Per Dante nientemeno che un’enciclica: «In praeclara summorum» (1921)

In Praeclara Summorum
Dante, apoteosi a Firenze. Di Giovanni Guida (2020) – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=93116167

Nel sesto centenario della morte di Dante (1321-1921), Benedetto XV gli dedicò l’enciclica In Praeclara Summorum, con l’affermazione che Dante «aveva trovato accenti quasi divini per cantare le istituzioni cristiane, di cui egli contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore», risultando «il più eloquente tra quanti hanno cantato e proclamato la sapienza cristiana».

In Praeclara Summorum (1921)

In Praeclara Summorum è l’undicesima enciclica di papa Benedetto XV, datata 30 aprile 1921. Fa parte di un gruppo di cinque encicliche che costituiscono una sorta di monografie su personaggi rilevanti nella storia della Chiesa; assieme a questa infatti si ricordano: Spiritus Paraclitus, 1920, su San Girolamo; Principi Apostolorum Petro, 1920, su Sant’Efrem Siro; Sacra Propediem, 1921, su San Francesco d’Assisi e Fausto Appetente Die, 1921, su San Domenico.

Dante è l’unico personaggio oggetto di un’enciclica che non sia stato canonizzato. L’argomento trattato nella Praeclara Summorum è il ricordo del sommo poeta, Dante Alighieri, e s’inserisce nel contesto delle commemorazioni compiute nel sesto centenario della sua morte. L’enciclica contiene interessanti osservazioni sul pensiero sociale di Dante e si inserisce in una polemica, la cui portata anche politica non poteva sfuggire, contro chi celebrava Dante separandolo dal cristianesimo e presentandolo come campione di un’idea imperiale «laica» e quasi pagana. Per le sue feroci invettive contro la corruzione ecclesiastica, gli anticlericali risorgimentali avevano visto Dante come un avversario della Chiesa romana. Con l’enciclica In Praeclara, papa Benedetto XV, giustamente, se ne riappropria annoverandolo tra i campioni della fede (il testo QUI).

Paolo VI (1965) e Francesco (2021)

Anche Paolo VI, questa volta nel settimo centenario della nascita (1265-1965), scrisse una Lettera apostolica rivendicando la forza poetica della teologica dantesca. In essa  qualifica la Divina Commedia come «il poema del miglioramento sociale nella conquista di una libertà, che è franchigia dall’asservimento del male, e che ci conduce a trovare e ad amare Dio» col professare un umanesimo in cui tutti i valori umani sono riconosciuti ed esaltati senza che la contemplazione li vanifichi (lettera apostolica Altissimi Cantus, il testo QUI).

Francesco, infine, ha commemorato il VII centenario della morte di Dante, il 25 marzo 2021, nella Lettera apostolica Candor Lucis Aeternae (QUI). In essa ricorda in particolare: «Il Sommo Poeta, pur vivendo vicende drammatiche, tristi e angoscianti, non si rassegna mai, non soccombe, non accetta di sopprimere l’anelito di pienezza e di felicità che è nel suo cuore, né tanto meno si rassegna a cedere all’ingiustizia, all’ipocrisia, all’arroganza del potere, all’egoismo che rende il nostro mondo «l’aiuola che ci fa tanto feroci» (Par. XXII, 151)».