
Chi è il protagonista assoluto che troviamo sulla scena della creazione, nel racconto biblico di Genesi 1? Dio, sotto il nome comune di ’Elohîm. Un nome che troveremo molte altre volte. Non è il nome principale del Dio di Israele, ma è il secondo quanto a frequenza: ricorre nella Bibbia circa 2.600 volte. La radice da cui deriva, ’il, è molto diffusa nelle lingue semitiche: la ritroviamo, con lo stesso significato, nell’arabo ’Allah.
Caratteristiche grammaticali
Nome comune
Innanzi tutto, ’elohîm è un nome comune: lo potremmo scrivere con la minuscola. In ebraico non fa differenza, perché in tale lingua non esistono maiuscole e minuscole. Essendo un nome comune, non si riferisce solo al Dio d’Israele: qualunque essere soprannaturale potrebbe essere chiamato «’elohîm».
Sono chiamati ’elohîm gli dèi pagani, gli angeli, lo spirito di Samuele evocato nello sheol dalla negromante di Endor (1 Sm 28,13) e persino i giudici terreni, anche se iniqui (come in Sal 82,6), perché hanno una caratteristica divina, essendo chiamati con la loro funzione ad adempiere la volontà di Dio.
Il significato, quindi, è molto esteso. Si potrebbe forse meglio tradurre con «divinità», riferibile però anche ad esseri che hanno solo qualcosa di soprannaturale anche se non sono dèi.
Nome maschile ma non maschilista
In ebraico i generi grammaticali sono il maschile e il femminile. ’Elohîm è indubitabilmente un nome maschile. Niente di strano: un genere lo deve pur avere, e certamente in una società patriarcale come quella ebraica dell’antichità il genere non poteva essere che maschile.
La cosa singolare, anomala, è che questo nome, ed anche gli altri che condividono la stessa radice e lo stesso significato, ’El, ’Eloah, non sono declinabili al femminile: in ebraico, la parola «dea» non esiste neppure, non è pensabile, ed anche le divinità femminili pagane sono qualificate ’elohîm al maschile. Maschilismo totale? Negazione del femminile? Neppure per sogno.

con la sua paredra Ninlil, signora dell’aria
Un Dio senza Dea
Il fatto è che in questo campo Israele va completamente contro corrente rispetto alla propria epoca e al proprio contesto culturale e religioso in cui gli dèi sono tutti sessuati. Le divinità pagane sono sempre considerate maschili o femminili, ogni dio ha la sua paredra («colei che siede accanto»), sposa o compagna che dir si voglia, spesso la sua stessa sorella. Pensate anche solo a Giove e Giunone, Iside e Osiride… E se il dio una dea non ce l’ha, la rapisce, come nel caso di Ade / Plutone e Proserpina. È un ovvio archetipo, ispirato dalla percezione di una complementarietà fra le forze della natura, per cui se c’è il cielo c’è anche la terra, se c’è il sole c’è anche la luna, se c’è il giorno c’è anche la notte, se c’è l’inverno c’è anche la primavera… regolarmente concepiti come divinità antropomorfe e sessuati in maschi e femmine.
Ebbene, il Dio di Israele è un caso a sé. È sovrano e unico nella scena: non è compatibile con l’adorazione di un’altra divinità che rappresenti il femminile. Ma questo non è maschilismo patriarcale, è il rifiuto di ammettere in Dio il bisogno di qualcosa o qualcuno o qualcuna che lo completi, perché Dio è il Tutto.
In realtà, come vedremo, questo Dio unico di Israele ha anche un’immagine materna, e la troveremo subito nella figura del suo spirito che in ebraico è femminile (ruah); poi nell’immagine della tenda – la Shekinah divina, l’attendarsi fra gli uomini; in quella dell’ombra delle ali, persino nel simbolo della chioccia che raduna i pulcini sotto le ali…
Nome plurale dal significato singolare
Questo può sembrare strano: grammaticalmente, il nome ’Elohîm è un plurale, però regge il verbo al singolare. Come va questa storia, che ha fatto supporre a rozzi critici, del tutto impreparati, di trovarsi davanti ad un pantheon di dèi, ad un politeismo? Per non parlare degli ufologi che vogliono vedere nell’elohîm una razza di alieni che avrebbe colonizzato l’antica Mesopotamia [sic].
Si tratta invece, semplicemente, di un plurale di intensità o di eccellenza, che descrive qualcosa o Qualcuno che un singolare non potrebbe contenere né esprimere. Allo stesso modo, anche shamayim – cielo e mayim – acqua in ebraico suonano solo al plurale, perché la loro immensità non sarebbe esprimibile con un semplice singolare. Così l’ippopotamo, Behemoth, in ebraico è plurale: non esistendo in tale lingua le alterazioni dei sostantivi come gli accrescitivi, non si può dire «il bestione», si dice «le bestie»… Stranamente, è plurale anche panim, faccia: come è possibile avere più di una faccia? Beh, alcune persone ci riescono…

Altri plurali per noi anomali sono quelli che esprimono concetti astratti: ad esempio non si dice «la vecchiaia», ma «le [cose] vecchie».
Pluralia tantum
Chi ha studiato un po’ di latino si ricorderà i pluralia tantum, cioè i nomi che hanno solo il plurale ma con significato singolare: nuptiae (anche in italiano non si può dire «nozza», si deve parlare al plurale di «nozze»), tenebrae, divitiae (ricchezze: o sono tante, o non sono ricchezze), persino nomi di città: Athenae, Pisae… E le nostre Marche, quante regioni sono? In italiano sono pluralia tantum anche nomi banalissimi come viveri, fauci, traveggole…
Per questo medesimo argomento, un video particolareggiato QUI. Preciso che non sono d’accordo con la proposta di traduzione, del resto volutamente provocatoria, «oracolo», ma per il rimanente l’ho trovato perfettamente coincidente con i concetti che vi ho esposto.
In conclusione…
Quindi, sgombriamo la mente dall’idea di un presunto politeismo nella religione biblica. Il contesto era politeista, è vero; Abramo stesso in origine era un politeista idolatra; ma qui siamo nel VI secolo a.C. e la fede monoteista è ben chiara. Il Dio di Israele è unico, nel panorama religioso, proprio per questo…
Quindi, in principio, ’Elohîm. Nello scenario dell’eternità, solo Dio e niente altro, né la materia, né altre divinità, né potenze rivali. Un Dio creatore.
Per un articolo di introduzione, QUI.