Lettura continua della Bibbia. Il Vangelo e i Vangeli

Codex Amiatinus (fol. 796v), Maiestas Domini tra gli evangelisti. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=27208698

Prima di tutto, chiediamoci perché il Vangelo ci è arrivato attraverso quattro voci che sono i quattro Vangeli.

Accostandoci alla lettura dei Vangeli ci accingiamo ad una lettura non facile. Nessun vangelo canonico è un raccontino buttato lì come memoria spontanea di fatti cui qualcuno ha assistito. Tutti e quattro, dal più complesso Giovanni al più arcaico Marco, si sviluppano da un insieme di tradizioni orali che il redattore o i redattori hanno utilizzato secondo la particolare sensibilità e ottica della comunità cui si rivolge. Perché quasi tutti i libri della Bibbia sono opera non tanto di un singolo autore quanto di una intera comunità.

Ecco perché, prima di avvicinarci alla lettura, è necessario fare delle premesse. Innanzi tutto, che cos’è un Vangelo, e perché ve ne sono quattro?

Che cosa significa «Vangelo»?

La parola greca «Vangelo», per molto tempo, non indica un libro. I quattro scritti che noi chiamiamo Vangeli non portavano originariamente alcun titolo. L’inizio del Vangelo di Marco, «Principio del vangelo di Gesù Cristo» (Archè tou euanghelíou Jesou Christou), designa non lo scritto ma l’annuncio a viva voce della salvezza, la Buona Notizia che è Gesù.

In questa fase, il termine euanghélion non avrebbe mai potuto evocare l’immagine di un libro. Solo nel II secolo dell’era cristiana viene ad indicare un’opera scritta.

Euánghelos indica inizialmente il messaggero di una buona notizia; per i classici greci, da Omero a Plutarco, era il premio dovuto a chi recava una buona notizia, poi, solo in autori del II secolo d.C. come Appiano e Luciano, esprime la lieta notizia stessa, spesso l’annuncio di una vittoria.

Si tratta, dunque, di un annuncio orale. Nell’antichità, la viva voce è il mezzo principale di comunicazione, anche se viene già usata la scrittura.

Quando i nostri scritti hanno ricevuto il titolo di Vangeli?

La prima testimonianza inequivocabile in cui il termine Vangeli inizia a indicare dei libri è data da Giustino (Apol. 66,3; Dial. 10,2; 100,1). San Giustino, filosofo pagano divenuto cristiano, verso il 150 afferma che le memorie degli apostoli sono chiamate euanghélia. Questo uso appare poi sempre più frequentemente e con sempre maggior sicurezza nei manoscritti (Papiro Bodmer II, ecc.). Gli altri scritti apostolici non vengono mai chiamati «Vangeli», ma Lettere, Atti (Práxeis), Apocalisse.

Il Vangelo quadriforme

Vangeli
I quattro evangelisti di Pieter Paul Rubens (1614) – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72332251

Già al termine del primo secolo, le comunità cristiane, in virtù di quella sorta di istinto di fede di cui sono dotate (sensus fidei), riconoscono spontaneamente, negli scritti tramandati secondo la tradizione di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, l’ispirazione divina che ne fa scritti sacri. Quattro Vangeli sono riconosciuti unanimamente come Sacra Scrittura, mentre la produzione successiva, la proliferazione incontrollata degli apocrifi, ne è stata esclusa.

Perché quattro Vangeli? Non ne bastava uno solo?

La differenziazione tra i Vangeli si spiega con la loro nascita, qualche decennio dopo l’evento Cristo, dallo sviluppo della tradizione a partire dalla predicazione orale degli apostoli. I primi discepoli e i loro seguaci hanno predicato l’unico Vangelo con modalità diverse a seconda delle comunità cui la predicazione era rivolta. Questo ha portato a differenze notevoli, ad esempio, tra le comunità di estrazione ebraica, come quelle cui si rivolge Matteo, e le comunità di estrazione pagana, come quelle cui si rivolge Luca. Ogni narrazione ha delle particolarità che la rendono di una ricchezza unica, perciò da conservare e tramandare.

Uno sviluppo molto complesso

Le fonti poi sono diverse; per i primi tre Vangeli la fonte di Marco è comune a tutti (triplice tradizione), ma ad essa si aggiunge, per Matteo e Luca, una fonte non utilizzata da Marco, l’ipotetica fonte Q (dal tedesco Quelle = Fonte), e poi fonti minori, tra cui quella peculiare di Matteo e quella esclusiva di Luca.

Una ricchezza a quattro voci

Perché tutte queste tradizioni non sono state amalgamate in una sola, ma sono rimaste indipendenti nei singoli quattro Vangeli? Per conservare ad ogni Vangelo la propria ricchezza, esaltata e valorizzata nel confronto con gli altri e non appiattita su di un piano unico che non permette più di cogliere sfumature e sottolineature. Se si mescolano insieme tutti i colori non ne viene un colore che li conserva tutti, ma un bruttissimo grigio spento che non conserva il pregio di nessuno…

Possiamo fare anche l’esempio di un coro a quattro voci, quanto più prezioso rispetto al canto di un singolo solista!

