
Il salmo 29 è probabilmente il più antico, di derivazione cananea, nato da un inno pre – israelita che esaltava Baal-Hadad dio della tempesta (l’ipotesi fu proposta da H. Gunkel e confermata nel 1935 da H.L. Ginsberg sulla base di testi ugaritici).
La tempesta è vista come un’epifania, il tuono (qôl = voce) come la parola di Dio. L’inno cananeo è stato però “rivisitato” in funzione di una concezione monoteista, e non semplicemente assimilato sostituendo Baal con JHWH: il pantheon cananeo diviene un concilio angelico, il capriccio “stagionale” delle divinità cananee diviene l’onnipotenza creatrice ed amorevole del Dio di Israele.
Anche 1’interpretazione cultica ha una sua validità: diversi versetti sembrano consoni ad una liturgia del tempio. I Settanta lo collegano alla festa delle Capanne, in quanto celebrazione del raccolto e quindi dei doni del Creato.
La tempesta
II salmo 29 è detto Salmo dei sette tuoni per il ripetersi 7 volte del vocabolo onomatopeico qôl = tuono / voce. L’immagine fondamentale è quella della tempesta che scarica le sue acque sulla terra; e solo Dio è Colui che può dominare le acque.
La tempesta viene dal mare, dal Mediterraneo (vagando sull’immensità delle acque, evoca l’ammasso primordiale su cui aleggiò lo spirito di Dio: cfr. Gen. 1,2), e si sposta verso il nord ove si scarica fracassando alberi altissimi e scuotendo monti poderosi (il Libano e l’Hermon); nella steppa atterrisce gli animali.
Al dinamismo frenetico del quadro centrale si oppone la serenità dell’epilogo: JHWH è re universale, dà forza e pace al suo popolo. Nel tempio il popolo placa il suo terrore e partecipa alla calma eterna di Dio celebrata dalla liturgia celeste (i benê ’elîm, i “figli di Dio”, nella Bibbia non sono divinità, ma semplicemente angeli chiamati “figli” in quanto eseguono i Suoi voleri). Il Dio che sconvolge con la sua maestà tremenda cielo e terra, monti e deserti, alberi orgogliosi e animali selvatici, è il Dio fedele dell’alleanza, della misericordia, della pace.
Quanto agli effetti sugli animali, ’Ajjalot sono le cerve: in 1 Sam 4,19 l’emozione fa partorire la nuora di Eli e secondo Plinio (Naturalis Historia VIII,47) “alla pecora solitaria il tuono provoca l’aborto”. Je‘arot, invece, è un hapax che per i Settanta, S. Gerolamo e i rabbini designa i mufloni. Molti esegeti, a partire da R. Lowth nel 1753, leggono non je‘arôt ma je‘arîm = boschi, in senso metaforico.