
Con il cap. 49 di Isaia abbiamo una svolta: non si parlerà più, almeno esplicitamente, di Ciro, e neppure della sfida aperta del Signore agli idoli di Babilonia. D’ora in avanti prenderà campo il tema della consolazione e della tenerezza di Dio, e il profeta insisterà su Gerusalemme, sposa di Dio, colmata da Lui dei suoi benefici.
Gli oracoli del Libro della consolazione (Isaia 40-55) non sono infatti stati composti tutti simultaneamente, ma si riflette in essi la diversa situazione dei deportati nelle varie fasi del loro esilio. In una prima fase, inizialmente, sono presi dalla sfiducia e presumibilmente attratti dalle divinità locali (Marduk, Bel, Nebo) che in apparenza si sono dimostrate vittoriose sul loro Dio. Se il Dio nazionale sembra non aver protetto il suo popolo dai nemici, forse le divinità babilonesi sono più forti di Lui?
Perciò il profeta deve ribadire fermamente che solo il Dio di Israele è il Creatore del mondo e il Signore della storia, l’Unico, mentre gli altri dei sono del tutto inesistenti. E Dio rimane fedele al suo impegno di liberare i prigionieri: si può e si deve confidare in Lui.
Isaia 49: una svolta
Con Isaia 49, invece, si ha una svolta. Si può pensare che quando il DeuteroIsaia rivolge ai deportati gli oracoli dei cap.49-55 la caduta di Babilonia e dei suoi idoli, come pure la presa del potere da parte di Ciro, siano già un dato di fatto o almeno imminenti, per cui il profeta non ha più bisogno di insistere su questi temi. In questa seconda fase invece, vedendo ormai all’orizzonte il ritorno nella Terra dei padri e la restaurazione di Gerusalemme, lo sguardo del profeta si volge verso la Città santa, con promesse di perdono e di gloria futura.
Il profeta, in questa svolta, cambia anche uditorio: non più l’intero popolo caduto sotto il castigo di Dio, ma il resto di Israele, il resto fedele che farà ritorno.