Iniziamo qui un cammino di conoscenza delle Sacre Scritture di Israele e del mondo cristiano partendo da zero: la Bibbia dall’Abc. L’approccio cui ci atterremo non è obbligatoriamente quello della fede: è quello di chi si avvicina ad un patrimonio storico, culturale, etico dell’umanità da cui ognuno può trarre beneficio per i valori che esso veicola. Chi crede, saprà che si tratta di divina rivelazione; chi non crede, spero che abbia per i testi almeno lo stesso rispetto che si nutre per i filosofi e gli artisti.
Quando ci accostiamo inizialmente alla Sacra Scrittura, possiamo trovare molte difficoltà nel comprendere non solo il significato particolare di alcuni passi, ma anche il senso generale dei testi biblici. Perché?
La Bibbia dall’ABC: Difficoltà di approccio
Nella mia famiglia, una famiglia cattolica zelante, ben prima del concilio Vaticano II, la Bibbia era di casa e si leggeva, anche quando tale lettura non era precisamente proibita, ma neppure particolarmente raccomandata dal magistero della Chiesa. Forse il fatto di vivere a Livorno, città di origini cosmopolite, dove il nostro medico di famiglia era ebreo e mia madre aveva in classe alunni valdesi, apriva al confronto con altre fedi o appartenenze religiose ugualmente sincere e stimolava all’approfondimento della propria.
Bene, in casa mia si raccontava di una signora – presumibilmente ai primi del Novecento – che si era intestardita a voler leggere la Bibbia. Si cimentò a leggere le prime pagine, le storie dei patriarchi, e subito le richiuse protestando: «Belle cose facevano i Santi Padri!». E non volle più saperne, per non scandalizzarsi ulteriormente. È ovvio: a leggerle così superficialmente, ci si trovano storie di poligamia, concubinaggi, incesti, adultèri, inganni, violenze incredibili, vendette feroci; e non si hanno gli strumenti per comprendere come mai stiano lì, nei testi che i cristiani considerano i più santi del mondo…
Si potrà dire: ma questo è l’Antico Testamento. Sì, ma anche nel Nuovo, insieme a parole dolcissime del Cristo, si trovano le sue dure invettive, le parole crude di Paolo, la punizione spietata di Anania e Saffira, il bagno di sangue dell’Apocalisse… Come districarsi da questo impaccio? Proviamo a rispondere.
La Bibbia dall’ABC: L’importanza del contesto storico
Innanzi tutto, la Bibbia è un complesso di scritti situati come origine molto lontano da noi, sia nel tempo che nello spazio.
Distanza nel tempo:
Fra la Bibbia e noi c’è uno stacco temporale di almeno due millenni; tre per gli scritti più antichi dell’Antico Testamento; quattro se si va con Abramo alle origini delle tradizioni del popolo di Israele. In due – quattromila anni di storia un popolo cambia, cambia la sua lingua, cambia il modo di pensare. È molto difficile leggere anche la Divina Commedia, eppure è scritta in italiano… ma in un italiano di 700 anni fa. Gli scritti biblici sono scritti dell’antichità e devono essere letti nel loro contesto storico.
Distanza nello spazio:
Oltre alla distanza temporale, tra noi e la letteratura biblica c’è anche un divario culturale. Noi occidentali siamo intellettualmente “figli” della cultura classica, greco-romana. La cultura biblica appartiene alla sfera semitica, che ha schemi di pensiero profondamente diversi. Vediamo alcune particolarità.
Caratteristiche del pensiero biblico
1. Pensiero a spirale. La linea di pensiero che siamo abituati a seguire è lineare: si parte da A per arrivare a D passando per B e per C che si trovano nel mezzo. Nel mondo semitico il pensiero procede piuttosto a spirale, senza aver paura di perder tempo, procedendo in avanti per poi tornare indietro, riavvolgersi su se stesso, ritornare su cose già dette ripetendole in modo diverso, andando ancora avanti… Tutto questo ci può sconcertare.
2. Scarsa capacità di sfumature. Avete presente in Lc 14,26 la famosa frase di Gesù «Chi non odia suo padre e sua madre non può essere mio discepolo»? È scandalosa: Gesù invita dunque ad odiare? I genitori, poi? Ma il significato reale non è affatto questo. L’ebraico e l’aramaico al tempo di Gesù non conoscevano le vie di mezzo, e nemmeno i comparativi. Non esistevano i mezzi linguistici per esprimere il concetto di «amare di più… amare di meno…» oppure «preferire»; la scelta era solo tra «amare» ed «odiare».
Quella che Gesù chiede è una priorità dell’amore per lui rispetto agli affetti umani, che non vuole affatto escludere. Mi potrete obiettare: ma i vangeli sono scritti in greco… Sì, ma il substrato linguistico è quello ebraico – aramaico, ovvero della lingua sacra usata nella Bibbia e nella liturgia e della lingua parlata in Palestina, che sono lingue sorelle e seguono gli stessi schemi mentali. Quindi, prima di prendere alla lettera un’espressione, occorre sapere quale ne fosse il significato all’epoca. Questo ci porta ad un’altra caratteristica.
