Venerdì Santo

Venerdì Santo. Il Crocifisso di San Damiano rappresenta il Cristo glorioso della Passione secono Giovanni
Il Crocifisso di San Damiano raffigura la Passione secondo Giovanni. Il Cristo è già glorioso, con gli occhi aperti, eretto sullo sfondo nero che rappresenta la morte. A fianco, la Madre col Discepolo Amato.

Articolo precedente QUI.

Venerdì Santo. Oggi non si celebra la Messa, si celebra il rito della venerazione della Croce. Gesù, sottratto ai suoi, è oggi il Crocifisso, morto e sepolto. Il racconto della Passione che viene letto il Venerdì Santo è, ogni anno, quello del Vangelo secondo Giovanni, che ha caratteristiche particolari rispetto ai vangeli sinottici. Giovanni infatti accentua alcuni aspetti che nella tradizione di Marco / Matteo, ed anche in quella di Luca, sono lasciati più in ombra.

Il libro della Gloria

Il racconto della Passione, in Giovanni, è come incastonato in quella seconda parte del IV Vangelo che i critici chiamano il Libro della Gloria, o il Libro del Compimento; anzi, lo occupa quasi per intero. Il prologo è rappresentato dal racconto dell’Ultima Cena, con quel gesto di lavanda dei piedi dei discepoli che è un gesto di servizio ma è anche un segno che prelude alla passione e morte; l’epilogo è rappresentato dai racconti del Risorto.

Il racconto di Giovanni mette in evidenza la regalità e la divinità di Cristo. La croce è il suo trono di gloria, e il narratore tende ad omettere i particolari più cruenti e umilianti, se non quelli che servono a mettere in luce le qualità di Gesù. Vediamo qualche particolarità, senza pretendere di fare un commento completo.

Volontarietà della consegna

I discorsi della Cena danno la chiave di lettura di quello che avverrà. Poi, l’arresto: un arresto a cui Gesù – l’evangelista ha cura di sottolinearlo – si consegna volontariamente, dopo un triplice Io Sono con cui Gesù affronta i suoi persecutori. Non il banale «Sono io»; ma la proclamazione solenne del Nome divino (Io Sono è Dio in persona, nell’Antico Testamento), che atterrisce i catturatori facendoli retrocedere e stramazzare per terra.

Il processo a Gesù

Gesù e Pilato (interpretato da Rod Steiger) nel Gesù di Nazareth di Zeffirelli

Mentre nei sinottici è processato nel sinedrio davanti a Caifa, secondo il vangelo di Giovanni Gesù è preliminarmente interrogato dal suocero di questi, Anna. È in questo contesto che Pietro pronuncia il suo triplice rinnegamento: «Non sono», che fa da contrasto alla triplice affermazione dell’Io Sono divino di Gesù.

Il processo romano in Giovanni è molto sviluppato; è basato sulla regalità di Cristo ed al centro esatto del racconto presenta infatti la sua persona coronata (di spine) e rivestita di porpora (per scherno) come il re dei re (Gv 19,5).

Pilato sembra interessato ad avere chiarimenti da Gesù. Rimane in sospeso la domanda (18,38): Tí estin alétheia? Che cos’è la verità? Che in latino suona: Quid est veritas? Si può pensare che Pilato l’abbia pronunciata, quasi fra sé e sé, in latino. Ebbene, sapete quale sorprendente risposta si ha anagrammando la frase? Est Vir qui adest, ovvero: È l’Uomo che è qui

La Via Crucis

Il Figlio amato

Gesù porta da solo la croce, non ha un Cireneo che lo aiuti come avviene invece nei sinottici. Ci sono altre spiegazioni di questo particolare, ma quella che ci interessa in questo momento è collegata a Isacco come prefigurazione di Gesù. Isacco è il figlio amato che reca la legna salendo il monte del sacrificio. Giovanni, nella scena dell’interrogatorio in casa di Anna, ha avuto cura di evidenziare per due volte come Gesù fosse stato legato. Questo avviene anche ad Isacco sul monte dell’olocausto; tanto è vero che gli ebrei chiamano l’episodio non sacrificio di Isacco ma legatura di Isacco (‘aqedah). Giovanni aveva scritto infatti: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, affinché chi crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (3,16). Il momento è venuto, ed è questo.

