In occasione della festa della Madonna del Rosario (7 ottobre), cui è intitolata la chiesa del Cotone a Piombino, voglio riprendere le memorie locali per ricordare un po’ di storia.
Una vertiginosa urbanizzazione
Nell’Ottocento, il piccolo centro urbano di Piombino, anche se capitale di un Principato, presentava ancora la fisionomia di un borgo medievale (1.400 abitanti nel 1810). Con l’industrializzazione di fine secolo, vede un incremento demografico vertiginoso: del 384% nel decennio 1891-1901, del 1.366% nel 1901-1911!
In quel decennio 1901-1911 Piombino passa da 8.309 a 19.660 abitanti. Negli anni del padre Giustino Senni (1917-1929) arriverà a circa 25.000. Poi crescerà ancora fino a 40.000 (1971), per decrescere nel cinquantennio successivo fino ai poco più di 30.000 attuali. Ciò non è dovuto a un fatto naturale ma al massiccio fenomeno migratorio.
L’insediamento delle industrie a Piombino, con l’inurbamento che ne consegue, ha anche l’effetto di dar vita per la prima volta ad uno sviluppo urbano fuori della cinta muraria. Nel 1895, l’unico edificio cittadino situato fuori della cerchia muraria era la stazione ferroviaria. Finché la popolazione è costretta a stiparsi all’interno delle mura (dove l’area per ogni abitante è di 7 m2), il sovraffollamento causa condizioni antigieniche inaccettabili. La relazione della Giunta municipale del 1906 affermava:
«la nostra città, pel suo ammirabile sviluppo industriale, racchiude una popolazione tre volte superiore a quella che, per le sue capacità, potrebbe contenere, e buona parte di questa popolazione vive ristretta in quartieri insalubri, privi d’aria e di luce, dove si sviluppano frequenti malattie, dove la mortalità è più alta che altrove, dove manca qualsiasi aiuto di rigenerazione intellettuale e morale, dove, infine, i nuovi venuti, attratti dalle industrie e dal lavoro, costituiscono una continua ed inevitabile minaccia alla salute ed al benessere pubblico, comprese quindi le classi abbienti» (Il problema dell’abitazione in un Comune a rapido sviluppo, Piombino, 4-7).
È proprio per questa ragione che nel 1903 era stata addirittura demolita una buona parte delle mura: per procurare una maggiore ventilazione agli alloggi.
Gli affitti costavano mediamente 5 lire a stanza e potevano arrivare anche a 10 e 15 lire. Ma c’era chi non poteva pagare un affitto neppur minimo e doveva accontentarsi di vivere in magazzini, stalle, sottoscale, stanze a terreno prive di luce e aria. Altri dormivano nel vano delle barche, negli anditi delle case e all’aperto sotto gli alberi. Molte le malattie polmonari (corrispondenti al 34,5% delle cause di decesso nel 1902-1904) e alta la mortalità (6,3% contro la media italiana del 2,41%).
La popolazione inizia ad uscire dalle mura
Dapprima alcune abitazioni furono costruite nel 1897 nel prato di Castello, nella possibilità, però, solo delle classi medio-alte. Alcuni anni dopo iniziò la costruzione di due grandi fabbricati per 60 famiglie ciascuno, nelle vicinanze delle industrie, in pieno degrado ambientale. In seguito l’Ilva e la Magona costruirono quartieri per i dipendenti. Le case migliori, con piccolo giardino, erano per gli impiegati, mentre la classe agiata si stabiliva lontano dalle fabbriche. La struttura dei quartieri operai era costituita da unità territoriali ininterrotte, grossi fabbricati aventi in comune cortili e lavatoi.
La borgata Cotone
Le borgate del Cotone e del Poggetto erano sprovviste di servizi sociali, di ambienti per attività ricreative e di organizzazione dello spazio libero. Ricordiamolo:
«La sensazione è di trovarsi in presenza di un complesso di edifici costruiti a tempo e al risparmio, nella prospettiva di essere demoliti e trasposti in conseguenza della trasformazione e dell’ampliamento degli stabilimenti industriali. […] Sennonché i blocchi in linea edificati dall’Ilva al Cotone presentano connotati di impianto molto simili ad esempi allora correnti ma non ne raggiungono il livello di qualità (comunque basso) in quanto gli alloggi (otto per piano serviti da due gruppi di scale), tutti di due vani, offrono, oltre alle immaginabili, limitate possibilità abitative (mancanza tra l’altro della ventilazione trasversale) la riduttiva soluzione di una cucina di passo.
