Lettura continua della Bibbia. Il serpente di bronzo

Tissot, il serpente di bronzo

L’itinerario quaresimale verso la Pasqua ci porta ad uno stranissimo episodio che segna il cammino di Israele nel deserto: il serpente di bronzo innalzato affinché possa guarire gli ebrei morsi da serpenti velenosi come punizione delle loro mormorazioni. Un Dio che interviene subito a castigare il peccato e poi per salvare i peccatori pentiti ordina loro di costruire un idolo? Dopo aver proibito di farsi immagini di culto? È sconcertante.

Numeri 21 

Gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, per aggirare il territorio di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. 

5Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero”.

6Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. 7Il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti”.

Mosè pregò per il popolo. 8Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. 9Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita».

Uno stranissimo episodio, ripeto, che ha avuto anche lunghe ripercussioni.

In negativo

Giotto, Il serpente di bronzo

Col passare degli anni il serpente di bronzo (o anche di rame: l’ebraico biblico  nechoshet  non distingue fra i due; in inglese diviene anche di ottone) diventa un idolo, oggetto di culto con offerte di incenso. Nel corso del tempo, infatti, il popolo perse di vista il significato simbolico e considerò lo stesso serpente la sede del potere guaritore.

Sacerdoti, re e profeti non riescono a sradicarlo. Solo il pio Ezechia re  di Giuda (716 a.C. – 687 a.C.) ebbe il coraggio di distruggere tutti gli idoli e anche il serpente di bronzo (2Re 18,4). Per liberare le persone dalla loro superstizione e convincerle della sua inutilità, Ezechia lo chiamò, con disprezzo, col nome di Nechushtan  (che, appunto, indica qualcosa fatto di bronzo o di rame). Il nome suggerisce sia la sua forma serpentina (nachash) sia il materiale ( nechoshet) di cui è fatto, un semplice pezzo di metallo.

CHE COS’ERA NECHUSHTAN?

Si è ipotizzato che in origine si trattasse di un’immagine cultuale, pre-israelita, di un serpente montato su un palo sacro. Per i cananei, probabilmente, rappresentava una divinità con qualche parentela con la dea Asherah, dea della fertilità cui era sacro il serpente, ed era conservato con altri arredi nel tempio di Gerusalemme. Qualche tempo prima del regno di Ezechia, nell’VIII secolo a.C., fu composto un racconto eziologico attribuendo l’erezione di Nechushtan a Mosè per giustificare questa insolita immagine cultuale. Nell’opera di riforma di Ezechia, anche la statua di Nechushtan fu rimossa.

CHE COSA POSSIAMO APPRENDERE DAL MIDRASH?

Innanzi tutto, la parte avuta da Mosè nell’interpretare il comando divino.

«[Dio] non gli disse (a Mosè) di farlo di rame, piuttosto Mosè disse a se stesso “Dio disse di fare un serpente (Nachash) così lo farò di rame (Nachoshet)”. È un “gioco di parole”» (Ramban su Numeri 21,9). In effetti, letteralmente, Dio non ha detto a Mosè di fare un serpente, ma un «serafino».

In secondo luogo: perché proprio un serpente?

Risponde il Midrash. Per rimuovere il danno con qualcosa di dannoso, o per curare una malattia con una malattia, Dio punì gli israeliti per mezzo di serpenti, perché il serpente fu il primo a dire calunnie in Gn 3,4–5. Scherzando, si potrebbe dire che il metodo è «omeopatico», curare il simile col simile. Dio maledisse il serpente calunniatore, ma gli israeliti non impararono la lezione dal destino del serpente, e praticarono la calunnia. Dio quindi mandò il serpente, che per primo introdusse la calunnia, per punire coloro che parlavano con lingua malvagia, cioè con calunnia:  «Dio disse: “Il serpente, che per primo ha offeso con lingua malvagia, punisca coloro che si sono resi colpevoli dello stesso peccato e non hanno beneficiato dell’esempio del serpente”» (Bemidbar Rabbah 19,22).

