Suor Andreina, in giovanissima età, segue la propria vocazione a farsi suora e missionaria. A 18 anni entra in convento. Avrebbe voluto andare in India, ma è l’America Latina la sua destinazione. A 20 anni, il 3 novembre 1951, parte per la Bolivia da Genova, imbarcata sulla nave “Augustus”. Sarà l’inizio di molte vicende in Bolivia e Argentina… Lasciamo che sia lei stessa a raccontarle.
In Bolivia e Argentina: prime esperienze
«Era con me anche la consorella responsabile della missione di Bolivia e Argentina. La nave, sulle coste africane, prima della tappa di Dakar, ruppe le eliche su un banco di sabbia. Mi ricordo che era notte e vedevo solo i denti bianchi della gente di colore che sopraggiungeva. Avevo voluto gli indiani ed invece avevo ottenuto gli africani!
Arrivammo a Buenos Aires e rimanemmo là quindici giorni prima di spostarci in treno in Bolivia, con un viaggio di due giorni.
Giungemmo prima a Yacuiba e poi a Boyuibe, nella provincia di Santa Cruz. Da lì in camion raggiungemmo Cuevo, la mia prima destinazione.
Era notte e le consorelle mi accolsero con gioia.
Cominciò così la mia missione.
Non sapevo lo spagnolo, non potevo però neanche parlare l’italiano; mi misero allora con i bambini dell’asilo. Ma mi divertivo: non c’era né acqua né luce, perciò prendevo i bambini sporchi, li portavo al fiume e li lavavo.
Passando il tempo imparai un po’ di spagnolo.
Mi affidarono perciò i bambini di terza elementare. Per insegnare dovevo imparare a memoria in spagnolo la lezione degli alunni. Una volta, per dire “due per otto” dissi “due parotto”, che in spagnolo significa “due fagioli”: tutti i bambini si misero a ridere e cominciarono a prendermi in giro; ricordo che ci rimasi assai male, ma la superiora mi riprese subito: “Devi accettare di sbagliare”, mi rimproverò.
Nel 1954 fui inviata ad Ivu, per collaborare con una comunità di frati.
Il padre occupava le suore con lavori di casa e nei campi col granturco: si viveva di quello.
Un giorno volli andare a cavallo a visitare le capanne degli indigeni.
Appena arrivata fui subito presa da una indigena che mi pregò: “Signora, fai miracolo per quest’uomo!”. Entrai nella capanna di rami e fango e trovai un uomo con una grossa infezione sul petto. In borsa avevo una lametta e dell’ittiolo; lo pulii e incisi un segno di croce con la lametta sull’infezione, poi mi tolsi il velo e, usandolo come garza, lo disinfettai.
Dopo quindici giorni il campesino tornò a cercare “la suorina dalla mano santa”.
Venne la fila di gente a cercarmi per essere curata, ma io non ero infermiera e mi rifiutai.
L’anno successivo, nel 1955, fui destinata all’Argentina, a Buenos Aires, nel collegio del Santissimo Sacramento. Ci rimasi fino al 1958. In quel tempo assistetti alla turbolenze del golpe contro Peron ed alla caccia alle streghe contro i cristiani.
Nel 1959 tornai poi per tre anni a Cuevo, che mi piaceva più di Buenos Aires, ma nel 1960 mi ammalai e dovetti subire un intervento al fegato all’ospedale di Tartagal, città argentina poco dopo il confine dove rimasi fino al 1963, ospitata nel convento di Santa Caterina».
(Continua…)