Le case sono costruite con blocchetti di carbonella, di uno spessore di circa 20 cm permeabilissimi all’acqua e quindi malsane» (La siderurgia italiana dall’Unità ad oggi, Firenze 1978, atti Convegno Piombino 30 sett. – 1/2 ott. 1977, 226-233).
Si aggiungano l’angustia dello spazio abitativo riservato ad ogni famiglia, l’attiguità alle acciaierie, condizioni igienico-sanitarie insufficienti, carenza di educazione e lontananza dalle scuole e dalle chiese.
Della Borgata Cotone rimangono solo cinque blocchi, gli altri sono stati demoliti nel 1963 per l’ampliamento dell’Italsider. La Borgata Cotone, costruita nel 1910, era abitata originariamente da 120 famiglie. Erano distribuite otto per piano, con la cucina di passo, senza un adeguato orientamento né soleggiamento dei locali. Era un quartiere dormitorio, un contenitore di mano d’opera senza strade, fognature, strutture sociali, servizi.
Nei rilievi operati dall’Ufficiale sanitario per gli alloggi fabbricati dall’Ilva nel 1920 si legge che data l’urgenza di procurare un’abitazione a numerose famiglie senza casa si affrettano i tempi e si consente «che i nuovi fabbricati vengano occupati prima che sia decorso un tempo utile per il loro completo prosciugamento», e che, nel caso del nuovo fabbricato del Cotone, gli scarichi delle acque chiare e delle acque scure si mescolano, mentre l’assenza di marciapiedi non consente di mantenere asciutti i quartieri a piano terra (La siderurgia italiana dall’Unità ad oggi, 224).
Questi alloggi sorgevano inoltre in località nelle quali l’aria era impregnata delle emanazioni acide e del pulviscolo delle industrie metallurgiche; altre aree sono ancora paludose, non bonificate e perciò malariche. Nel giro di quarant’anni però il territorio di Piombino passa dall’essere una campagna infestata dalla malaria a divenire un ambiente cittadino devastato dall’affollamento e dall’inquinamento industriale, con conseguenti infortuni sul lavoro, miseria, malattie infettive come tbc, tifo, tracoma. Grave anche il problema dell’alcolismo, facile via di fuga da una situazione alienante (T. Arrigoni, La macchina per guarire. Medicina e sanità nell’ospedale di Piombino (1810-1945), Nencini, Poggibonsi 1995, 61-62).
La parrocchia dell’Immacolata
Questo è il contesto socio-economico e culturale in cui i frati della parrocchia dell’Immacolata si trovarono ad operare, in quanto quando nel 1914 questa fu istituita le fu assegnato tutto il territorio esterno alle mura cittadine, mentre la parrocchia di S. Antimo continuava ad avere la cura d’anime della popolazione presente nel centro città. I confini della parrocchia francescana arrivavano a toccare a nord Populonia, ad est Campiglia Marittima, a sud est Riotorto. Si aggiunga anche il feroce anticlericalismo…
Infatti i frati, fin dall’inizio, sono e continuano ad essere «oggetto di scherni, di disprezzi, di minacce e di ostilità… costretti di tenersi continuamente in guardia, per difendersi e perfino di avere in pronto alcune barche fra gli scogli sottostanti al convento, per salvarsi nel mare, in caso di un assalto minacciato e prossimo a diventare triste realtà» («Eco del Santuario dell’Immacolata» II (1926), 7). Il fratello laico fra’ Umile Dini era spesso dileggiato e bersagliato con pietre e di calcina da muratori intolleranti, in tempi in cui «era impossibile passeggiare per le strade» (E. Natali, Una vita per gli altri, 20).
