totila di favorire i Bizantini, Cerbone fu esposto nella foresta per essere sbranato dagli orsi. Ma quando essi lo videro si fecero mansueti e gli dimostrarono il loro rispetto piegando la testa e leccandogli i piedi.
Il precedente biblico di questi episodi è quello di Daniele nella fossa dei leoni. Merita notare, a questo proposito, che Isaia di Gaza scrive che i leoni non lo assalirono perché capirono che era vegetariano. Cioè, era fedele a una dieta che secondo i monaci si dimostrava in armonia con la vera natura umana:
«i leoni gli si sottomisero per l’amore che aveva per Dio, lo annusarono e non trovarono in lui l’odore di chi mangia ciò che è contro natura» (Asceticon, 28).
Un tema ricorrente nei Padri è quello dell’unità fra le creature. Il cosmo è un’unità armoniosa di realtà diverse, «tanto che cose di natura completamente diversa sono annodate da un vincolo di concordia e di pace come se fossero inseparabili tra di loro» (S. Ambrogio, Esamerone, II,1).
L’uomo ha un ruolo di mediazione fra le creature terrestri e il Creatore. Dio, infatti, «pose Adamo secondo la sua immagine, in una dimora bella e desiderabile, perché le creature, per mezzo di un essere prossimo, invocassero con amore il Creatore» (Narsai, Omelia sulla creazione, III, 279-280). «Con amore si radunano presso di lui le creature mute e dotate di espressione e si rallegrano perché la loro natura fu associata alla gloria di lui» (Ibid., IV,10).
Preghiera di San Basilio:
«Dio, accresci in noi il senso della fraternità con tutti gli esseri viventi, con i nostri piccoli fratelli a cui Tu hai concesso di soggiornare con noi su questa terra. Facci comprendere che essi non vivono soltanto per noi, ma anche per se stessi e per Te; facci capire che essi amano, al par nostro, la dolcezza della vita e si sentono meglio al loro posto di quanto noi non ci sentiamo al nostro!» (S. Basilio di Cesarea, Omelie sull’Esamerone, II,1).
L’armonia con gli animali, una vera e propria amicizia, rappresenta una componente essenziale della tradizione monastica tanto in Egitto, presso i Padri del deserto, quanto nelle isole settentrionali, con il monachesimo celtico. Questa armonia risplende lungo il Medio Evo e trova in san Francesco d’Assisi il suo esempio più rappresentativo. Non mancano tuttavia, anche in tempi più vicini a noi, santi che hanno mostrato particolare amore e rispetto per gli animali.
Innumerevoli episodi riferiti ai Padri del deserto evocano una intensa condivisione di vita e una comunione profonda fra uomini e animali. Leoni e lupi facevano spesso visita alle dimore dei monaci, che li nutrivano regolarmente con frutta, pane e legumi, mentre animali come cerve, antilopi, capre e persino iene davano il loro latte. La più facile coabitazione con gli animali rispetto a quella con i confratelli è così sintetizzata da Poemen: «Se un uomo sopporta la compagnia di un fratello che abita con lui, può abitare anche con le bestie!» (Detti dei padri del deserto, XIV,2).
Quinta parola chiave: Vita
C’è una vita futura per gli animali? Verso la Comunità del Settimo Giorno
Che vi sia un futuro, insieme all’uomo, anche per il creato, non sembra da mettere in dubbio. Naturalmente questa – come le altre – è un’opinione teologica: non ci sono dogmi in proposito.
È vero che i salmi e altri libri sapienziali affermano che gli animali periscono, ma in quei passi dicono la stessa cosa degli uomini. La rivelazione biblica è progressiva e dato che è incentrata sul rapporto dell’uomo con Dio, nel campo della vita futura degli uomini ha fatto passi da gigante (passando dall’immagine di un triste sheol alla gioia eterna condivisa con Dio). Non altrettanto per quanto riguarda direttamente gli animali.
