Lettura continua della Bibbia. La caduta di Gerusalemme (Mt 24,1-28)

Arco di Tito a Roma, Processione trionfale dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme. Di Steerpike – File:Arch of Titus Menorah.png, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6218085

Il quinto ed ultimo dei discorsi su cui è imperniato il Vangelo di Matteo è dedicato alla parousia o ritorno glorioso del Cristo alla fine della storia. Matteo è l’unico evangelista che usi questo termine, e lo fa ben quattro volte nel capitolo 24. Il linguaggio è simbolico, caratteristico delle apocalissi. Contrariamente all’idea popolare, l’apocalisse (termine che significa “rivelazione”, e non “catastrofe”) è uno scritto consolatorio che ha lo scopo di rafforzare la fede dei credenti nelle persecuzioni. Il discorso si divide in due parti: la prima riguarda la caduta di Gerusalemme (Mt 24,1-28), avvenuta storicamente nel 70 d.C.; la seconda riguarda il ritorno glorioso del Figlio dell’uomo (Mt 24,29-25,46), sul tempo della cui venuta niente ci è dato sapere.

La caduta di Gerusalemme (24,1-28)

Sesterzio coniato da Vespasiano (69-79 d.C.) nell’anno 71 d.C. Su un lato la testa dell’imperatore coronata d’alloro, dall’altro la scritta IVDEA CAPTA e un ebreo in atteggiamento di lutto sotto una palma. RICII 426; BMCRE 542; BN 494; Cohen 238.  Di Classical Numismatic Group, Inc. http://www.cngcoins.com, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2264120

Gesù esce dal tempio per non farvi più ritorno.

Il tempio è molto bello, soprattutto dopo gli ampliamenti che, ordinati da Erode il grande, continueranno ancora per anni, fino al 63 d.C., poco prima che il tempio stesso venga definitivamente distrutto. Non è questa, dunque, la vera bellezza che dura in eterno, perché non può coesistere con il peccato.

Il primo tempio, di Salomone, distrutto nel 586 a.C., fu ricostruito dagli esuli tornati in patria e consacrato nel 515. Solo settanta anni durò la sua desolazione, e risorse più bello di prima. Ma di questo secondo tempio non resta pietra su pietra, sulla sua spianata si ergono due moschee, e non conoscendo il luogo esatto su cui si trovava il Santo dei Santi e su cui nessuno, tranne il sommo sacerdote nel giorno del Kippur, poteva e può mettere piede, non può essere ricostruito da mano umana.

A maggior ragione è commovente la vista del tempio dalla visuale offerta dal monte degli Ulivi, luogo familiare per Gesù e i suoi discepoli. La bellezza del luogo rende ancora più drammatica la scena: tutta quella bellezza sarà distrutta (24,1-3).

L’inizio dei dolori (24,4-14)

Né lasciarsi sedurre né allarmarsi: di fronte agli eventi che precipitano, il discepolo deve sapere che nulla lo può toccare. Guerre, carestie e terremoti sono eventi che càpitano nella storia e che danno occasione ai falsi profeti e ai falsi messia di approfittare delle paure della gente per propalare un falso credo.

Attenzione, avverte Gesù: questi avvenimenti che tendiamo a considerare apocalittici, ed anche le persecuzioni, non sono la fine. Solo quando il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo, allora verrà la fine. La piccola chiesa fondata da Gesù è ancora limitata al piccolo orizzonte palestinese: avrà tutto il tempo della storia per evangelizzare la terra intera. «Tutti quegli eventi catastrofici comunemente interpretati come indizi della fine sono appena un inizio, un germoglio» (A. Mello).

Anche nel mondo ebraico si parlava dei tempi del Messia come delle doglie del parto, chevlè hamashiach, le doglie del Messia, il travaglio del nuovo mondo che sta per nascere: interessante l’analogia con il giovanneo «la donna quando partorisce…» (Gv 16,20) e con il paolino Rm 8,22 sul gemito del creato come il travaglio di un parto; interessante, e confortante: la tribolazione è l’alba di un nuovo giorno.

Il pericolo maggiore della Chiesa quindi non viene dall’esterno, dall’odio di tutte le genti che non la può toccare, ma dal proprio interno, dal rischio per i discepoli di cadere e abbandonare la fede, di denunciarsi e consegnarsi gli uni gli altri e, peggio ancora, di intiepidirsi e di perdere il calore dell’amore fraterno: il quieto vivere uccide lentamente la vita di fede, cfr. Ap 3,16.

La grande tribolazione (24,16-28)

Distruzione di Gerusalemme. Di David Roberts – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3267412

L’orizzonte del discorso è ancora limitato alla Palestina giudaica: il centro è il luogo santo di Gerusalemme, profanato, come già ai tempi di Antioco IV Epifane due secoli prima (167 a.C.), dai pagani, in questo caso le truppe di Tito. Il detto finale di 24,28, alla lettera «Dove sia il cadavere, lì si raduneranno le aquile», oltre ad essere una citazione proverbiale di Gb 39,30, potrebbe alludere alle aquile romane, le insegne delle legioni.

L’unico scampo di fronte alla rovina sta nella fuga precipitosa, senza perder tempo a recuperare i propri beni; guai se la cosa avverrà in inverno, quando i fuggitivi dovrebbero pernottare al freddo, o di sabato, quando le regole limitano le possibilità di azione; guai alle madri che attendono un bambino o che lo allattano, perché il loro è il momento più delicato della vita. I recenti lutti dovuti ad un terremoto mostrano ancora la profonda verità di quanto qui si afferma.

La tribolazione di Gerusalemme sarà inaudita, ma la presenza dei discepoli, gli eletti, la farà cessare prima che tutti periscano. Tuttavia, non è ancora quello il tempo della parousia, del ritorno del Messia: non si creda agli impostori che pensano di trovarlo qua e là, nel deserto o in una casa. Infatti, il ritorno del Figlio dell’uomo sarà repentino e inaspettato come il lampo e, come il lampo che si manifesta da un capo all’altro del cielo, visibile a tutti. Immancabilmente, come la presenza di un corpo attira gli avvoltoi, la presenza del Messia attirerà tutte le genti per il giudizio. Esse si batteranno il petto in segno di pentimento quando vedranno la gloria del Figlio dell’uomo.