Al professor Elvio Natali, autore di una biografia del padre Senni nel cinquantesimo della morte, un testimone oculare, allora ragazzo, raccontava della processione del Venerdì Santo del 1920:
«Come di solito l’organizzazione della manifestazione era riservata alla Misericordia. Quell’anno la processione non poteva uscire fuori dalla chiesa a causa della confusione e del tumulto che fermentavano sul sagrato e nell’intera piazza. Finalmente i dimostranti si allontanarono e la processione poté uscire. Padre Giustino era in testa. Ma fu una calma effimera. Quando entrammo nella via Firenze (oggi via Senni) per il ponticello che era sopra il fosso dov’è ora via Leonardo, alcuni scalmanati si fecero sotto la statua della Madonna portata a spalla, per rovesciarla. Altri presero a lanciare sassi. Si udirono anche alcuni colpi di arma da fuoco.
Nel subbuglio il corteo si dovette rifugiare nella chiesa dell’Immacolata, e solo dopo che i disturbatori si dileguarono, poté rientrare per via De Amicis e le strade del centro storico nella chiesa della Misericordia. I disturbatori furono poi arrestati e condannati. Uno di loro andò in seguito a chiedere vitto dai frati e l’ottenne» (Ivi, 26-28).
Il frate piombinese Padre Cipriano Masserini (Piombino 1907 – Lucca 1985) in una sua testimonianza scritta nel 1982 racconta brevemente di quando serviva la messa e le altre funzioni come chierichetto di padre Giustino, ricordando per l’appunto: «erano anni difficili quelli, spesso ci insultavano e lanciavano sassi quando accompagnavamo i defunti al cimitero per cui dovevamo staccare l’asta dalla croce perché non potesse essere bersaglio di sassi o immondizie».
Padre Giustino al Cotone
La prima volta che P. Giustino si reca al Cotone accompagnato da alcuni confratelli, i frati vengono accolti dal grido: «Bruciateli! Bruciateli! Bruciateli!». Inizia ugualmente a farvi catechismo prima all’aria aperta, poi in una stanza, a pochi ragazzi, per prepararli alla Prima Comunione. Celebra dapprima la Messa all’aperto su di un altare di fortuna fabbricato da lui; con la pioggia si deve rifugiare in una stalla; poi trasferisce l’altare in una baracca… sembra di leggere un racconto missionario ambientato in chissà quale terra remota. Rimando, per questa storia, all’articolo che trovate QUI e anche QUI.
Padre Giustino inizia a vagheggiare l’idea di una chiesa e di un istituto educativo annesso. Alla fine del 1918 si rivolge a papa Benedetto XV, il quale approva il progetto e promette di sostenerlo per un terzo della spesa, consegnandogli subito centomila lire con queste parole: «Se non ti bastano, quando li avrai finiti, ritorna».
Non starò qui a ricordare tutte le peripezie di padre Giustino per raccogliere i fondi per costruire la chiesa e l’asilo del Cotone; andò persino in America, lasciando le sue amate orfanelle, per fare una colletta tra gli immigrati italiani.
Scrivendo ai confratelli, fece sapere che però preferiva che fosse mandato avanti ed aperto l’asilo, piuttosto che la chiesa, come opera più necessaria per accogliere, educare e sfamare i bambini di famiglie molto povere.
Per l’asilo del Cotone chiamò le suore Giuseppine, e lo inaugurò il 4 novembre 1924, prima con 100 bimbi, poi 150, 200… La suora che è rimasta maggiormente nella memoria della popolazione è suor Loreta.
Per la chiesa del Cotone padre Giustino dovette penare molto, e non la vide finita. Morì prematuramente il 21 febbraio 1929, rimpianto da tutti. Tutta la città si inchinò al passaggio del suo feretro.
La chiesa del Cotone
La chiesa del Cotone fu terminata pochi mesi dopo e consacrata il 6 ottobre 1929 da parte del vescovo mons. Giovanni Piccioni. Fu intitolata alla Madonna del Rosario. Nello stesso giorno mons. Giovanni Piccioni amministrava la Cresima ad un centinaio di bambini del Cotone, poi ad altri circa 395 bambini e una ventina di adulti nella chiesa parrocchiale dell’Immacolata.
