Entriamo nel vivo degli ultimi atti di Gesù con uno dei gesti fondanti della fede cristiana: la Cena pasquale del Signore.
Cronologia
Secondo la cronologia di Marco seguita da Matteo e Luca, l’ultima cena di Gesù è la cena pasquale alla sera del 14 Nisan, e ne ha tutte le caratteristiche. La maggiore obiezione nei confronti della plausibilità storica di questa datazione è che l’indomani, cioè nel giorno stesso della Pasqua, difficilmente si sarebbero potute compiere azioni come l’arresto, il doppio processo, il lavoro dei campi del Cireneo, l’esecuzione di Gesù, la sepoltura; infatti anche per Giovanni i fatti avvengono di venerdì, ma per lui è la Parasceve, la vigilia della Pasqua, e Gesù muore mentre nel tempio si sacrificano gli agnelli pasquali.
Di solito la cronologia giovannea è storicamente attendibile, in questo caso la più plausibile.
Non c’è da stupirsi: spesso la cronologia e la geografia evangeliche sono più teologiche che cronachistiche. C’è comunque la possibilità storica che Gesù abbia celebrato la Pasqua secondo un calendario diverso da quello del tempio di Gerusalemme, tanto più che nella cena di Gesù non viene consumato l’agnello, per poter mangiare il quale bisognava prima portarlo ad immolare al tempio.
Giuda
Matteo sottolinea rispetto a Marco l’identificazione di Giuda come colui che consegna; inconsapevolmente e involontariamente, Giuda compie anche lui la volontà del Padre perché il piano salvifico divino passa per il suo gesto sleale; non è, tuttavia, salvifico per lui, perché non si lascia muovere al pentimento, ma alla disperazione.
In fin dei conti, che la volontà divina sia fatta è inevitabile; ma una cosa è compierla da figli benché fragili e peccatori, come Pietro, una cosa è compierla da ribelli, come Giuda. La libertà umana rimane, e con essa la responsabilità, anche se Dio poi riconduce tutto a buon fine.
In virtù della sua onniscienza Dio conosce i nostri atti prima che li concepiamo, ma non per questo li predetermina, come chi vede un film per la seconda volta sa già che cosa faranno gli attori, ma non è lui a farglielo compiere.
L’istituzione eucaristica
Matteo segue la tradizione di Marco nel riportare le parole di Gesù sul pane e sul calice, esplicitando con l’aggiunta «in remissione dei peccati» quella preposizione per che riecheggia in tutte le formule dei tre sinottici e di 1Cor 11 ad esprimere lo scopo salvifico della donazione del Cristo alla volontà del Padre per il riscatto degli uomini, e della sua presenza ai suoi, corpo, sangue, anima e divinità nel pane e nel vino della Cena.
Dando se stesso, Gesù sostituisce i sacrifici cruenti che da lontano lo prefiguravano, di modo che non c’è più senso che si mangi l’agnello pasquale: per i cristiani il vero Agnello è lui nel pane e nel vino eucaristici; per gli ebrei, l’agnello non si può più sacrificare perché il tempio è distrutto. In un certo senso, la morte di Gesù ha liberato anche gli animali. La nuova alleanza nel sangue di Cristo ha svincolato il popolo di Dio dal culto antico: non vi è più la necessità di simboli, perché la realtà è qui.
Gesù conclude l’istituzione eucaristica con una sorta di «voto d’astinenza» fino all’ultimo giorno: è verosimile infatti che Gesù abbia dato, ma non mangiato e bevuto il pane e il vino che sono la sua stessa persona.