Il Titulus Crucis

Tutti gli evangelisti registrano la presenza dell’iscrizione sulla croce, ma questa assume in Giovanni un’importanza particolare perché è una involontaria professione di fede nella regalità di Gesù. Forse un lapsus di Pilato, che non volendo proclama Gesù re, invece di denunciare la sua pretesa di farsi re. È la tipica ironia giovannea, per cui anche nell’errore emerge la verità.

La spartizione delle vesti

Anche questo elemento è presente in tutti gli evangelisti, ma in Giovanni assume una rilevanza particolare. Infatti, non solo il racconto di Giovanni è più dettagliato e più aderente a Sal 22,19 che cita esplicitamente, ma riporta il particolare della tunica inconsutile, fatta d’un solo pezzo senza cuciture, che i soldati non vollero lacerare per non farle perdere valore, ma se la giocarono. È chiaro come questa scena di ordinario supplizio (i carnefici avevano il diritto di impadronirsi dei beni che il giustiziato portava addosso), al di là del valore storico, abbia un valore simbolico: la tunica, simbolo del sacerdozio di Cristo (era il sommo sacerdote che, secondo Filone di Alessandria, indossava una tunica senza cuciture), non si lacera con la sua morte, e i figli di Dio dispersi ritrovano in lui la loro unità.

La morte e il colpo di lancia

Altre differenze del racconto giovanneo rispetto ai sinottici si riscontrano nella scena della morte di Gesù. In Giovanni, la morte di Gesù avviene mentre al tempio si sacrificano gli agnelli pasquali. Inoltre, Gesù china il capo e consegna lo spirito. Cioè, abbandonando la propria vita alla morte, con un gesto volontario, comunica lo Spirito alla Chiesa nascente, rappresentata dalla Madre e dal Discepolo amato. Non è il semplice emettere lo spirito  (Matteo) o spirare (Marco e Luca). Ma c’è di più.

In un supremo atto di ipocrisia, coloro che avevano mandato a morte un innocente chiedono che i corpi dei giustiziati vengano rimossi per non profanare il Sabato, che nella cronologia giovannea è anche la Pasqua. I soldati vanno ad effettuare il crurifragium, cioè la frattura delle gambe, ai crocifissi. È il colpo di grazia, se così si può dire: un atto che affrettava la morte perché i condannati, non potendosi più sostenere eretti, morivano subito. Ma Gesù era già morto, e su di lui non viene praticato il crurifragium, ma l’accertamento della morte, la punctio cordis, come voleva il diritto romano: un colpo al cuore certificava la morte (più di così!). Un gesto di ordinario supplizio, anche questo. Ma Giovanni, il testimone, vede in tutto questo molto di più.

A Gesù non viene spezzato alcun osso, come nell’agnello pasquale (Es 12,46): l’Agnello pasquale è lui, dall’inizio alla fine del IV Vangelo, nelle parole di un Giovanni (detto il Battista) e nella testimonianza del Discepolo amato (il secondo Giovanni).

Inoltre, dal cuore trafitto sgorgano subito sangue ed acqua. «Guarderanno a colui che hanno trafitto», commenta Giovanni citando Zc 12,10. Ma questo sangue e acqua sono i sacramenti primordiali della Chiesa, il sangue eucaristico e l’acqua battesimale, che danno vita alla comunità dei figli di Dio rappresentata presso la croce dalla Madre e dal Discepolo. Questo atto di morte è una festa di vita.

La sepoltura

Qui si fa protagonista un discepolo occulto di Gesù, Giuseppe di Arimatea, citato anche dai sinottici; ma in Giovanni gli si accompagna Nicodemo, quello che aveva cercato Gesù di notte, e che porta 100 libbre di mirra ed aloe per l’unzione: una quantità spropositata, più di 45 chili. Il contesto, più che funebre, è sponsale: è nel Cantico dei Cantici che si ha il trionfo degli aromi in funzione amorosa. Gesù, come a Cana, torna ad essere lo Sposo, per una sposa che è attesa.

Gesù è Sposo, tanto più che, come nel Cantico dei Cantici, lo scenario dell’azione è – lo dice solo Giovanni – un giardino (képos); così come in un giardino (képos: 18,1) Gesù era stato arrestato. In questo giardino il Risorto incontrerà la Maddalena. Tutto il racconto della Passione di Giovanni è racchiuso da questa parola e da questo scenario: un giardino. Il luogo dell’amore. Ed anche, in virtù della tipica ambivalenza giovannea, il luogo della caduta originaria (il giardino dell’Eden) e il luogo del ritorno a Dio dell’umanità redenta…