Una delle lamentele in questo caso era l’insoddisfazione per la manna. Mentre si dice che la manna avesse il sapore desiderato dalla persona che la mangiava (Shemot Rabbah 25,3), per il serpente tutte le cose avevano il sapore della polvere, secondo le parole: «E mangerai polvere tutti i giorni della tua vita» (Gn 3,14). Era molto appropriato, quindi, che coloro che detestavano il cibo che aveva dato il gusto desiderato, fossero puniti per mezzo di quella creatura per cui tutto ha lo stesso sapore (Midrash R. Num. XIX. 22). 

CON QUALE SIGNIFICATO?

Il senso di questo strano episodio sarebbe dunque pedagogico, così come lo era stato il senso della natura e del crescendo delle dieci «piaghe» d’Egitto. Come Dio cercò la conversione del popolo egiziano stimolandolo gradatamente a riflettere e lasciandogli il tempo di pentirsi, così adesso con la piaga dei serpenti vuole educare il suo popolo a non usare in modo malvagio la lingua.

Inoltre, la Mishnah non prende certo alla lettera le parole «Chiunque fosse morso da un serpente guarderebbe il serpente e vivrebbe», ma le interpreta simbolicamente. La gente dovrebbe levare gli occhi a Dio, perché non è il serpente che porta in vita o mette a morte, ma è Dio (Mishnah RH 3,8). «Ora, un serpente uccide o mantiene in vita un serpente? NO! Ma quando Israele ha diretto i suoi pensieri in alto e ha sottoposto i suoi cuori al loro Padre che è nei cieli, sono stati guariti» (Talmud babilonese, Trattato Rosh Hashana  29a).

Anche il libro della Sapienza, nella sua parte finale che è un grande midrash dell’esodo, stabilisce il valore simbolico – pedagogico dell’episodio:

16 «Quando infatti li assalì il terribile furore delle bestie
e perirono per i morsi di tortuosi serpenti,
la tua collera non durò sino alla fine.
Per correzione furono spaventati per breve tempo,
avendo già avuto un pegno di salvezza
a ricordare loro i decreti della tua legge.
Infatti chi si volgeva a guardarlo
era salvato non da quel che vedeva,
ma solo da te, salvatore di tutti.

Anche con ciò convincesti i nostri nemici
che tu sei colui che libera da ogni male.
Gli egiziani infatti furono uccisi dai morsi
di cavallette e di mosche,
né si trovò un rimedio per la loro vita,
meritando di essere puniti con tali mezzi.
10 Invece contro i tuoi figli
neppure i denti di serpenti velenosi prevalsero,
perché intervenne la tua misericordia a guarirli.
11 Perché ricordassero le tue parole,
feriti dai morsi, erano subito guariti,
per timore che, caduti in un profondo oblio,
fossero esclusi dai tuoi benefici.
12 Non li guarì né un’erba né un emolliente,
ma la tua parola, o Signore, la quale tutto risana.
13 Tu infatti hai potere sulla vita e sulla morte;
conduci giù alle porte degli inferi e fai risalire».

In positivo

Andrea Vicentino (1542–1617), Frari (Venezia) – Il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto

Nel vangelo di Giovanni, Gesù stabilisce un rapporto di prefigurazione fra il serpente innalzato per la guarigione di Israele e il proprio innalzamento sulla croce per la vita del mondo (Gv 3,14-15): «E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell’uomo, affinché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

Dunque, abbiamo l’ennesimo episodio di mormorazione e ribellione contro Mosè, e non c’è da stupirsi. Quello che può stupire è la risposta di Dio: l’invio di serpenti velenosi, che il testo chiama seraphim cioè brucianti, perché il loro morso mortale brucia come il fuoco. Molti soccombono per questa piaga. I superstiti confessano il loro peccato. Dio si volge ad essi e li guarisce attraverso l’immagine del serpente, cioè della stessa creatura che aveva propinato il veleno.

In relazione a Cristo il parallelismo si farà evidente: il Figlio di Dio assume in Gesù di Nazareth quella natura umana contenente il veleno originale. Ma come il serpente di bronzo ha la forma del serpente, ma non ne ha il veleno, così anche Gesù ha la natura dell’uomo, ma non il veleno del peccato, da cui, anzi, guarisce gli uomini.