Il 29 aprile scorso, a Dehradun in India, le Clarisse missionarie riunite nel IX Capitolo Provinciale hanno eletto la nuova Superiora della Provincia “St. Clare” con il suo Consiglio:
– Sr Arti Thotthatil Superiora Provinciale
– Sr Smitha Pallipuram, Vicaria Provinciale;
– Suor Immaculate Xavier, Seconda Consigliera;
– Sr Namrata Pazhampillil, Terza Consigliera,
– Sr Alvina Kunnumpurathu, Quarta Consigliera
La valorizzazione delle lingue locali
Oltre a fare gli auguri a queste suore scelte per nuove responsabilità nei confronti delle proprie comunità e del loro servizio, mi sembra giusto anche congratularmi per la capacità, che le Clarisse missionarie mnostrano, di incarnare il proprio specifico carisma nei diversi contesti. In Italia vestono il saio francescano, in Brasile hanno scelto di rinunciare all’abito religioso, in India indossano il tradizionale sari del colore che esprime la vita religiosa… Da parecchi decenni, ormai, questo Istituto nato in Italia, a cui non mancano le vocazioni italiane, elegge Madri Generali che provengono dal Brasile e dall’India. Un bel modello di apertura, di inculturazione e di multiculturalità, che permette al vecchio tronco itaiano di arricchirsi della linfa vitale portata da altre culture.
Inculturazione cristiana e multiculturalità
È da un tempo relativamente breve che nel mondo cristiano si parla di inculturazione, cioè di trasmissione del Vangelo proposta attraverso l’incarnazione nella cultura di un altro popolo. Fino agli anni Sessanta del Novecento, la storia dell’umanità è stata affetta da etnocentrismo, cioè da una visione delle cose consistente solo nel proprio punto di vista. Questa impostazione ha pesato anche sull’annuncio del Vangelo, che per secoli è stato propagato dall’Europa dei colonizzatori imponendo anche la cultura europea.
Vi furono in realtà delle eccezioni: un esempio vistoso fu quello del gesuita Matteo Ricci che nella Cina tra Cinquecento e Seicento inculturò il Vangelo in cinese vestito da bonzo e seguendo il motto Farsi cinese con i cinesi – che non è altro che la traduzione in un particolare paese del motto universale di S. Paolo: Mi sono fatto tutto a tutti (1 Cor 9,22). E non è altro, in fondo, che la logica dell’Incarnazione. È per questo che Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, parlava aramaico fra gli ebrei di Palestina, e non il greco della cultura e dei commerci o il latino dei conquistatori…