Come osserva C.S. Lewis, anche se gli animali fossero veramente immortali, non è detto che il Signore ce lo avrebbe rivelato nella Bibbia:
«La cortina è stata strappata a un certo punto, e a uno soltanto, per rivelare le nostre necessità pratiche immediate e non per soddisfare la nostra curiosità intellettuale. Se gli animali fossero davvero immortali, è improbabile, da quello che posso capire del metodo di Dio nella rivelazione, che Egli avrebbe rivelato questa particolare verità. Perfino la dottrina della nostra immortalità appare tardi nella storia del giudaismo. L’argomento tratto dal silenzio è dunque molto debole» (C.S. Lewis, Il problema della sofferenza, 116 s.).
D’altra parte la Rivelazione ci dice pochissimo non solo sugli animali, nostri compagni su questa terra, ma anche sugli angeli, per noi messaggeri e tutori. Il silenzio su alcuni aspetti dell’esistenza animale non deve, quindi, essere immediatamente considerato segno di trascuratezza o di disprezzo. Anzi, la Scrittura ci permette di riflettere sul destino ultimo delle creature animali.
Risorgeranno anche gli animali?
«Risorgeranno tutti, anche le zanzare?». La domanda posta in questo modo è, ovviamente, umoristica e un po’ provocatoria e C.S. Lewis immagina che gli venga rivolta da qualcuno che lo voglia prendere in giro per le sue idee animaliste:
«una domanda a cui si dovrebbe rispondere sullo stesso livello facendo presente che, se succedesse il peggio, un cielo per le zanzare e un inferno per gli uomini si potrebbero combinare insieme in maniera molto soddisfacente» (Ib., 116).
Dante del resto l’aveva già fatto, del resto, nell’anti-inferno, con gli ignavi tormentati dagli insetti (Inferno, canto III).
A parte la provocazione, la domanda sulla sorte futura degli animali è una domanda seria e chiede di essere esaminata alla luce della Scrittura e della riflessione teologica.
Alcuni testi biblici come l’inno cristologico della lettera ai Colossesi o il capitolo 8 della lettera ai Romani parlano della redenzione di tutto il cosmo che è stato creato in Cristo e per Cristo, e lasciano intravedere la salvezza e la trasfigurazione gloriosa di tutto il creato nel suo insieme. Nella prospettiva di una salvezza universale che non conosce confini e del dilagare della vita in ogni essere creato, possiamo collocare alcuni sorprendenti testi patristici. Ad esempio, Efrem Siro si riferisce esplicitamente al rinnovamento delle creature nell’ultimo giorno: «Alla fine dei tempi, queste stesse creature saranno fatte nuove» (S. Efrem Siro, Commento al Diatessaron, 5,12).
Fra i Padri latini basti ricordare un bel testo di sant’Agostino nel Commento al vangelo di Giovanni:
«Quello stesso che ha salvato te, quegli salverà il tuo cavallo, quegli la tua pecora – veniamo agli esseri più umili (“minima”) – quegli la tua gallina» (S. Agostino, Tractatus in Evangelium Johannis 34, 3 in CCL 36, 312).
Nella Laudato si’ papa Francesco afferma:
Secondo la comprensione cristiana della realtà, il destino dell’intera creazione passa attraverso il mistero di Cristo, che è presente fin dall’origine: «Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16). Il prologo del Vangelo di Giovanni (1,1-18) mostra l’attività creatrice di Cristo come Parola divina (Logos). Ma questo prologo sorprende per la sua affermazione che questa Parola «si fece carne» (Gv 1,14). Una Persona della Trinità si è inserita nel cosmo creato, condividendone il destino fino alla croce.
Dall’inizio del mondo, ma in modo particolare a partire dall’incarnazione, il mistero di Cristo opera in modo nascosto nell’insieme della realtà naturale, senza per questo ledere la sua autonomia. Il Nuovo Testamento non solo ci parla del Gesù terreno e della sua relazione tanto concreta e amorevole con il mondo. Lo mostra anche risorto e glorioso, presente in tutto il creato con la sua signoria universale: «È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,19-20).
