
Il nome Jhwh non va certamente inteso nel senso ontologico di definizione filosofica della natura di Dio, come nei Settanta che traducono Egó eimi ho ón, Io Sono l’Ente. Il verbo ebraico hayah deve essere inteso nel senso di essere presente, esserci, non quindi di essere “assoluto” ma di essere relativo e operante: “Io ci sono” (per voi) o “Io ci sarò”. Il tempo di ’ehyeh è l’imperfetto, che esprime l’azione in via di compimento quindi in senso permanente (anche futuro).
Tutti gli studiosi concordano nell’affermare che il nome Jhwh deriva da una forma arcaica del verbo hayah = essere (in senso attivo: essere agente, essere con, essere per). Questo verbo è simile, con la cheth al posto di he, al verbo vivere.
Grammaticalmente, il nome Jhwh può essere:
- La terza persona singolare della forma qal: Egli è. Questa forma è la più probabile, e come abbiamo detto non va intesa nel senso ontologico del greco Ho On = L’Ente. Gli ebrei dell’Antico Testamento non possedevano questo concetto: per loro aveva senso solo un Dio che è vivo, serve, c’è, “funziona”.
- La terza persona singolare della forma causativa Hiphil: “Colui che fa essere”.
- Futuro: “Colui che sarà” = “che ci sarà per sempre” (per voi).
Il giro di parole con cui si esprime questo nome comporta un che di indistinto, di indeterminato, tanto che la promessa di presenza rimane nella sfera del vago, dell’inafferrabile: è la libertà di Jhwh, che non si determina, che non si delimita.
In tutto l’Antico Testamento non c’è nessun altro riferimento a questa interpretazione del nome di Jahwh: non deve dunque essere enfatizzata la sua rilevanza teologica, essendo rimasto un tentativo di interpretazione elohistica. Ma nella concezione antica il nome è più di un suono: fra il nome e chi lo porta esiste un rapporto essenziale. Il nome esprime la sostanza stessa del suo proprietario. Invocando il nome del dio, l’uomo poteva manipolarlo, servirsene per fare magie. In Gn 32,30, nell’espisodio della lotta di Giacobbe, Dio si sottrae alla domanda: “Perché mi domandi il mio nome?”. E lo benedisse”. In Es 3,14 Jhwh comunica il suo nome, si confida a Israele, ma in un modo elusivo, che impedisce all’uomo di definirlo, incapsularlo, manipolarlo. Il nome divino sarà invocato da Israele nel culto, ma proteggendolo rigorosamente da ogni abuso, da ogni impiego estraneo.