
Il seme di Dio costituisce l’argomento essenziale delle parabole di Gesù secondo Marco; ed è così importante che Marco riporta persino una parabola tutta sua, quella del seme “automatico”, lui che è così breve e conciso rispetto agli altri evangelisti.
La Parola che supera la distanza
La situazione del discorso delle parabole è questa: ancora una volta troviamo Gesù attorniato da una folla immensa, tanto che egli è costretto a distanziarsi, per essere visibile a tutti, sedendo su una barca come su una cattedra. È la Parola che supera la distanza e unisce anche laddove l’eccessivo contatto non permetterebbe all’altro di ascoltare e di decidere. Questo allontanarsi per avvicinarsi può essere difficile da concepire, ma in Gesù è così, e sarà anche il senso della sua Ascensione al cielo, allontanarsi da tutti per essere in ugual modo vicino, anzi presente, a ciascuno.
La funzione della parabola
La parabola, rivolta a tutti, svolge la funzione di provocare ognuno all’ascolto e alla decisione. Non obbliga a capire, anzi non è neppure, di per sé, un modo di insegnare piano e facile, spesso è complessa e presenta aspetti paradossali non sempre immediatamente comprensibili.
A differenza dell’allegoria ove tutti i dettagli hanno un significato metaforico (ad esempio, in Giovanni, il discorso della vite e dei tralci), nella parabola un unico particolare è al centro e ne dà il senso fondamentale, il resto serve a vivacizzare il racconto.
La parabola del seminatore (Marco 4,3-25)
Nella prima parabola di questo discorso, quella del seminatore, l’elemento provocatorio è rappresentato dallo spargimento smisurato del seme, al punto da risultare quasi dissennato. Chi butterebbe il prezioso seme al vento, tanto da lasciarlo cadere sulla strada, sui sassi, fra i rovi? Un seminatore della terra, quando semina, dovrebbe stare attento a non sprecare il buon seme, riservandolo al terreno produttivo, senza disperderlo dove certamente le spine o la mancanza di terra non gli darebbero modo di svilupparsi. Ed ecco la provocazione. Siamo di fronte ad un Seminatore che non bada a spese, e che dona senza misura.
È anche vero che nella Palestina del tempo di Gesù la tecnica agricola, rispetto ad oggi, lasciava alquanto a desiderare, e accadeva che i campi venissero prima seminati e poi arati, con quali miseri risultati si può immaginare. Quel che viene narrato nella parabola, però, è volutamente eccessivo. Il Seminatore non lascia un minimo angolo di terreno privo del suo prezioso seme… toccherà poi alla terra farne tesoro o rigettarlo. Il dinamismo della Parola che promana da lui è così grande e incalzante che non tollera restrizioni. È scritto nel rotolo di Isaia (55,10-11):
«Come infatti la pioggia e la neve
scendono dal cielo e non vi ritornano
senza avere irrigato la terra,
senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare,
così sarà della parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Il mistero della libertà umana
La Parola di Dio è onnipotente ed efficace e non manca mai il suo effetto – salvo che l’uomo vi ponga l’ostacolo della sua libera volontà. Tanto è il rispetto che Dio ha per l’uomo, che Dio stesso abdica dalla sua onnipotenza arrestandosi davanti alla scelta umana. Soltanto noi possiamo fermarla, porle limiti. Perché la Parola abbia effetto occorre aprire gli orecchi per sentire, spalancare gli occhi per vedere, offrire il cuore per volere.
I vari tipi di terreno, in seconda battuta, vanno quindi a significare i diversi atteggiamenti verso la Parola: la superficialità, l’incostanza, la distrazione, infine vari modi di accoglienza. Tutti hanno ascoltato la stessa Parola, ma suggestioni, tribolazioni, preoccupazioni ne possono impedire l’attecchimento e lo sviluppo. Ancora una volta ci troviamo di fronte al mistero della libertà umana: non la predestinazione, ma la scelta libera è ciò che segna il cammino etico della persona.
Il seme di Dio
Nella prima parte della parabola i semi gettati dal seminatore sono la Parola, ma nella seconda parte i semi sono gli stessi uomini su cui il seme della Parola è stato diffuso: «questi sono quelli seminati sulla pietra… quelli seminati nelle spine … quelli seminati nella terra buona» (4,15-20). Il seme di Dio, alla fine, sono gli uomini che hanno ascoltato la Parola. Mi si permetta di citare il celebre Symbolum di Pier Angelo Sequeri: «e per mille strade poi, dove tu vorrai, noi saremo il seme di Dio!» (1977).
«Vedere» la Parola!
Chi ha accolto il Vangelo deve essere come il Cristo lampada accesa per illuminare tutta la casa (4,21-22); può sembrare che la luce stenti a dissipare le tenebre, ma la sua vittoria è certa.
La formula con cui Gesù richiama i discepoli al loro dovere di donare senza misura è sorprendente, se presa alla lettera: «Guardate ciò che ascoltate!» (4,24). Come si possono «vedere» le parole, se sono suoni?
È un modo di dire, d’accordo, che si può tradurre con «fate attenzione a ciò che ascoltate». Però la formula può suggerire un importante accostamento, la convergenza tra sguardo e ascolto davanti al mistero di salvezza che ci viene incontro. La Parola di Dio non solo si ascolta, si vede anche, perché è incarnata nel Cristo Gesù; non è un’astrazione, è la concretezza di una Persona che ha apprezzato il buon profumo del pane appena sfornato e dei trucioli di legno appena caduti, ha camminato sulle strade polverose di Palestina, ha toccato i malati, ha mangiato con i peccatori, ha parlato con chiunque, ha cantato inni e salmi, ha ascoltato la Parola proclamata nella casa di Dio, ha guardato e si è lasciato guardare con amore. Chi si incontra con lui riceve senza misura, e senza misura deve ridonare; altrimenti, la sua grettezza lo priverà della possibilità di ricevere. Chi non dona è come se si raggrinzisse dentro di sé chiudendo fuori del suo io tutti gli altri e perdendo, in definitiva, anche se stesso.