Questo ci proietta alla fine dei tempi, quando il Figlio consegnerà al Padre tutte le cose, così che «Dio sia tutto in tutti» (1 Cor 15,28). In tal modo, le creature di questo mondo non ci si presentano più come una realtà meramente naturale, perché il Risorto le avvolge misteriosamente e le orienta a un destino di pienezza. Gli stessi fiori del campo e gli uccelli che Egli contemplò ammirato con i suoi occhi umani, ora sono pieni della sua presenza luminosa (nn. 99-100).
Di questo quadro luminoso, l’uomo è la voce cosciente, perché lo spirito di lode pervade tutto l’universo; tutto il Creato, per il solo fatto di esistere, è una lode al Creatore. Scriveva lo studioso ebreo Abramo Heschel:
«Essere presi dal timore reverenziale verso Dio non significa avvertire un sentimento ma essere partecipi di uno spirito che permea tutti gli esseri.”Essi tutti ringraziano, essi tutti lodano, essi tutti dicono: Non vi è nessuno uguale a Dio”. Come puro fatto di riconoscimento personale, la nostra lode sarebbe fatua; essa è significativa solo in quanto con essa ci uniamo al canto infinito: noi cantiamo insieme con i sassolini sulla strada, che sono come meraviglia pietrificata, insieme con tutti i fiori e gli alberi, che appaiono come ipnotizzati in uno stato di devozione silenziosa» (A.J. Heschel, L’uomo non è solo. Una filosofia della religione, Milano 1970, 82).
La lode di Dio
Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2416 insegna che «gli animali sono creature di Dio. Egli li circonda della sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza lo benedicono e gli rendono gloria». Nelle bestie la voce di lode del Creato si fa canora, e nell’uomo si fa consapevole.
Questo senso universale di lode è stato accolto anche dai primi scrittori cristiani. «Pregano anche gli angeli, prega ogni creatura», scriveva su questa linea Tertulliano (L’orazione 29, CCL 1,274). «Gli animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l’aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera».
Sesta parola chiave: Redenzione
Il nuovo Adamo redentore del creato
Esiste un ruolo salvifico dell’uomo nei confronti del mondo animale in stretta dipendenza dalla salvezza operata da Cristo, Verbo incarnato.
Il peccato dell’uomo ha infranto l’armonia creazionale ed ha ferito il progetto originario di Dio sul creato. L’uomo è stato creato a immagine del Figlio di Dio e la redenzione dell’uomo avviene attraverso l’intima unione fra l’uomo e Cristo, il Figlio obbediente. Come Cristo rende l’uomo veramente uomo, così l’uomo dovrebbe rendere l’animale, ogni animale selvatico o domestico, veramente se stesso, in un rapporto edenico restituito alla salvezza, ai nuovi cieli e alla nuova terra in cui gli animali saranno la compagnia dell’umanità rinnovata in Cristo.
La redenzione, infatti, è estesa quanto la creazione, e Gregorio Nisseno arriva a dire che in Cristo tutta la creazione diviene un solo corpo (S. Gregorio Nisseno, In Illud, PG 40, 1317c). L’uomo può essere considerato la cerniera – fibula, come si esprime san Bonaventura – fra la realtà spirituale e la realtà materiale. L’uomo infatti è il custode del giardino, della Casa comune; unito al suo Redentore, può portare a compimento il suo originario compito verso il creato.
L’uomo deve ritrovare l’armonia con la creazione ed esserne «signore» non nel dominio, ma nel servizio. Questo afferma la parola evangelica di Gesù che dice: «Io, il Signore, sono tra voi come colui che serve». Solo chi fa ordine dentro di sé, solo chi è pacificato, chi è incorporato al nuovo Adamo che è il Cristo, può riordinare anche la realtà e ricondurla a Cristo. Gli animali riconoscono l’uomo rigenerato dalla grazia, l’uomo rinnovato nel cuore che ha deposto violenza, aggressività e spirito di dominio, l’uomo che non sevizia e non uccide, come scriveva Isacco di Ninive:
«L’umile si avvicina alle bestie feroci, e appena il loro sguardo si fissa su di lui, la loro brutalità si placa; e si avvicinano e si uniscono a lui come al loro signore e fanno festa con la loro coda e leccano le sue mani e i suoi piedi. Infatti sentono che da lui [esce] quell’odore che emanava da Adamo prima della trasgressione del comandamento» (Isacco di Ninive, Un’umile speranza, a cura di S. Chialà, Magnano (BI) 1999, 179).
