Contestazione dell’omelia di Giorgio Farè: Il termine temporale non rende invalida la rinuncia

Il termine temporale della rinuncia
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Proseguiamo nell’analisi della non qualificabile omelia di Giorgio Farè sulla presunta nullità o meglio inesistenza delle dimissioni di Benedetto XVI.

Seconda argomentazione:

Le dimissioni sarebbero rese nulle dal termine temporale che la dichiarazione stabilisce

Lascio la parola – che io, sia chiaro, non condivido minimamente – al sacerdote:

«La dichiarazione di Benedetto XVI introduce un termine temporale che differisce l’entrata in vigore della presunta rinuncia al 28 febbraio. Nella giurisprudenza in generale e nella letteratura canonistica in particolare questa possibilità non è contemplata: la rinuncia al papato ha le caratteristiche di quello che in gergo si chiama atto giuridico puro. Gli atti giuridici puri sono atti che per la loro importanza e per evitare possibili incertezze e ambiguità non ammettono la presenza di elementi accidentali che sono solitamente la condizione e il termine. La posizione di un termine temporale rende l’atto di rinuncia non solo nullo ma addirittura inesistente. Un tale atto non produce alcun effetto.

Se si volesse considerare la rinuncia come resa a norma del diritto secondo il canone 332 comma 2 (cosa che non è come andremo a dimostrare, dice lui), interverrebbe il canone 189 comma 3 del codice di diritto canonico il quale prevede che la rinuncia ad un ufficio ecclesiastico che non sia soggetta ad accettazione come quella del papa secondo il canone 332 comma 2 abbia effetto immediato. Inoltre non è prevista una possibilità di differimento».

Risposta. Il termine temporale della rinuncia

Prima di tutto, cosa è questa storia dell’atto giuridico puro?

Conosco bene questa tecnica, perché la usano le sette. È la tecnica di mescolare poche verità (di solito ottenute citando passi alla lettera fuori del contesto) a un cumulo di menzogne. La gente si disorienta.

La Declaratio è solo una dichiarazione o un atto giuridico puro? Decidiamoci

Prima di tutto, il nostro predicatore ha appena detto che “Così come è stata pronunciata la dichiarazione di Benedetto XVI è appunto solo una dichiarazione, non un atto giuridicamente valido“. Adesso, dopo appena un minuto, mi viene a dire che potrebbe essere addirittura un atto giuridico puro? Cioè, da una dichiarazione senza valore giuridico ora è trattata come un atto giuridico di importanza capitale?

Comunque, prendiamo in considerazione la definizione di atto giuridico puro. La definizione è corretta, ma:

  • Prima di tutto, questo concetto appartiene alla sfera della dottrina del Diritto italiano, non direttamente applicabile al Diritto canonico. La definizione va bene, ma non si applica al nostro caso.
  • Il concetto di termine, presente nella Declaratio in questione, non ha comunque a che fare con la volontà ivi espressa di rinuncia al Pontificato. Atti giuridici puri sono quegli atti che, ad evitare che sorgano incertezze sulla loro esistenza e durata, non ammettono l’apposizione di elementi accidentali, quali la condizione o il termine. D’accordo. Vediamo gli esempi: il matrimonio, il riconoscimento del figlio naturale, l’adozione, l’accettazione e la rinunzia all’eredità. Non avrebbe valore, certamente, un matrimonio a tempo, o il riconoscimento o adozione di un figlio a scadenza… Ma ha perfettamente senso che un papa dimissionario fissi un periodo di tempo fra la propria comunicazione di volontà di rinunciare al suo ruolo e la effettiva cessazione dal proprio ufficio.

In secondo luogo, vediamo che cosa dice il Codice di Diritto Canonico, che è l’unico che detta legge in materia.

Vediamo che cosa dice il Codice di Diritto Canonico

Canone 189 §3. «La rinuncia che necessita di accettazione, se non sia accettata entro tre mesi, manca di ogni valore; quella che non ha bisogno di accettazione sortisce l’effetto con la comunicazione del rinunciante fatta a norma del diritto».

Appare lampante. È previsto un termine per l’accettazione di una rinuncia sottoposta ad una autorità superiore. È il caso di un parroco sottoposto al vescovo o di un vescovo sottoposto al papa. Se il termine decorre senza che la rinuncia sia accettata, la rinuncia stessa decade. La rinuncia che non è sottoposta ad altra autorità, quella del Papa che giuricamente non ha nessuno sopra di sé, è subito valida. Questo è il senso della norma. Il che non significa che se il rinunciante abbia fissato un termine per la messa in atto della rinuncia la rinuncia stessa sia resa nulla. Non è prevista la possibilità di differimento, ma non è neppure vietata! Tutt’al più si può sostenere che, non ostante il termine di 15 giorni che papa Ratzinger si era dato per la cessazione dall’incarico, in realtà è stato dimissionario subito, ipso facto.

