Venerdì Santo

Omelia di don Enzo Greco

Il Venerdì Santo: la crocifissione
Crocifissione di Giambattista Tiepolo (1745-1750 ca) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=159387

Oggi, il Venerdì Santo, celebriamo e contempliamo la morte di Cristo in croce, mentre la Chiesa appare completamente spoglia, perché tutta la nostra attenzione si concentra in Gesù morto e perché oggi la Chiesa ha voluto e vuole proporci quello che succederebbe se Dio non ci fosse più, come l’uomo, come tutti noi saremmo completamente spogliati di tutto, della nostra dignità. Contempliamo così e specchiamoci nella morte di Cristo.

Un evento fisico

Il Venerdì Santo: crocifissione di El Greco
Crocifissione di El Greco – [1590 circa], Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=152163

Il primo punto di riflessione spirituale per tutti noi vuole essere questo: la morte in croce di Cristo che è prima di tutto un evento fisico.

Gesù ha subito fisicamente una morte orribile: la morte che veniva riservata agli schiavi, una sofferenza enorme. Prima della sua morte, Egli ha ricevuto il flagellum  romanum, ha ricevuto cioè nella schiena, con i polsi inchiodati ad una colonna, come era d’usanza, le  battiture (quante?) con delle strisce di cuoio con al termine degli spunzoni di ferro, ferendo così a morte il suo corpo già sofferente. Inoltre gli è stata piantata (in quanto Gesù venne accusato di essersi fatto re) una corona di spine che non era come i quadri ce la dipingono, ma un vero casco che copriva fino alle orecchie e che veniva piantato a suon di martellate nel cuoio capelluto. Le spine che a quei tempi crescevano in Palestina venivano estratte da una pianta particolare ed erano lunghissime.

La croce

Gesù viene caricato, come era d’usanza, della croce, della parte trasversale della croce, mentre l’altra parte, la parte verticale, era già sul luogo del Calvario; Gesù, legato a braccia distese a questo patibolo, percorre la strada che da Gerusalemme va al luogo detto Calvario. Si capisce ora come è caduto per tre volte, rompendosi così il setto nasale e trasformando il suo viso come una maschera di sangue. Ma soprattutto, la notte precedente, Gesù nell’orto degli ulivi aveva pregato e sudato sangue e sudore per la morte orribile che lo aspettava e a cui lui non voleva sottrarsi: “Padre, sia fatta la tua volontà”.

Gesù è piantato nella croce, a differenza di come viene rappresentato, per gli stinchi e per i polsi  e dopo tre ore di lunghissima agonia muore, così sembrerebbe, per schiantamento del cuore, dissanguamento e arsura. Una morte atroce, una morte dalle sofferenze fisiche indicibili. Eppure Gesù celebra la sua prima Messa in croce, denudato completamente, essendo i suoi vestiti sorteggiati dai soldati. La sofferenza di Gesù, quindi,  la contempliamo  come sofferenza fisica e in ogni Chiesa in cui noi entriamo, vedendo il crocifisso appeso, noi viviamo il dolore e il bruciore dei chiodi, delle spine, dello spregio, degli sputi, degli schiaffi, dei calci che Gesù ha ricevuto. Infatti, la crocifissione era lo spregio più grande che si poteva fare ad un essere umano. Questo trattamento era riservato agli schiavi.

Per tutte le persone crocifisse del mondo

Crocifissione. Vetrata di Marc Chagall. Foto di dozemode da Pixabay 

Bene, Dio non ha risparmiato il suo Figlio unigenito, Dio Padre non ha mosso un dito per liberarlo: “Dio mio, Dio mio, perché mi  hai abbandonato?”. Gesù si immedesima in tutti coloro che provano questo senso di ripulsa del dolore, questo senso di abbandono di Dio.

Nella morte di Cristo si specchiano tutti coloro che soffrono nel fisico, nella carne e stasera voglio pensare ai tanti ammalati; basta entrare  per una semplice mezz’ora, magari per una visita di cortesia o di prassi, in un reparto di ospedale dive ci sono gli ammalati terminali di cancro, quando la morfina ormai non allevia più i dolori. Quante sofferenze atroci nel fisico si vedono! Fuori dell’ospedale pulsa la vita, pulsano i nostri problemi, magari le nostre piccole beghe di tutti i giorni, le nostre inutili sofferenze e basta entrare in un ospedale, anche vicino a noi, a Grosseto, Pisa, Siena, per vedere la sofferenza.

Quando noi sacerdoti andiamo per queste visite veramente strazianti, sotto gli occhi impotenti dei parenti che assistono a questo dolore fisico, un dolore fisico che veramente è tremendo, un dolore fisico che soprattutto ti fa sentire così come è la psicologia dei malati terminali: come uno completamente spiantato, avulso, abbandonato, solo, in faccia ad una morte invocata e chiamata a tutta forza.

Un ricordo personale

Ho un ricordo, quando ero giovane sacerdote, di un giovane ammalato terminale di cancro, che poi morì tre giorni dopo, che subì una sofferenza indicibile che non si può raccontare. Quest’uomo mi disse: “Qui sul comodino ho delle medicine (probabilmente dei calmanti), se lei mi autorizza e mi dice che non faccio peccato, qui c’è un bicchiere d’acqua, prendo queste medicine tutte insieme, così faccio un collasso e in pochi secondi sono morto”.

Fu per me una fatica essergli vicino e gli risposi: “So benissimo che lei sa ormai che siamo alla fine ed è perfettamente consapevole, però faccio appello alla sua fede, anche Gesù non ha chiesto un anticipo della morte, ma tre ore lunghissime di agonia necessitavano la sua capacità di affrontare il dolore. Se tu mi prometti che in queste ultime ore della tua vita offri la tua sofferenza sull’altare che è il tuo letto, ti suggerisco due intenzioni: per i giovani e per la pace”. Quell’uomo scoppiò a piangere e mi disse: “Accetto” e per tre giorni continuò a soffrire finché il cuore  cessò di battere…

Gli ammalati

La Chiesa oggi vede negli ammalati, nei sofferenti nel corpo, l’identificazione con il Cristo crocifisso, per cui la sofferenza fisica diventa una sofferenza che è la Messa. Tutti noi se arriveremo al momento della nostra morte dolorosa o improvvisa, nessuno lo sa, trasformeremo la nostra camera in una piccola Chiesa, il nostro letto in un altare. Sarà la nostra Messa celebrata con Cristo, dove offriremo la  sofferenza fisica che ci ripugna. Preghiamo quindi il Signore Gesù per gli ammalati, per le persone sofferenti, per gli ultimi.

Siamo vicini col pensiero a certe situazioni dove si sa che esiste la sofferenza spesso indicibile, Signore, accogli il loro grido di sofferenza. Una parrocchia vuole prendere in considerazione gli ammalati, i sofferenti, vuole essere vicina alle persone che di più rassomigliano al Cristo sfigurato nel volto, che aveva l’apparenza di un verme e non di un uomo.

(Continua)