Il 2 marzo 1930 avviene la traslazione della salma del padre Giustino prima nella chiesa del Cotone, poi nella chiesa dell’Immacolata, dove il giorno seguente è tumulata nel sepolcro di marmo appositamente realizzato. La foto delle esequie nella chiesa del Cotone è l’unica conosciuta che mostri l’interno dell’edificio.
Il servizio dei frati presso la chiesa del Cotone durerà una quarantina d’anni, fino al 25 dicembre 1967.
Dai bombardamenti del 1944 il Cotone fu particolarmente colpito, e la chiesa con l’asilo tanto desiderata da P. Giustino andò distrutta. Una testimone oculare, allora bambina di circa 10 anni, ricorda che quando, cessato il pericolo, si recò al Cotone a visitare con la madre un’amica di famiglia, vide le macerie della chiesa e su tutto questo cumulo svettare intatta la sola statua della Madonna del Rosario, senza le immagini collaterali di S. Domenico e S. Caterina…
Il P. Meghini, successore di padre Giustino nella cura della parrocchia, stende per la curia vescovile un rapporto sulla situazione della chiesa del Cotone, «completamente distrutta – nel bombardamento del 28 aprile 1944 – con bombe di aeroplano (Fortezze volanti)». Distrutte le statue del S. Cuore, S. Antonio, S. Giuseppe e S. Teresina; distrutti i tre altari, la balaustra in marmo, il tabernacolo di legno dorato, il coro e la sacrestia. La descrizione precisa:
«Nella chiesa vi erano 24 panche in legno, N. 2 confessionali in legno, N. 4 genuflessori – la Via Crucis in basso rilievo – N. 1 lumiera grande in vetro a luce elettrica – bussola in legno… Vi erano N. 10 candelieri con ceri a elettricità».
E per quanto riguarda l’asilo:
«Due grandiosi fabbricati ai lati della chiesa adibiti ad asili infantili, scuole elementari, abitazione delle suore e scuola di lavoro… Tutto distrutto completamente il 28 aprile 1944, da bombe di aeroplano (Fortezze volanti). Tutto l’arredamento degli asili, delle scuole, e dell’abitazione delle suore è rimasto distrutto sotto le macerie».
Rinascita della chiesa. Padre Mao
Le funzioni religiose riprendono in una sistemazione di fortuna, una stanza. Nel 1953 giunge a Piombino, dalla Cina dove era stato missionario per 18 anni e da cui era stato espulso a causa della vittoria di Mao Tze Tung, padre Tarcisio Gallorini, che viene incaricato di prestare il suo ministero al Cotone. Vi rimarrà, prima come cappellano, poi, dal 1965, come parroco. Per il suo rapporto con la Cina sarà soprannominato «Padre Mao».
La nuova chiesa e la parrocchia
Le Cronache del convento, in data 19.5.1956, registrano la demolizione dei resti della chiesa del Cotone, risparmiando solo la stanza che serve da cappella finché non sarà ricostruita la nuova chiesa nell’area nuova di mq. 2.700. In data 3.1.1957 il cronista annota che sono iniziati i lavori nell’area dove sorgerà la chiesa.
In data 19.11.1960 P. Mammoli comunica alla comunità la sua intenzione di chiedere al vescovo di istituire una nuova parrocchia al Cotone.
Il primo gennaio 1965 avviene l’istituzione della parrocchia “Madonna del Rosario” al Cotone. Parroco, padre Tarcisio Gallorini.
Padre Tarcisio
Padre Tarcisio era stato mandato a Piombino prima di tutto per curare le sue precarie condizioni di salute dovute agli stenti, privazioni e molte vessazioni subite. Il parroco P. Alessandro Mammoli, che lo conosceva perché suo conterraneo e compagno di studi, con il consenso del Padre Guardiano lo affidò a due bravi medici del posto, uno pneumologo ed un oncologo, che con competenza e dedizione solerte lo guarirono. Racconta Bruna Mettini di «Padre Mao»:
«Parlava molto bene il cinese ma aveva dimenticato quasi del tutto l’italiano. Allora il P. Curato chiese l’aiuto della maestra elementare M. Luisa Pacifici, delegata parrocchiale delle giovanissime di A.C., affiancata a turno dalle ragazze con l’aiuto di una traccia da lei preparata. Il P. Tarcisio seguiva costantemente l’insegnamento con umiltà, duttilità e grande fiducia. Intelligentissimo, bruciò i tempi che ci eravamo prefissi, riprendendo la padronanza della lingua italiana. Con gioia indicibile e gratitudine alla Trinità ed al Serafico Padre celebrò la sua “prima S. Messa” assistito dalla nostra commossa partecipazione; seguirono le S. Messe quotidiane e domenicali con omelie straordinarie nelle quali raccontava le sue esperienze missionarie.