Ma vediamo che cosa ne dice la testimonianza del segretario di Benedetto XVI, don Georg.

La testimonianza di don Georg sulla scelta della tempistica

«Una precisa determinazione di Benedetto fu quella di porre un intervallo di separazione fra il giorno dell’annuncio e la data di conclusione del pontificato, poiché reputava essenziale che i cardinali potessero avere un tempo di pausa e di preparazione, corrispondente psicologicamente in qualche modo a ciò che in precedenza era stato il periodo dell’agonia del Papa e dei Novendiali, i nove giorni di lutto successivi alla morte e al funerale, durante il quale sono previste specifiche celebrazioni nella Basilica vaticana.

Inoltre doveva esserci la possibilità di rendere noto il motu proprio Normas nonnullas, su alcune modifiche alle regole della costituzione apostolica Universi dominici gregis relative all’elezione del Romano Pontefice, dopo l’opportuna verifica da parte del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi e della Segreteria di Stato, una cosa impossibile da fare in precedenza, poiché avrebbe dato troppo nell’occhio» (p. 202).

Lo stabilire un intervallo di alcuni giorni fra la Dichiarazione di rinuncia e la conclusione effettiva del pontificato di Benedetto XVI era quindi motivato (saggiamente, nelle intenzioni) dalla opportunità di dare ai cardinali il tempo di metabolizzare l’annuncio, ma anche di dare il tempo alla Santa Sede di pubblicare le modifiche alle norme sull’elezione del Sommo Pontefice che avrebbe avuto luogo, per volontà di Benedetto XVI, di lì a poco. È semplicemente delirante considerarlo un elemento di nullità dell’atto. Inoltre, non essendo sottoposto ad alcuna autorità superiore, Benedetto XVI, ancora nelle sue funzioni, poteva fare come meglio credeva. L’unica condizione richiesta era che la volontà di rinuncia fosse chiara, come in effetti è stata.

Il termine temporale della rinuncia: il giudizio degli esperti

Riporto, a conferma autorevole di quanto sopra detto, il contributo già precedentemente citato dei canonisti Boni – Ganarin.

Vi è, inoltre, un cortocircuito palese nel ragionamento di Faré che, se per un verso lamenta l’omessa ratifica della rinuncia, tuttavia non stabilita dal diritto, per l’ altro assume una discutibile visione positivista, notoriamente estranea alla natura dello ius Ecclesiæ, per denunciare la trasgressione del can. 189 § 3 CIC, secondo il cui tenore la rinuncia senza accettazione sortisce effetto mediante la comunicazione del rinunciante fatta a norma del diritto. L’obiettivo perseguito dall’autore è quello di contestare l’apposizione, da parte di Benedetto XVI, nell’atto di rinuncia di un termine iniziale (dies a quo) a partire dal quale esso ha esplicato i suoi effetti.

Segnatamente egli ritiene che ciò non sarebbe possibile dinanzi a un «“atto giuridico puro” […] che, per la [sua] importanza e per evitare possibili incertezze e ambiguità, non [ammette] la presenza di elementi accidentali, che sono solitamente la condizione e il termine», altrimenti l’atto medesimo sarebbe anche in questo caso «inesistente».

Premesso che appare difficile se non impossibile, stando ai principi della teoria generale del diritto, che la presenza di un elemento accidentale possa di per sé determinare l’inesistenza di un atto giuridico, travolgendone così gli elementi essenziali, non si tiene conto ancora una volta dell’inapplicabilità di alcune disposizioni codiciali agli atti del papa, derivante da un’interpretazione del dettato normativo conforme allo conforme allo ius divinum.

Solo attraverso un’indagine approssimativa, infatti, si può desumere dal testo del can. 189 § 3 CIC che la rinuncia dovrebbe produrre un «effetto immediato», non essendo «prevista una possibilità di differimento».

Ma ciò che non è riportato esplicitamente nella legge canonica non significa che sia implicitamente proibito: l’efficacia, al contrario, poteva legittimamente essere differita nel tempo, dato che la rinuncia è un atto di governo con il quale si determina la sola cessazione della titolarità dell’ufficio apicale di giurisdizione nella Chiesa, non rilevando in alcun modo l’investitura divina della carica e fermo restando che il papato non rappresenta il quarto grado del sacramento dell’ordine (cfr. Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di Papa Benedetto XVI e il diritto, cit., p. 116 ss., con menzione della non scarsa letteratura sul punto). menzione della non scarsa letteratura sul punto).