
Il tempo e l’eternità. La percezione del tempo che passa, in relazione all’eterno, è fondamentale per l’esistenza umana. Berlicche, con fine penetrazione, ammonisce: il presente, e non il futuro, è il punto nel quale il tempo tocca l’eternità. Incentrarsi sul futuro è come cercare la fine dell’arcobaleno, non ne nasce che ansietà
Berlicche: il tempo e l’eternità

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Il sito inglese Wertzone nel 2015 pone C.S. Lewis al sesto posto della letteratura fantasy mondiale, con 120 milioni di copie di suoi libri vendute; oggi saranno molte di più. In massima parte i dati si riferiscono alle Cronache di Narnia (tradotte in 47 lingue), ma anche le Lettere di Berlicche non scherzano. Nel complesso, si stima che i 38 libri pubblicati da C.S. Lewis abbiano venduto qualcosa come 200 milioni di copie, numero battuto da Tolkien con 250 milioni (ma il dato riguardante Lewis è del 2001).
Un libro che ha fatto la guerra
E non si dimentichi che le Lettere di Berlicche hanno anche fatto la guerra. Preoccupato che il manoscritto originale (scritto a mano: Lewis non sapeva scrivere a macchina) potesse essere distrutto nei raid aerei, Lewis lo inviò alle monache di Santa Maria Vergine a Wantage pregandole di tenerlo al sicuro nel caso in cui la copia dell’editore venisse danneggiata; dopo di che, scrisse, potevano usarlo per accendere il fuoco o per imbottire bambole o altro. Quando, a guerra conclusa, le monache si offrirono di rispedirglielo, l’autore disse loro di venderlo e di usare il ricavato per la comunità.
L’amicizia di un monastero
Lewis era entrato in contatto con il monastero anglicano di Wantage, presso Oxford, nell’agosto del 1939, quando suor Penelope Lawson gli aveva scritto a proposito del suo romanzo fantateologico Lontano dal Pianeta Silenzioso. Questa amicizia durò per tutto il resto della sua vita. Alle monache di Wantage Lewis dedicò il suo secondo romanzo della trilogia interplanetaria Perelandra, con queste parole: To some Ladies at Wantage. Nell’edizione portoghese del romanzo il traduttore fraintese, e tradusse Ad alcune signore licenziose come se il testo recitasse To Some Wanton Ladies, con gran divertimento delle Ladies stesse.
La Comunità di Santa Maria Vergine a Wantage, nell’Oxfordshire, è un ordine religioso anglicano fondato nell’ambito del Movimento di Oxford nel 1848. Dal movimento di Oxford erano, infatti, rinate le prime comunità religiose inglesi dopo la dissoluzione dei monasteri da parte di Enrico VIII. Il 1° gennaio 2013 undici suore della comunità, tra cui la madre superiora, hanno lasciato il monastero di Wantage per unirsi alla Chiesa cattolica romana.
Un romanzo epistolare
Le Lettere di Berlicche non sono un vero e proprio romanzo: la trama, molto esile se non pressoché nulla, si desume solamente dalle osservazioni che il mittente delle lettere (Berlicche, Screwtape in inglese) rivolge al nipote Malacoda (Wormwood, «Assenzio», in inglese; la scelta del traduttore italiano mons. Castelli di utilizzare i nomi dei diavoli della pattuglia dantesca è particolarmente felice).
L’interesse sta tutto nei tipi umani che ne emergono, nella loro vita interiore, nel tono sornione dell’arcidiavolo, nella filosofia infernale che Berlicche esprime e nello stupore con cui egli è costretto a prendere atto, incredulo, della logica del Cielo, così che dall’inferno involontariamente autoironico di Berlicche anche il lettore può rivolgere uno sguardo di contemplazione al Cielo Profondo.
Rimanderò ad altro momento l’esame dei contenuti antropo-teologici, peraltro di altissimo spessore, offerti dal libro in un modo così spassoso. Mi sto limitando per ora a cogliere la relazione di questo libro con la guerra, una guerra vera, drammatica, patita per tanto tempo sulla propria pelle dalla popolazione inglese e londinese in particolare.
Il tempo e l’eternità. Lettera XV
Mio caro Malacoda,
avevo notato, naturalmente, che gli esseri umani avevano avuto un periodo di stasi nella loro guerra europea – in quella che con molto candore chiamano «La Guerra!» — e non mi sorprende che vi sia una stasi corrispondente nelle preoccupazioni del paziente. Dobbiamo incoraggiarlo in ciò, oppure mantenerlo continuamente sottosopra?
Tanto una paura torturante quanto una sciocca confidenza sono posizioni mentali da desiderare. La scelta che dobbiamo fare fra i due dà luogo a importanti problemi.
Il Nemico, l’eternità e il presente
Gli esseri umani vivono nel tempo, ma il nostro Nemico li destina all’eternità. Perciò, credo, Egli desidera che essi si occupino principalmente di due cose: della eternità stessa, e di quel punto del tempo che essi chiamano il presente. Il presente è infatti il punto nel quale il tempo tocca l’eternità. Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri umani hanno un’esperienza analoga all’esperienza che il nostro Nemico ha della realtà intera; soltanto in esso viene loro offerta la libertà e la realtà. Egli vorrebbe perciò che essi fossero continuamente occupati o con l’eternità (il che vuol dire essere occupati di Lui) o con il presente – o che meditino sulla loro eterna unione con Lui, o sulla separazione da Lui, oppure che obbediscano alla voce presente della coscienza, portando la croce presente, ricevendo la grazia presente, offrendo azioni di grazie per il piacere presente.
