Nell’Ufficio delle Letture di stamani troviamo un interessante commento di Sant’Ilario in merito ad una espressione che compare spesso nell’Antico Testamento, in questo caso nel Salmi: il timor di Dio. Espressione spesso equivocabile nel senso della paura, del terrore. Ma temere Dio non significa affatto questo. Leggiamo il brano, poi darò qualche spiegazione supplementare.
Dai «Trattati sui salmi» di Sant’Ilario, vescovo
(Sal 127, 1-3)
«Beato l’uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie» (Sal 127, 1). Ogni volta che nella Scrittura si parla del timore del Signore, bisogna tener presente che non si trova mai da solo, come se per noi bastasse alla completezza della fede, ma gli vengono aggiunti o anteposti molti altri valori.
Da questi si comprende l’essenza e la perfezione del timor di Dio come sappiamo da quanto è detto nei Proverbi di Salomone: «Se appunto invocherai l’intelligenza e chiamerai la saggezza, se la ricercherai come l’argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore» (Pro 2, 3-5).
Vediamo da ciò per quanti gradi si arriva al timore di Dio.
Anzitutto, chiesto il dono della sapienza si deve affidare tutto il compito dell’approfondimento al dono dell’intelletto, con il quale ricercare e investigare la sapienza. Solo allora si potrà comprendere il timore del Signore. Certamente il modo comune di ragionare degli uomini non procede così circa il timore.
Infatti il timore è considerato come la paura che ha l’umana debolezza quando teme di soffrire ciò che non vorrebbe gli accadesse. Tale genere di timore si desta in noi con il rimorso della colpa, di fronte al diritto del più potente, o all’attacco del più forte, a causa di una malattia, per l’incontro con una bestia feroce o, infine, per la sofferenza di qualsiasi male.
Non è questo il timore che qui si insegna, perché esso deriva dalla debolezza naturale.
In questa linea di timore, infatti, ciò che si deve temere non è per nulla oggetto e materia di apprendimento, poiché le cose temibili si incaricano da se stesse a incutere terrore.
Del timore del Signore invece così sta scritto: «Venite, figli, ascoltatemi; v’insegnerò il timore del Signore» (Sal 33, 12). Dunque si impara il timore del Signore, perché viene insegnato. Questo genere di timore non sta nello spavento naturale e spontaneo, ma in una realtà che viene comunicata come una dottrina. Non promana dalla trepidazione della natura, ma lo si comincia ad apprendere con l’osservanza dei comandamenti, con le opere di una vita innocente, e con la conoscenza della verità.
Per conto nostro il timore di Dio è tutto nell’amore, e l’amore perfetto perfeziona questo timore.
Il compito proprio del nostro amore verso Dio è di ascoltarne gli ammonimenti, obbedire ai suoi comandamenti, fidarsi delle sue promesse.
Ascoltiamo dunque la Scrittura che dice: «Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima, che tu osservi i comandi del Signore e le sue leggi, che oggi ti do per il tuo bene?» (Dt 10, 12).
Molte poi sono le vie del Signore, benché egli stesso sia la via. Ma quando parla di se stesso si chiama via, dando anche la ragione per cui si chiami così: «Nessuno», dice, «viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6).
Bisogna dunque porsi il problema delle molte vie possibili e ponderare molti elementi perché, edotti da molte ragioni, possiamo trovare quell’unica via della vita eterna che fa per noi.
Vi sono infatti vie nella legge, vie nei profeti, vie nei vangeli, vie negli apostoli, vie anche nelle diverse opere dei maestri.
Beati coloro che camminano in esse col timore di Dio.
Un commento
Mi sembra che Sant’Ilario centri abbastanza bene il punto: il timor di Dio non è assimilabile alla paura che ci infondono realtà naturali o eventi. Non c’è alcun bisogno di imparare questo tipo di timore: viene spontaneo, è istintivo.
Il timor di Dio, invece, si deve imparare: è Dio, con la sua Sapienza, che ci educa in esso. Non consiste nell’essere atterriti dal Divino, come può accadere di fronte alla maestà di uno spettacolo naturale o di fronte ad un avvenimento che ci schiaccia con la sua forza. Questo è il terrore, non il timore di Dio.
Il timore di fronte a Dio esprime tutt’altra cosa. Il vocabolo ebraico viene dal verbo yare’ che significa aver timore, paura ma anche reverenza, rispetto. È questo il senso biblico. Quando il Dio dell’Antico Testamento viene chiamato Nora’, non lo tradurrei Terribile, ma Venerabile, parola che rende meglio il significato di quanto si sta affermando. Il timor di Dio non è una paura che Egli voglia incutere in noi, né un terrore che noi possiamo provare istintivamente, ma la consapevolezza che siamo creature di fronte al Creatore, figli di fronte al Padre, contro l’antica tentazione di scambiare i ruoli e di volerci fare dèi di noi stessi. È l’antico peccato (Genesi 3,5: Diventerete come Dio!).
Ecco perché questo tipo di timore, il timor di Dio, è un dono dello Spirito Santo e si deve imparare a lasciarlo crescere: perché non è paura, è venerazione, ma è una venerazione che non si limita all’atto di culto. Si estende su tutta la vita, sulla quotidianità della nostra vita, avvolgendola come in un abbraccio nel rapporto filiale col Padre di tutti e di ciascuno. È strettamente legato all’amore e non può darsi senza di esso. La migliore raffigurazione ne viene data nel salmo 131:
1«Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
2 Io sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia».