
L’anno quarto di Dario, il quarto giorno del nono mese, detto Casleu, la parola del Signore fu rivolta a Zaccaria. Betel aveva inviato Sarèzer alto ufficiale del re con i suoi uomini a supplicare il Signore e a domandare ai sacerdoti addetti al tempio del Signore degli eserciti e ai profeti: «Devo io continuare a far lutto e astinenza nel quinto mese, come ho fatto in questi anni passati?» (7,1-14).
Sono passati due anni; il tempio è stato ricostruito ed è tornato alle proprie funzioni. Bisogna ugualmente proseguire nella pratica del digiuno?
Il Signore, interpellato, risponde per mezzo di Zaccaria con una contro domanda:
«Quando avete fatto digiuni e lamenti nel quinto e nel settimo mese per questi settant’anni, lo facevate forse per me? Quando avete mangiato e bevuto non lo facevate forse per voi? Non è questa forse la parola che vi proclamava il Signore per mezzo dei profeti del passato, quando Gerusalemme era ancora abitata e in pace ed erano abitate le città vicine e il Negheb e la pianura?».
La coerenza della vita
La parola del Signore è provocatoria: digiunavate per me o per voi? Mangiavate per me o per voi? Il che equivale a chiedere: vivete per me o per voi? Non è la ritualità esteriore a contare, ma l’interiorità. Ecco dunque le cose che contano:
«Praticate la giustizia e la fedeltà; esercitate la pietà e la misericordia ciascuno verso il suo prossimo (veramente in ebraico la parola è “fratello”). Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il misero e nessuno nel cuore trami il male contro il proprio fratello».
Ma Israele non l’ha fatto, non ha ascoltato, ha chiuso gli orecchi e indurito il cuore… Per questo sono stati dispersi in mezzo alle nazioni. La lezione del passato deve servire per il futuro: non basta ricostruire il tempio e praticare un culto, occorre rispondere con la rettitudine e la coerenza della vita alla relazione con il Signore.