Meglio farli vivere nel futuro
Il nostro lavoro è di allontanarli sia dall’eterno sia dal presente. A questo fine talvolta tentiamo un essere umano (una vedova, ad esempio, o uno studioso) a vivere nel passato. Ma ciò vale soltanto limitatamente, poiché essi hanno una conoscenza determinata del passato e il passato ha una natura determinata, e, sotto questo aspetto, assomiglia all’eternità. È molto meglio farli vivere nel futuro. Le necessità biologiche vi dirigono già tutte le loro passioni, cosicché il pensiero del futuro infiamma la speranza e il timore. Inoltre esso è sconosciuto, e quindi, facendoli pensare ad esso li facciamo pensare a cose irreali.
Il futuro è il tempo meno simile all’eternità
Insomma il futuro è, fra tutte, la cosa meno simile all’eternità. È la parte più compiutamente temporale del tempo – poiché il passato è ghiacciato e non scorre più, e il presente è tutto illuminato dai raggi dell’eternità. Da cui l’incoraggiamento che noi abbiamo dato a tutti quegli schemi di pensiero come l’Evoluzione creatrice, l’Umanesimo scientifico, o il Comunismo, che fissano l’affetto dell’uomo nel futuro, nel centro stesso della temporalità.
Quasi tutti i vizi sono radicati nel futuro. La gratitudine guarda al passato e l’amore al presente; il timore, l’avarizia, la lussuria e l’ambizione guardano avanti. Non pensare che la lussuria sia un’eccezione. Quando il piacere presente arriva, il peccato (che è la sola cosa che c’interessa) è già finito. Il piacere è appunto la parte del processo che si dispiace e che escluderemmo, se lo potessimo senza perdere il peccato; è la parte che viene offerta dal Nemico, e quindi sperimentata nel presente. Il peccato, che rappresenta il nostro contributo, guardava avanti.
Si sa, anche il Nemico vuole che gli uomini pensino al futuro – solo quel tanto che è necessario per stabilire ora i piani per gli atti di giustizia e di carità che forse saranno il loro dovere domani. Il dovere di stabilire i piani del lavoro di domani è un dovere di oggi; benché il suo materiale sia preso a prestito dal futuro, il dovere, come ogni dovere, è nel presente.
Un uomo stregato dal futuro
Questo non è spaccare un capello in quattro. Egli non vuole che gli uomini diano il loro cuore al futuro, che ripongano in esso il loro tesoro. Noi sì.
Il Suo ideale è un uomo che, avendo lavorato tutto il giorno per il bene della posterità (se tale è la sua vocazione), si libera la mente da ogni pensiero, di quel lavoro, lascia le conseguenze al Cielo, e ritorna senza indugio alla pazienza e alla gratitudine, che il momento che passa su di lui gli richiede. Noi invece vogliamo un uomo che sia stregato dal futuro – invasato da visioni di un cielo o di un inferno imminenti sulla terra – pronto a rompere i comandi del Nemico nel presente, se, così facendo, lo facciamo pensare che sarà in grado di raggiungere il primo o di schivare il secondo – dipendente per la sua fede dal successo o dal fallimento di schemi dei quali non vivrà fino a vedere la fine.
Noi vogliamo tutta una razza che persegua perpetuamente la fine dell’arcobaleno, non mai onesta, non mai gentile, né felice ora, ma che usi continuamente come pura esca da collocare sull’altare del futuro ogni vero dono che le viene offerto nel presente.
Ne segue, dunque, in generale, e a parità d’ogni altra cosa, che è meglio per il tuo paziente essere pieno di ansietà e di speranza (non importa quale) intorno a questa guerra, che non vivere nel presente.
Vivere nel presente
Ma la frase «vivere nel presente» è equivoca. Può essere usata a descrivere un processo che in realtà si può occupare del futuro come l’ansietà stessa. Il tuo uomo può essere indifferente intorno al futuro, non perché si occupa del presente, ma perché è giunto alla convinzione che il futuro sarà piacevole. Se la sua tranquillità seguirà questa linea, tale sua tranquillità ci sarà utile, perché non farà altro che accumulare sempre maggior disappunto, e quindi maggiore impazienza, per lui, quando le sue false speranze saranno svanite.
Se, d’altra parte, egli è consapevole che gli possono essere riservati degli orrori, e prega per ottenere le virtù, con le quali affrontarli, occupandosi nel frattempo del presente, perché là, e soltanto là, si trovano tutto il dovere, tutta la grazia, tutta la conoscenza, e tutto il piacere, il suo stato è indesiderabile e dovrebbe essere attaccato senza indugio.
Anche qui il nostro ramo filologico ha fatto un buon lavoro; tenta la parola «compiacimento» con lui. Ma, naturalmente, è probabilissimo che egli stia «vivendo nel presente» per nessuna di queste ragioni ma semplicemente perché la sua salute è buona ed egli sta godendo del suo lavoro. In questo caso il fenomeno sarebbe unicamente naturale. Ma io lo troncherei lo stesso, se fossi te. Nessun fenomeno naturale è in realtà in nostro favore. E, del resto, perché mai la creatura dovrebbe essere felice?
Tuo affezionatissimo zio Berlicche