
Indiana Jones chiude il cerchio della sua storia… e si ritira a vita privata. Avrebbe voluto farlo anche prima, stando a quello che mostra il quinto film della serie: ormai in pensione, deluso dagli studenti, provato dai lutti familiari… che è rimasto del suo spirito avventuroso, del suo entusiasmo per la conquista e la messa in sicurezza dei più preziosi reperti archeologici? Niente, a quanto pare, finché il passato non torna a visitarlo. Proprio il passato, quel passato a cui aveva dedicato tutta la sua vita di studioso, di docente e di avventuriero. Di più: il passato, lo scorrere del tempo inarrestabile – o forse no? – è il tema conduttore di questa quinta (ed ultima, secondo le intenzioni di Harrison Ford) puntata della saga più celebre dei film di avventura.
Il tema del tempo che passa
Sono stata alla “Prima” nazionale di Indiana Jones e il quadrante del destino e mi sentivo strana, alla mia età, ad andare a vedere un film di quel genere, salvo subito rassicurarmi: molti spettatori non erano da meno. Nostalgia del passato, evidentemente, dato che il primo Indiana Jones data al 1981 e appartiene alla nostra giovinezza. Il tema dell’invecchiamento, poi, era già stato trattato nel quarto film della saga, con un Harrison Ford già ultrasessantenne che scherza con il declino delle sue forze: sbaglia il suo famoso salto con la frusta e approfitta dell’errore per impadronirsi di un mezzo nemico.
In questo ultimo episodio, l’attore è addirittura ottantenne, anche se il suo personaggio di anni ne ha 70; e devo dire che la differenza non si vede. Ma poiché Harrison Ford gira personalmente le scene di azione facendo a meno dello stuntman, l’azione stessa risulta commisurata alle sue possibilità fisiche, dunque abbastanza ridotta, ma sempre notevole per la sua età; tanto è vero che durante le riprese, sferrando un pugno a qualcuno, si è procurato uno strappo muscolare e la produzione si è dovuta interrompere. L’attore ci ha messo un mese e mezzo per ristabilirsi, poi è ripartito come prima.
I segni del tempo

Il film inizia con un vistoso e voluto contrasto: prima di presentarci l’Indiana Jones anziano, un lungo flash back ci porta nel passato, tra le forze naziste che stanno per cadere davanti agli Alleati, dove si viene a sapere dell’esistenza di un prodigioso strumento ideato da Archimede: un quadrante che riesce a individuare i varchi temporali. Inseguimenti, ammazzamenti, le solite cose cui siamo già abituati quando si tratta di Indiana Jones, qualunque età abbia: qui è giovane, l’attore è stato ringiovanito artificialmente grazie a tecniche digitali ben riuscite, e anche se ci accorgiamo del trucco non ce ne importa niente.
Dal 1944…
Le scene di azione in questo film sono fastidiose perché convulse e fragorose, come usa adesso nel cinema: si stenta talvolta a capire che cosa succede. Comunque sia, in tutto il film ritornano gli stereotipi di Indiana Jones: treni in corsa, ponti sospesi, cadute in acqua, insetti ripugnanti, antiche tombe, nazisti infuriati, scagnozzi forzuti, ladri bambini, inseguimenti con sidecar e veicoli vari e traballanti. La frusta c’è ma è tenuta alquanto a riposo, manca il macigno rotolante, per il resto c’è tutto, in palesi autocitazioni dai film precedenti. I serpenti per cui Indy prova una vera fobia sono sostituiti da anguille assassine, che ai serpenti somigliano molto.
… al 1969… e non solo
In qualunque modo, alla conclusione della sequenza del ritrovamento di questo marchingegno siamo sbalzati improvvisamente nel 1969, in concomitanza con il primo allunaggio (questo ci vuol dire quanto il mondo sia cambiato), e ci troviamo davanti un professor Jones vecchio, grigio, stanco, in piena decadenza senile, avvilito, privo di speranze… finché il passato che avevamo conosciuto nella prima scena torna a fargli visita e lo mette in azione. È come se il tempo tornasse indietro e lo rapisse nuovamente col suo fascino, finché non lo rapisce davvero catapultandolo indietro di due millenni, e non vi dico altro.
Così, con questo film Indiana Jones / Harrison Ford chiude il cerchio della saga, e sembra dire l’ultima parola su di sé. Avrebbe potuto essere maggiormente sviluppata l’ultima parte, con spunti interessanti, mentre la prima è piuttosto ripetitiva e qualcuno (io, per esempio) potrebbe trovarla abbastanza noiosa. In questo film sul tempo, proprio i tempi appaiono sbagliati: «Il Tempo maledetto», chiosano alcuni critici parodiando il titolo del secondo episodio della saga.
Il film comunque è da vedere. È da vedere anche solo perché c’è lui, Harrison Ford con cappello e frusta di Indiana Jones, personificazione, nel nostro immaginario, di tutti i migliori film di avventura. È da vedere, per chi ama questo genere oppure è nostalgico… del tempo passato.