San Bonaventura dice di san Francesco che il suo amore fu così dolce e potente «da domare gli animali feroci, addomesticare quelli selvatici, ammaestrare quelli mansueti e spingere all’obbedienza la natura delle bestie divenute ribelli all’uomo dopo il suo peccato. È vero amore questo che, stringendo in un patto d’amore tutte le creature, tutto può, avendo in sé la promessa della vita presente e della futura» (Leggenda maggiore, cap. 8, 1.11).
Laudato si’
Papa Francesco scrive, nella conclusione della Laudato si’:
Alla fine ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr 1 Cor 13,12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine. Sì, stiamo viaggiando verso il sabato dell’eternità, verso la nuova Gerusalemme, verso la casa comune del cielo.
Gesù ci dice: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). La vita eterna sarà una meraviglia condivisa, dove ogni creatura, luminosamente trasformata, occuperà il suo posto e avrà qualcosa da offrire ai poveri definitivamente liberati. Nell’attesa, ci uniamo per farci carico di questa casa che ci è stata affidata, sapendo che ciò che di buono vi è in essa verrà assunto nella festa del cielo. Insieme a tutte le creature, camminiamo su questa terra cercando Dio, perché «se il mondo ha un principio ed è stato creato, cerca chi lo ha creato, cerca chi gli ha dato inizio, colui che è il suo Creatore»(S. Basilio Magno, Hom. in Hexaemeron, 1, 2, 6). Camminiamo cantando! Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta non ci tolgano la gioia della speranza (nn. 243-244).
Sulla strada della vita
Allora, noi immaginiamo la nostra vita come una grande strada. Su questa strada incontriamo tanti animali. La Bibbia è piena di animali, ovviamente, perché rispecchia quella che è la realtà umana. In particolare, ne voglio ricordare due: il cane e l’asina.
Il cane di Tobia
Il cane compare in chiave positiva solo nel libro di Tobia con funzione di compagnia, la funzione per eccellenza che oggi riveste nella nostra società. La bestiola che accompagna Tobia lungo la strada – che il ragazzo sta percorrendo inseme ad un angelo che egli non riconosce – non svolge nessun ruolo narrativo, è proprio solo un animale da compagnia. Ma S. Gerolamo, che traduceva il libro di Tobia da una versione siriaca, riporta:
«Il cane che li aveva accompagnati per via corse innanzi e, sopraggiungendo come un messaggero, esprimeva la sua gioia agitando la coda» («tunc praecucurrit canis qui simul fuerat in via et quasi nuntius adveniens blandimento suae caudae gaudebat»: Tb 11,9 Vg).
Messaggero di salvezza l’angelo, messaggero / angelo di gioia il cane: messaggero non con le parole, ma con un linguaggio non verbale, quello della coda…
L’asina di Balaam
E terminiamo con un episodio in cui l’asino – anzi l’asina – viene in piena luce da protagonista. Il libro dei Numeri, al capitolo 22, narra la vicenda di Balaam, indovino pagano che, convocato dal re di Moab, Balak, si reca da lui sulla sua asina.
Balaam è stato convocato dal re perché maledica Israele, ma ciò non potrà essere: in realtà, giunto in vista dell’attendamento del popolo di Dio, anziché maledirlo lo benedirà quattro volte. Prima di raggiungere il re di Moab, però, Balaam, per tre volte, viene affrontato da un angelo con la spada sguainata, angelo che egli non è capace di vedere. Lo vede invece l’asina: la prima volta per evitare l’angelo e salvare la vita del profeta ripiega in un campo; la seconda volta si stringe contro il muro che costeggia il viottolo; la terza volta, non avendo spazio per voltare a destra o a sinistra, fa quello che fanno gli asini quando non vogliono andare avanti: si siede. Ogni volta Balaam, ignaro dell’angelo, la percuote rabbiosamente.