3. La presenza frequente di metafore: molte strane espressioni in realtà hanno solo un valore metaforico e non vanno assolutamente prese alla lettera. Chi non conosce l’italiano può rimanere stupito dall’espressione «diventar verde dalla rabbia»; oppure, «avere la coda di paglia»; o ancora, e questa le batte tutte, «avere un diavolo per capello»! Ve lo immaginate se fosse vero alla lettera? La loro «verità» consiste proprio nel non esser prese alla lettera, ma nel loro significato simbolico.
Quando si affronta una frase della Bibbia, bisogna capire se va presa alla lettera o in senso metaforico; altrimenti bisognerebbe cavarsi occhi e tagliarsi mani, piuttosto che cadere in peccato… Ecco un paio di esempi di linguaggio metaforico. L’età dei patriarchi, calcolata in centinaia di anni, ha valore non cronologico ma simbolico. Frutto di enfasi sono altre inesattezze letterali. Ad esempio, Es 9,6 afferma che a causa della peste morì tutto il bestiame degli egiziani, e poi in 9,25 si dice che la grandine colpì fra gli egiziani uomini e bestie (che secondo 9,6 erano già morte tutte).
4. Crudezza delle situazioni e delle usanze
Anche la crudezza di tanti racconti deve essere vista alla luce della cultura dell’epoca. La famosa “legge del taglione”, “occhio per occhio, dente per dente”, sembra un’incitazione alla vendetta, ed invece ne è la limitazione: la vendetta (che a quell’epoca, in assenza di una giustizia pubblica, è semplicemente l’amministrazione della giustizia da parte del capofamiglia) deve basarsi sulla commisurazione della pena al danno, e non superare questo preciso limite. Le stragi che devono accompagnare la conquista della terra promessa, operate dal popolo di Dio, ci colpiscono per la loro brutalità, ma sono un modo concreto per affermare la radicalità di una scelta: non ci può essere compromesso fra Dio e i culti pagani.
I comportamenti dei patriarchi, ad esempio Giacobbe, e persino Abramo, non sempre sono edificanti. Infatti: la Bibbia non è un libro edificante, non è un leggendario dei Santi, ma la testimonianza dell’esperienza di fede, con i suoi alti e bassi, di uomini veri, così come sono, con le loro immaturità, con le loro brutalità, con i loro limiti, cui Dio si rivolge incarnando la sua Parola all’interno di questo orizzonte culturale.
La logica dell’Incarnazione
La Parola di Dio, insomma, è incarnata nella parola dell’uomo, con tutti i limiti che ne conseguono. Infatti, l’Incarnazione, da parte di Dio, è precisamente l’assunzione di un limite. Gesù è stato uomo e non donna; ebreo e non pagano; palestinese e non greco; uomo di duemila anni fa e non del secolo scorso o del tempo di Hammurabi… Noi lo vediamo come uomo perfetto; ma l’uomo perfetto non è Superman il superuomo, è l’uomo che assume i propri limiti e li nobilita in Dio. In Gesù, infatti, Dio si è fatto uomo, ma fino alla morte e alla morte di croce.
E c’è una duplice incarnazione del Verbo. Non solo il Logos del Padre si è incarnato personalmente nella storia nell’uomo Gesù di Nazareth: la Parola di Dio si è già prima incarnata nel linguaggio di un popolo, Israele, concretizzandosi in esso ed assumendo la bellezza ed il limite di un mondo così lontano da noi temporalmente, geograficamente e culturalmente, il mondo palestinese di 2.000 / 4.000 anni fa. Questa vicinanza a noi nell’incarnazione attraverso la “datazione” e la “distanza” nel tempo e nello spazio comporta per noi la necessità di riconoscere il messaggio religioso distinguendolo dai veicoli espressivi che ce lo offrono, e che non sono più quelli che noi useremmo. È essenziale discernere nella Bibbia la sostanza dal mezzo espressivo, per evitare il rischio di uccidere lo Spirito salvaguardando la lettera. Ecco perché è così importante conoscere la Scrittura, senza accontentarsi di un approccio sommario.
Per leggere la Bibbia
Per leggere la Bibbia occorre studio personale, impegno.
Occorre un metodo interpretativo, cioè una coerenza di criteri in cui il simbolismo è riconosciuto e si dà la necessaria rilevanza al contesto letterario e storico, tenendo conto del fatto che il testo non si può interpretare letteralmente come se fosse stato scritto nel nostro tempo con il linguaggio del nostro tempo. Nella Bibbia ognuno trova quello che cerca… C’è il forte pericolo di “addomesticare” il significato biblico secondo le nostre aspettative o i nostri pregiudizi; così che non è più la Bibbia che parla a noi, ma siamo noi che vi capiamo quello che vogliamo. Paradossalmente, non devo essere io a leggere la Bibbia, ma deve essere la Scrittura a “leggere” me, cioè a dire quel che ha da dire alla mia vita.
Occorre un’attualizzazione, ovvero la ricerca del senso che il testo ha oggi, decodificandolo, partendo dal senso originario in quella data cultura e situazione storica, e ricodificandolo, ovvero permettendogli di prendere corpo e dinamismo nel nostro Oggi, qui, ora.
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