Tre controversie, tre trabocchetti per prendere in trappola Gesù facendolo schierare per un partito o per l’altro e alienandogli il resto del popolo. La prima domanda riguarda il tributo a Cesare: è lecito o noi pagarlo?
La prima controversia è suscitata da farisei ed erodiani, questi ultimi sostenitori del potere monarchico e quindi del dominio romano che lo avvalla. La domanda, mirata ad intessere un tranello, inizia con un atto di captatio benevolentiae, una lusinga che viene rivolta al Maestro sulla sua schiettezza senza compromessi. Gli erodiani erano i sostenitori della monarchia di Erode Antipa allineata con Roma. Rispondere che il tributo, il census, non si doveva pagare all’imperatore pagano equivaleva a dichiararsi ribelle; rispondere il contrario significava scontentare le folle che volevano un Messia antiromano.
Gli erodiani e il tributo
I sostenitori della dinastia degli Erodi, a partire da Erode il Grande e poi con il figlio Erode Antipa, non erano un gruppo religioso, né un partito organizzato. Erano filo romani e provenivano verosimilmente dalle gerarchie politiche degli Erodi e dalla loro corte.
L’ammontare del census dovuto a Cesare equivaleva al salario di un giorno di lavoro, un denaro d’argento a testa, uomini e donne fino ai 65 anni.
A Cesare quel che è di Cesare
Il denaro porta impressa l’effigie del Cesare di turno, in questo caso l’imperatore Tiberio, quindi appartiene alla sfera degli obblighi civili. Ma questa sfera non è illimitata: a Cesare quel che gli spetta, a Dio, però, quello che appartiene solo a Lui.
Al tempo di Gesù, la questione sembra senza via di uscita: dichiarare la liceità del tributo all’invasore romano renderebbe Gesù passibile di accusa di collaborazionismo, negarla equivarrebbe a farne un ribelle. Pro o contro Cesare?
Ma Gesù trova sempre la terza via che per gli avversari risulta inconcepibile. La moneta che porta l’effigie di Cesare appartiene a Cesare cioè alla sfera dello Stato cui anche il credente, come cittadino, appartiene, e verso cui ha dei doveri, perciò a Cesare la moneta deve essere resa (questo è il verbo usato); a Dio ciò che appartiene a Dio, ovvero la vita intera. Il denaro del tributo è pertanto una restituzione all’amministratore dello Stato.