Alla fine il Signore apre la bocca all’asina, che parla chiedendo al padrone: «Che cosa ti ho fatto per percuotermi in questo modo per tre volte?». Balaam è così furioso che si trova comicamente a discutere con l’asina senza por mente al fatto che l’asina gli sta parlando: «Perché ti sei burlata di me; se avessi una spada in mano, ti ammazzerei subito». Ha dunque ragione l’asina di replicare saggiamente: «Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? mi sono comportata di solito così con te?». Il profeta, allibito, è costretto a rispondere: «No». Balaam, l’uomo sconfitto dalla saggezza animale, si deve arrendere all’evidenza dei fatti: l’asina parla, e gli ha salvato la vita!
Questo episodio umoristico racchiude certamente un significato più grande del semplice prodigio per cui Dio sa far parlare un animale. C’è molto di più. Ciò che avviene lungo la via è paradigmatico del viaggio della vita. L’uomo si comporta come se fosse solo, ma sopra di lui stanno i suoi fratelli maggiori, gli angeli che lui non vede, e sotto di lui camminano i suoi fratelli minori, gli animali, che lui vede senza comprenderli: e tutti sono al servizio del Signore.
Il mondo della natura, compagno di percorso dell’uomo, non è, non può essere un oggetto passivo delle nostre manipolazioni. Ha delle capacità di cui lui non dispone, delle risorse di cui lui è privo, un rapporto con il Signore che passa per vie che l’uomo non conosce. Ha una sua voce che parla di Dio. Per questo Paolo De Benedetti, nel suo grazioso libretto E l’asina disse…, conclude: «Nel nostro mondo senza tenerezza, avessimo almeno la grazia di udire la voce dell’asina» (P. De Benedetti, E l’asina disse…, 60).
La preghiera del cane
O Signore di tutte le creature, fa che l’uomo, mio padrone,
sia così fedele verso gli altri uomini, come io gli sono fedele.
Fa che egli sia affezionato alla sua famiglia e ai suoi amici
come io gli sono affezionato.
Fa che egli custodisca onestamente i beni che Tu gli affidi,
come onestamente io custodisco i suoi.
Dagli o Signore, un sorriso facile e spontaneo,
come facile e spontaneo è il mio scodinzolare.
Fa che egli sia pronto alla gratitudine come io sono pronto a lambire.
Concedigli una pazienza pari alla mia,
che attendo i suoi ritorni senza lagnarmi.
Dagli il mio coraggio, la mia prontezza a sacrificare per lui tutto,
da ogni comodità fino alla vita stessa.
Conservagli la mia giovinezza di cuore e la mia giocondità di pensiero.
O Signore di tutte le creature, come io sono sempre veramente cane, fa’ che egli sempre sia veramente uomo
(P. Pellegrino)
La preghiera del gatto
(R. Allegri, 1001 cose da sapere e da fare con il tuo gatto, Roma 2014, n. 830)
Signore Iddio, sorgente di ogni vita e Padre amoroso di ogni essere vivente, guarda con tenerezza anche me, un gatto, piccolissima Tua creatura.
Tu che conosci e comprendi ogni cosa, perché di ogni cosa sei origine e linfa, ascolta anche la mia vocina, perché tutto ciò che esiste ha il dovere e il diritto di rivolgersi a Te che l’hai chiamata all’essere e lo mantieni nell’essere per un motivo preciso, nella Tua provvidente bontà.
Io Ti ringrazio, a nome di tutta la specie che oggi Ti parla con il mio miagolìo di preghiera, di avermi creato e creato gatto, così come sono: morbido, allegro, elegante, seducente, dignitoso, infinitamente tenero con chi si prende cura di me.