L’universalità del Vangelo

Ireneo dà una motivazione ecclesiologica alla pluralità dei Vangeli, che sono quattro ad indicare la cattolicità della Chiesa (quattro è numero cosmico, indicando i punti cardinali). Perciò ci è stato dato «un Vangelo quadriforme (tetramorphum), però tenuto insieme da un unico Spirito»:

«Poiché vi sono quattro regioni del mondo nel quale viviamo e quattro venti cardinali, e poiché d’altra parte la Chiesa è sparsa su tutta la terra, e la colonna e il fondamento della Chiesa sono il Vangelo e lo Spirito di vita, è normale che questa Chiesa abbia quattro colonne che emettano da ogni parte soffi di incorruttibilità e vivifichino tutti gli uomini. Da cui appare che il Verbo, artigiano dell’universo, lui, che è assiso sui cherubini e che regge tutto, una volta manifestato agli uomini, ci ha donato il Vangelo quadriforme, Vangelo che tuttavia è sostenuto da un solo Spirito… Poiché in effetti Dio compose tutte le cose con proporzione, bisognava che la forma sotto la quale si presentava il vangelo fosse anche ben composta e armonicamente disposta» (S. Ireneo, Adv. Haer. III, 11,7-9).

I Vangeli e gli apocrifi

Spesso gli apocrifi vengono presentati come i «veri» vangeli, che la Chiesa ha voluto nascondere perché svelerebbero la verità su Cristo, una verità scomoda: Gesù non era altro che un uomo.

È esattamente il contrario. Sono i quattro Vangeli secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni, che ci fanno conoscere l’autentica umanità del Cristo, la sua amicizia, la sua fatica, la sua sofferenza, il suo essere come noi in tutto tranne che nel peccato, fino ad una vera morte, e morte di croce, e sepoltura, per giungere alla gloriosa resurrezione nella sua stessa carne umana, benché trasfigurata in una gloria ormai senza ombre.

Gli apocrifi, al contrario, ci fanno conoscere un Gesù che è solo Dio perché la sua umanità è fittizia ed egli disdegna la materia.Un Gesù che non si incarna veramente, ma prende solo l’apparenza di uomo; che non viene crocifisso, non muore e non risorge, e salva gli uomini – quelli di serie A, gli «spirituali», perché per gli altri non c’è speranza – col suo insegnamento, per via di illuminazione mentale, non col sacrificio della propria vita, con la morte di croce e la resurrezione.

Gli scopi degli apocrifi

Lo scopo della letteratura apocrifa può essere duplice:

  • Soprattutto, colmare le «lacune» dei libri biblici, cioè soddisfare la curiosità di avere quelle notizie di cui i libri canonici sono molto avari (che cosa faceva Gesù da bambino? Come si chiamavano i Magi, quanti erano, chi erano? Come si chiamavano i ladroni crocifissi con Gesù? Come è avvenuta la resurrezione? Nessuno scritto canonico ci dice queste cose).
  • Talvolta, fornire sostegno ad idee o tendenze particolari od ereticali.

Anche se non canonici, non ispirati e non attendibili in quanto tali, gli apocrifi danno informazioni sull’ambiente religioso e culturale del loro tempo. Possono anche essere testimoni di tradizioni che, caso per caso, possono avere una loro validità se supportate dalle asserzioni dei Padri o dalla liturgia: ad esempio, i nomi dei genitori di Maria, la sua nascita e presentazione al tempio, la sua Dormitio. Alcuni testi liturgici sono presi da apocrifi, come il Requiem aeternam da IV Esdra 2,34 s. Persino la Lettera – canonica – di Giuda cita due volte gli apocrifi (v. 9: L’Assunzione di Mosè; v. 14: Enoc). In fondo, «anche un orologio rotto ha ragione due volte al giorno»…

Principali Vangeli apocrifi

Vangeli dell’infanzia

I vangeli dell’infanzia illustrano i dettagli relativi alla vita nascosta di Gesù, soprattutto la sua infanzia, ignoti in quanto taciuti dai vangeli canonici. Presentano un carattere miracolistico persino magico-fiabesco. Ricordiamo il Protovangelo di Giacomo, della metà del II secolo, che racconta i fatti miracolosi della nascita di Maria e di Gesù, e il Vangelo dell’Infanzia di Tommaso, che riporta vari miracoli compiuti da Gesù fra i 5 e i 12 anni, quando ancora, come un Superman fanciullo, sembra non saper padroneggiare la propria potenza.

Vangeli della passione, morte e resurrezione

Come vangeli della passione, morte e resurrezione ricordiamo quello di Gamaliele e quello di Nicodemo, entrambi del IV secolo.

Vangeli della vita pubblica

Questi non sono vangeli narrativi, ma raccolte di detti del Signore, a carattere gnostico. Presentano un Gesù che è Dio ma non vero uomo; non si è incarnato veramente ma ha preso le apparenze umane; non muore sulla croce (al suo posto, secondo Basilide, viene crocifisso il Cireneo) e nemmeno risorge. La sua azione salvifica è quella di illuminare le menti degli uomini spirituali (di serie A) portandole alla luce. Ricordiamo il Vangelo copto di Tommaso, del IV secolo, il Vangelo di Filippo (III secolo), il Vangelo di Giuda (II secolo).

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