L’uso di immagini sacre nel cristianesimo non è idolatria. L’idolo è una immagine scambiata per la realtà, come avesse poteri magici. L’immagine sacra è solo un segno che rimanda all’invisibile, perché siamo fatti di carne e sangue ed abbiamo bisogno anche di questo. Si può vivere senza le immagini, si può credere senza le immagini, come ben ha dimostrato il popolo di Israele, ma da quando i primi discepoli hanno potuto con i loro stessi occhi corporali contemplare il Volto del Cristo – perché il Verbo si è fatto carne, e si è attendato, nella fragilità della carne, in mezzo a noi, – da quando l’Invisibile si è fatto visibile e tangibile, è caduto l’aniconismo (assenza di immagini) della prima fede biblica, cioè la proibizione di rappresentare Dio visibilmente: perché Egli stesso nella persona del Figlio ha assunto un Volto su cui fissare lo sguardo.
L’uso delle immagini sacre è attestato fin dalle catacombe, finché su di esso non si scatenò l’iconoclastia. Nel 730, Leone III Isaurico proibì l’utilizzo delle icone; ne seguì una terribile devastazione, che portò alla distruzione di quasi tutte le immagini più antiche. Alle lotte feroci contro la venerazione delle immagini sacre pose fine dottrinalmente il secondo concilio di Nicea (787):
«Noi definiamo con ogni rigore e cura che, a somiglianza della raffigurazione della croce preziosa e vivificante, così le venerande e sante immagini sia dipinte che in mosaico o in qualsiasi altro materiale adatto, debbono essere esposte nelle sante chiese di Dio, sulle sacre suppellettili, sui sacri paramenti, sulle pareti e sulle tavole, nelle case e nelle vie; siano esse l’immagine del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, o quella della immacolata Signora nostra, la Santa Madre di Dio, dei santi angeli, di tutti i santi e giusti» (DS, 600).
Il concilio precisava anche:
«l’onore reso all’immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato; e chi venera l’immagine, venera la realtà di chi in essa è riprodotto» (DS, 601).
Così, adorando nell’immagine di Cristo la Persona del Verbo, i fedeli compiono un atto di culto legittimo e non di idolatria.
Stessa cosa per la venerazione di Maria. Il Vaticano II è ben attento ad esortare i teologi e i predicatori a tenersi lontani tanto da esagerazioni quanto da riduzionismi:
«Con lo studio della Sacra Scrittura, dei santi Padri e Dottori e delle liturgie della Chiesa, condotto sotto la guida del Magistero, illustrino rettamente i compiti e i privilegi della Beata Vergine, che sempre hanno per fine Cristo, origine di ogni verità, santità e devozione».
«I fedeli a loro volta si ricordino che la vera devozione non consiste né in uno sterile e passeggero sentimento, né in una vana credulità, ma bensì procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti a un amore filiale verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù» (LG, 67).
Le prime forme iconografiche mariane
Le icone
La prima forma iconografica utilizzata per raffigurare Maria, attestata fin dal III secolo, la vede indissolubilmente legata al Figlio in quanto Theotokos, Madre di Dio. Questa della Madonna col Bambino rimane forse la forma più diffusa. Le prime immagini sono icone dipinte, secondo il modello dell’Odigitria (Colei che indica la strada), della Eleusa (Madonna della Tenerezza) e della Madonna del Segno.
Altre se ne sono aggiunte nel tempo, come la Madonna orante, e successivamente la Madonna del Manto (della Misericordia), e l’Addolorata; seguono poi iconografie legate ai dogmi mariani o ai misteri della vita di Maria o a sue apparizioni riconosciute autentiche dal Magistero, come l’Assunta, L’Immacolata, la Madonna del Soccorso, la Madonna di Fatima e del Rosario.
Le sculture
A questo punto, le statue hanno preso sempre più campo rispetto alla pittura. La scultura cristiana infatti si sviluppò lentamente, a partire dalla decorazione di sarcofagi paleocristiani (IV secolo) dove venivano presi a prestito i temi del simbolismo pagano contemporaneo. Una delle simbologie ricorrenti riguardava l’immagine del pavone, simbolo di immortalità. Il più antico esempio di scultura lignea cristiana è invece la porta della basilica di Santa Sabina a Roma, risalente al V secolo. Si scolpiscono i capitelli e gli archivolti delle chiese. Per le statue a tutto tondo occorrerà più tempo: la stessa celebre statua del Buon Pastore, di fine III secolo – inizio IV, è in realtà un frammento di bassorilievo.
L’arte cristiana antica e medievale non amava molto il tutto tondo. Solo i crocifissi e le statue della Vergine ottengono diritto d’asilo come opere autonome. Il vero e proprio oggetto d’arte è l’edificio sacro, la chiesa, cui si dedica ogni cura. Così si moltiplicarono facciate scolpite, grandiosi portali e architravi. Viene l’età di Arnolfo di Cambio, Nicola e Giovanni Pisano. La scultura gotica fa della cattedrale una Bibbia di Pietra dove i fedeli possono leggere la vita di Cristo, le testimonianze dei santi e gli insegnamenti morali che ne derivano.