Grazie, Signore, per aver creato tutto ciò che riscalda: il sole, alla luce del quale mi distendo a dormire appena si annuncia primavera; il fuoco del camino, accanto al quale mi piace indugiare quando l’inverno fuori è troppo rigido; le ginocchia della creatura umana che io amo e che mi ama, sulle quali mi acciambello in ogni stagione, perché quello è un calore che scalda anche il mio piccolo cuore, l’unico che mette in moto quel motorino di cui mi hai dotato e mi fa fare le fusa.
Tu mi hai posto accanto agli uomini per dare loro un motivo di gioia in più, ma non sempre l’uomo Ti capisce, Signore. Nella sua arroganza, troppo spesso crede di essere il padrone della natura e si crede in diritto di usare di noi – animali di tutte le specie – secondo il suo capriccio, troppe volte con crudeltà.
Restituisci all’uomo, Signore, l’umiltà di riconoscersi creatura tra le creature, fratello maggiore e non tiranno, tutore e non padrone di tutto ciò che esiste sulla terra.
Fa’ che usi della sua intelligenza, scintilla divina di cui lo hai reso partecipe, per imparare a comprendermi con buona volontà, superando i pregiudizi a causa dei quali mi ha definito egoista e traditore. Signore, perdonami l’audacia, ma queste sono caratteristiche umane: essi si tradiscono tra loro; ci abbandonano sulla strada non appena diveniamo d’impaccio ai loro programmi; molte volte tradiscono e abbandonano anche Te. E nella notte della Sua angoscia tradirono, rinnegarono e abbandonarono anche Tuo figlio, Gesù.
Ti ringrazio, Creatore fantasioso e geniale, dei mezzi espressivi di cui mi hai dotato per comunicare.
La mia coda che si alza diritta quando corro incontro alla creatura umana che io amo e che mi ama è il punto esclamativo che le esprime la mia gioia per il suo ritorno.
Il mio mantello setoso che ama le carezze e il mio piccolo corpo caldo che si accoccola accanto al suo sanno trasmettere il calore di una presenza, discreta ma importante quando si è troppo soli.
E quando sulla strada della sua vita scenderà la sera del dolore, i miei occhi lucenti di un bagliore che vince l’oscurità della notte le permetteranno ancora di guardare lontano. I miei occhi che brillano nel buio sapranno dirle che nessuna notte è tanto oscura se la Tua bontà pone un gatto, anche solo un gatto accanto al suo cuore ferito ed insieme aspetteremo che sorga una nuova alba di luce.
Ti ringrazio, Signore, di avermi creato Tuo strumento per rallegrare la vita umana. E quando la mia piccola esistenza sarà compiuta, non permettere che io vada perduto nel nulla.
Nel mistero della resurrezione di Cristo, primogenito di tutte le creature, fammi partecipe della Tua eternità.
E quando da una nuvola calda e dorata di sole udrai la vocetta di tutti i gatti del mondo dispiegarsi in un inno di amore e di lode, unirsi al coro maestoso di Serafini, Troni, Cherubini e Dominazioni, Ti prego, Signore, sorridi!
Preghiera per gli animali di San Basilio Magno
Signore e salvatore del mondo, noi ti preghiamo per gli animali che umilmente portano con noi il peso e il calore del giorno. Noi ti preghiamo per le creature selvagge che tu hai creato sapienti, forti, belle; ti preghiamo per tutte le creature e supplichiamo la tua grande tenerezza di cuore perché tu hai promesso di salvare l’uomo e gli animali e hai concesso loro il tuo amore infinito.
O Signore, accresci in noi la fratellanza con i nostri piccoli fratelli; concedi che essi possano vivere non per noi, ma per se stessi e per Te; facci capire che essi amano, come noi, la dolcezza della vita e ti servono nel loro posto meglio di quanto facciamo noi nel nostro.
San Basilio Magno (circa 330 – 379), vescovo e Dottore della Chiesa