Fa venire i brividi la lettura del poemetto «In Occidente» (1904) di Giovanni Pascoli. Nella sezione dei Poemi conviviali intitolata La buona novella, il poeta racconta la risposta all’attesa del Messia con la nascita del Cristo.
In Oriente
Nella prima parte, In Oriente, i pastori di Giudea sono in attesa di una risposta dal Cielo, quando un canto invade i cieli e annuncia: «Pace sopra la terra!». Un angelo annuncia: «Gioia con voi! Scese Dio sulla terra». Ecco la buona novella: Dio si è fatto uomo! I pastori si mettono in moto verso Betlemme cercando colui che vive, colui che non muore. Ma quel Bambino, Dio, giacente sul fieno quale agnello, riscaldato solo dal fiato di due animali, morirà su una croce…
In Occidente
Gesù è nato in Oriente, ma l’angelo per annunciare la Buona Novella vola dai cieli di Giudea sino a Roma, la Roma immortale, Roma conquistatrice, centro del mondo,. È qui che ci porta la seconda parte della «Buona Novella», «In Occidente». È la notte dopo i Saturnali, quando gli schiavi fingono di essere padroni e i padroni schiavi, ma per burla: gli schiavi sono già tornati ad essere cose, oggetti di proprietà altrui. Questa è anche una notte che segue i sanguinosi giochi nell’arena e la città dorme «ebbra di sangue». Il tempio di Giano è aperto, segno che la guerra è in corso nel mondo.
Tutti dormono. Solo un gladiatore veglia, e giace ferito a morte. È un Geta, proveniente dalla regione oggi detta Romania, ed ha ancora il piede imbiancato con la creta, segno che era stato posto in vendita da poco. Un oggetto ucciso per il piacere dei gaudenti.
Nessuno nell’Urbe dormiente ascolta il messaggio dell’angelo. Uno solo l’ha udito, il gladiatore morente che così può chiudere gli occhi nella pace. Ma non è finita lì…
Data la lunghezza del testo, ne riporto alcuni passi.
La Buona Novella
In Occidente
II.
Roma dormiva. Agli archi quadrifronti
battea la luna; e il Tevere sonoro
fiorìa di spuma percotendo ai ponti.
Alto fulgeva col suo tetto d’oro
il Capitolio: ma la notte mesta
adombrava la Via Sacra del Foro.
Nell’ombra un lume: il fuoco era di Vesta,
che tralucea. Nel tempio le Vestali
dormian ravvolte nella lor pretesta.
Era la notte dopo i Saturnali.
Nelle celle de’ templi, sui lor troni,
taceano i numi, soli ed immortali.
Intorno alla Dea Madre i suoi leoni
giacean nel sonno. Gli ebbri Coribanti
dormian con nell’orecchio ululi e tuoni.
Rosso di sangue uno giaceva avanti
la Dea. Dischiuso il tempio era di Giano.
Esso attendeva, coi serrami infranti,
l’aquile che predavano lontano. II
Roma dormiva, ebbra di sangue. I ludi
eran finiti. In sogno le matrone
ora vedean gladiatori ignudi.
Ne’ triclini ai dormenti le corone
eran cadute, e s’imbevean le rose
nel sangue che fluì dal mirmillone.
Dormivan su le umane ossa già rose,
le belve in fondo degli anfiteatri;
e gli schiavi tornati erano cose.
Dopo la breve libertà, negli atrï
giacean gli ostiari alla catena, quali
cani la cui leggera anima latri.
Era la notte dopo i Saturnali…
III.
Roma dormiva. Uno vegliava, un Geta
gladïatore. Egli era nuovo, appena
giunto: il suo piede, bianco era di creta.
L’avean, col raffio, tratto dall’arena
del circo; e nello spolïario immondo
alcun nel collo gli aprì poi la vena.
Rantolava: il silenzio era profondo:
il cader lento d’una goccia rossa
solo restava del fragor del mondo…
IV.
E venne bianco nella notte azzurra
un angelo dal cielo di Giudea,
a nunzïar la pace; e la Suburra
non l’udiva; e nel tempio alto di Rhea
bandì la pace; e non alzò la testa
quell’uomo rosso ai piedi della Dea;
e vide, un fuoco, e disse, pace; e Vesta
ardeva, e le Vestali al focolare
sedeano avvolte nella lor pretesta;
e vide un tempio aperto, e dal sogliare
mormorò, pace; e non l’udì che il vento
che uscì gemendo e portò guerra al mare.
E l’angelo passò candido e lento
per i taciti trivi, e dicea, pace
sopra la terra!… Udì forse un lamento…
Vegliava, il Geta… Entrò l’angelo: pace!
disse. E nella infinita urbe de’ forti
sol quegli intese. E chiuse gli occhi in pace.
Sol esso udì; ma lo ridisse ai morti,
e i morti ai morti, e le tombe alle tombe
e non sapeano i sette colli assorti,
ciò che voi sapevate, o catacombe.