
Se la sofferenza dell’uomo non è positivamente voluta da Dio, se la sua onnipotenza e la sua bontà la permettono, da dove proviene? C.S. Lewis la collega a quella che viene chiamata la Caduta dell’uomo.
La caduta dell’uomo

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Ma perché l’uomo avrebbe bisogno di tanta sofferenza per divenire migliore? Perché dovrebbe divenire migliore? Lewis si richiama ai racconti di creazione per mostrare quale sia la natura decaduta dell’uomo. Lascio la parola a lui direttamente.
«Per lunghi secoli Dio perfezionò la forma animale, che doveva diventare il veicolo dell’umanità e la Sua immagine. Le diede mani il cui pollice potesse essere messo a contatto con le altre dita, le diede mascelle, denti, una gola capace di pronunciare parole e un cervello abbastanza complesso da poter eseguire tutti i movimenti materiali grazie ai quali si forma il pensiero.
La creatura può essere esistita per molto tempo in questo stato prima di diventare uomo; può anche essere stata tanto intelligente da fabbricare cose che un archeologo moderno accetterebbe come prova della sua umanità. Ma era solo un animale, perché tutti i suoi processi fisici e psichici erano rivolti verso fini puramente materiali e naturali.
Nella pienezza del tempo
Poi, nella pienezza dei tempi, Dio fece scendere su questo organismo, sia sulla sua psicologia che sulla sua fisiologia, un nuovo tipo di coscienza che poteva dire “io” e “me”, che poteva considerare se stessa come un oggetto, che conosceva Dio, che poteva formulare giudizi su verità, bellezza e bontà e che era tanto al di sopra del tempo che poter vederlo scorrere. Questa nuova coscienza governava e illuminava l’intero organismo, inondandone ogni parte di luce e non era, come la nostra, limitata a una selezione dei movimenti che si producono in una sola parte dell’organismo, cioè il cervello; l’uomo allora aveva una consapevolezza totale».
L’uomo del Paradiso
«Avendo un dominio totale su se stesso, dominava su tutte le forme di vita inferiori con cui veniva a contatto. Anche oggi si incontrano dei rari individui che hanno la capacità misteriosa di domare le bestie. Questa capacità l’uomo del Paradiso la possedeva al massimo grado. La vecchia immagine degli animali che saltellano davanti ad Adamo e gli fanno festa non è del tutto simbolica. Anche oggi più animali di quanti ci aspetteremmo sarebbero pronti ad adorare l’uomo se venisse loro offerta una ragionevole occasione; infatti l’uomo fu creato per essere il sacerdote e perfino, in un certo senso, il Cristo degli animali, il mediatore attraverso il quale essi apprendono quel tanto di splendore divino che la loro natura irrazionale consente…
Dio era al primo posto nel suo amore e nel suo pensiero, e questo senza alcuno sforzo penoso. Con un perfetto movimento ciclico l’essere, la potenza e la gioia discendevano da Dio all’uomo sotto forma di dono, e ritornavano dall’uomo a Dio sotto forma di adorazione estatica; e in questo senso, anche se non in ogni senso, l’uomo era veramente il figlio di Dio, il prototipo di Cristo, che realizzava pienamente, nella gioia e nella felicità di tutte le sue facoltà e tutti i suoi sensi, quell’abbandono filiale che il nostro Signore realizzò nelle sofferenze della crocifissione…
Giudicata sulla base dei suoi manufatti o forse anche della sua lingua, questa creatura beata era senza dubbio un selvaggio. Tutto quello che l’esperienza e la pratica possono insegnare doveva ancora impararlo; se scolpiva della silice, la scolpiva maldestramente, forse era del tutto incapace di esprimere in forma concettuale la sua esperienza del Paradiso… se l’uomo del Paradiso potesse ora apparire tra noi, lo considereremmo come un selvaggio, una creatura da sfruttare o, al massimo, da trattare con condiscendenza. Solo uno o due, i più santi tra di noi, darebbero unaltra occhiata a quella creatura nuda, dalla barba ispida e tarda a parlare e, dopo pochi minuti, non potrebbero fare a meno di cadere ai suoi piedi»
La caduta dell’uomo
«Come un giovane vuole dal padre un’indennità regolare che può considerare come sua propria… (giustamente, perché suo padre in fin dei conti è una creatura simile a lui) così quelle creature decisero di far da sole, di pensare da sole al loro futuro, di pianificare loro il loro piacere e la loro incolumità…
Volevano, per così dire, possedere la propria anima. Ma questo significa una menzogna, perché le nostre anime non sono nostre. Esse volevano un angolo dell’universo di cui potessero dire a Dio: “Di questo ci occupiamo noi, non Tu”. Ma non esiste un angolo del genere. Volevano essere sostantivi, ma erano, e saranno per sempre, solo aggettivi. Non sappiamo in quale atto o in quale serie di atti particolari quel desiderio auto contraddittorio e impossibile fosse espresso. Per quel che ne so io, può darsi che sia consistito nel mangiare letteralmente un frutto, ma il problema non è importante…
La caduta non ha colto Dio di sorpresa
Dio avrebbe potuto arrestare questo processo con un miracolo, ma questo, per usare una metafora in un certo senso irriverente, avrebbe voluto dire evitare il problema che Dio si era posto quando aveva creato il mondo, il problema di esprimere la Sua bontà attraverso la creazionedi un mondo contenente esseri liberi nonostante la loro ribellione a Lui, e anzi per mezzo di quella ribellione…
Questo può creare la ridicola idea che la Caduta abbia colto Dio di sorpresa e abbia sconvolto il Suo piano oppure, cosa ancora più ridicola, che Dio avesse pianificato tutto per condizioni che Lui sapeva bene non si sarebbero mai realizzate. Ma Dio ha visto la crocifissione nell’atto di creare la prima nebulosa. Il mondo è una danza in cui il bene, che discende da Dio, è disturbato dal male che nasce dalle creature, e il conflitto che ne risulta è risolto dall’assunzione da parte di Dio della natura sofferente prodotta dal male».