
Nel brano di Giovanni 4,20-24 per ben dieci volte ricorre la parola “adorare”: I nostri padri su questo monte adorarono. Adorare è entrare in comunione con l’oggetto del proprio desiderio. L’adorazione di Dio divideva i samaritani, che lo adoravano sul monte Garizim dal quale furono pronunciate le benedizioni su Israele (Dt 11,29; Gs 8,33) dai giudei, che adoravano Dio nel tempio di Gerusalemme. Il vero edificio in cui i giudei adorano Dio, riconosce Gesù che si identifica come Giudeo, è il tempio di Gerusalemme, ma il vero luogo in cui adorare Dio è un non-luogo, il corpo del Cristo (2,21) innalzato (3,16), in Spirito e verità ( v. 23).
Credi a me, donna(v. 21). Il termine “donna”, che significa anche “moglie”, ricorre ben tredici volte in questo racconto, ma questa è l’unica volta in cui Gesù lo usa come appellativo, sottolineando il salto di qualità che chiede di compiere: dall’acqua materiale all’acqua dello Spirito, dal tempio materiale al tempio dello Spirito. È l’ora, infatti, del nuovo culto, in Spirito e verità.
Io-Sono
Anche i samaritani attendevano il Messia, quale nuovo Mosè. Ma il Messia non è quello delle attese popolari, il Messia atteso anche da questa donna. La rivelazione è sconvolgente: Gesù non le dice semplicemente “Sono io”, ma Io-Sono (4,26). Dopo il triplice Io-non-sono del Battista, per la prima volta risuona nel IV Vangelo il Nome divino sulle labbra di Gesù: “Io-Sono” è il “Nome” rivelato a Mosè (Es 3,14) ed enfatizzato dal DeuteroIsaia. Lo ritroveremo molte volte in Giovanni (cf. 6,35.41.48.51; 8,12.24.28.58; 10,7.9.11.14; 11,25; 13,19; 15,1.5), ma per la prima volta è rivolto a questa donna scomunicata e screditata. “Io-Sono che parlo a te!”.
L’incontro è all’apice: Gesù ha portato allo scoperto la vera sete della samaritana e la soddisfa con la sua rivelazione. La samaritana non è più di fronte alle tante parole che hanno vanamente riempito e afflitto la sua vita, ma è davanti alla Parola stessa fatta carne. I discepoli con il loro arrivo rompono l’incanto, ma questo le rimane nel cuore e la spinge ad annunziare subito ai suoi compaesani il Messia, che le ha svelato il suo Io più profondo… Non le ha denunciato le sue mancanze, le ha svelato ciò che veramente le mancava.
La sua idria resta lì, vuota, ormai inutile perché Gesù, il settimo uomo, lo Sposo, le ha dato l’acqua vera. se non i compaesani usa un’espressione dubitativa (Che non sia il Cristo?) è perché, saggiamente, lascia che essi lo scoprano da sé. Gradualità, sapienza pastorale che ha imparato da Gesù.
I discepoli e i samaritani
I discepoli riportano il discorso terra terra (Rabbì, mangia) e Gesù lo riconduce in alto: Ho un cibo che voi non conoscete (v. 31 s.). Gesù dà l’acqua e dà il cibo per la vita eterna (cf. 6,48-51); il cibo di cui Gesù si nutre è l’amore del Padre, che dona ai fratelli. Ma mentre i discepoli si dibattono ancora nell’incomprensione, molti dei samaritani cedettero (v. 39). È il primo raccolto abbondante di evangelizzazione. Gli scismatici, i samaritani, sono i primi a credere in massa.
Credono dapprima alla parola della donna che si è fatta testimone di Cristo; la sua testimonianza è valida quanto quella del Battista, un asceta dedito fin da prima della nascita alla sua vocazione di precursore. La samaritana ha bruciato le tappe ed ha già convertito un villaggio…
Ma i samaritani ci mettono del loro. Invitano Gesù a dimorare presso di loro (v. 40), e dove mette casa il Verbo si apre l’intimità con lui e la fede. Bastano due giorni: il terzo è quello del Risorto. Allora, molti di più credono non per l’intermediario che conoscono (in questo caso la donna del dialogo con Gesù), ma per la propria esperienza di ascolto diretto e, soprattutto, di incontro (4,40-42).
E l’esperienza li porta ad una aperta professione di fede, e di che genere! Sappiamo che costui è veramente il Salvatore del mondo. I samaritani infedeli all’alleanza riconoscono il Salvatore, e non solo di loro, ma del mondo intero.