Visitava giornalmente gli ammalati dimessi dall’ospedale specialmente gli anziani ai quali non faceva mai mancare qualche dono. Nelle ore di libertà la sua presenza in chiesa era costante per accogliere ed ascoltare. Invitava sempre la comunità a pregare per le missioni: per mesi non aveva mai tralasciato il ringraziamento alla sua famiglia francescana che gli aveva “ridato”la vita, alla maestra e ai giovani che lo avevano aiutato “a divenire italiano”.
Soprannominato Padre Mao era ricercato da molti politici insegnanti ed intellettuali per conoscere le vicende della Cina: disponibile, rispondeva con competenza e fermezza alle loro richieste. Il vescovo diocesano lo volle conoscere personalmente e dopo aver trascorso due giorni di ritiro con lui in convento, lo propose come parroco della chiesa del Cotone all’assemblea presbiterale.
La chiesa del Cotone all’epoca era un’unità pastorale della Parrocchia Immacolata comprendente tutta la campagna e la periferia limitrofa della città con i vari agglomerati: Salivoli, Desco, Sdriscia, Campo all’Olmo, Gagno, Capezzolo, Montegemoli, Ponte di Ferro, Fiorentina, Colmata. Divenuto parroco del Cotone, consapevole del grande onere materiale che questa terra di missione richiedeva, gli affiancò la famiglia del fratello ddel canonico Lombardi vicario vescovile e storico del nostro territorio. P. Mammoli chiamò a Piombino da Cortona la sua sorella Giovanna, militante in A.C., che per anni è stata la catechista della Madonna del Rosario.
I primi tempi furono molto duri da un punto di vista umano e religioso: però il padre Tarcisio da buon temporeggiatore, dote acquisita in missione con il suo sorriso, le sue maniere bonarie nel rapportarsi con il prossimo, ”ha fatto fiorire i fiori dalle rocce”. La carità senza limite, la tenacia, la simpatia e l’accoglienza verso tutti senza distinzione di partiti, allora molto in auge, hanno generato il gruppo della preghiera nelle famiglie anche nelle località campagnole più lontane, l’A.C., il gruppo Scout e il TOF.
Nell’alluvione del 1966 provocata dalla pioggia ma anche dallo straripamento del Cornia, con il barchino andava a portare i generi alimentari e il fabbisogno alle famiglie isolate di Campo all’Olmo , Ponte di Ferro e Sdriscia, accompagnando “il pacco” con il suo sorriso, la benedizione e una barzelletta per tirare su il morale di tutti. I poveri erano sempre ospiti del Cotone e la domenica assistevano alla Santa Messa in prima fila, perché padre Mao “parlava per loro”. Era contento perché finalmente la chiesa era piena e allora esprimeva la sua gioia fumando di nuovo il sigaro.
Non si sa se la causa del suo male incurabile sia stato il fumo, però come un ladro di notte è arrivato e in poco tempo lo ha portato via. La sua ultima volontà è stata di regalare il “Galletto” al più povero dei suoi amici, di essere ricordato costantemente nella preghiera, di essere sepolto a Piombino “perché i miei amici verranno certamente a trovarmi”».
P. Tarcisio Gallorini muore infatti a soli 57 anni, il 28 luglio 1969. P. Breschi regge la parrocchia del Cotone in attesa che venga nominato un nuovo parroco. Il 26 ottobre 1969 don Pierluigi Castelli, nuovo parroco del Cotone, prende possesso della parrocchia nella festa di Cristo Re.
Si avrà poi un’alternanza di parroci, fino ad arrivare al 1985.
(Continua)