
Il salmo 23 è uno dei salmi che ha avuto maggiori echi nelle liturgie delle diverse Chiese cristiane ma anche nella letteratura mondiale. Nella tradizione veterotestamentaria il pastore di Israele è JHWH (Salmo 80; Ezechiele 34); nella tradizione cristiana il buon pastore è Cristo (Gv 10; Lc 15,4-7; 1 Pt 2,25).
Il cuore del salmo è la vicinanza di Dio: “perché tu sei con me” (v. 4), afferma l’orante. Il contesto in cui questo salmo di fiducia è nato potrebbe essere anche quello di un pellegrinaggio a Sion (come nei salmi delle ascensioni): “e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi giorni” (v. 6).
Wellhausen l’ha visto come il canto corale del popolo di Israele, “commemoratio” della liberazione dall’Egitto. Il tono è però squisitamente individuale, anche se la preghiera del singolo si fa sempre preghiera corale.
Il pastore e il cammino
Le immagini di pastore – acqua – banchetto – cammino sono tipiche della teologia esilica (Ezechiele 34; Deutero-Isaia), ed in questo caso l’anelito alla casa di Dio è rivolto al Secondo Tempio, quello da ricostruire. E proprio l’evidenziazione della dimensione personale che si stabilisce fra il credente e il suo Dio fa pensare alla “scoperta” della individualità dell’uomo con Geremia e con Ezechiele (cap. 18).
Il banchetto e l’ospitalità
Il secondo polo di questo salmo, la simbologia del banchetto e dell’ospitalità, è anch’esso squisitamente biblico, e si ritrova sia nella letteratura sapienziale (Prov 9) che profetica (Is 25,6; Os 2,23 s.; Is 61,3; Ag 1,6.11; Gioele 2,19) che neo – testamentaria (Mt 25 = le dieci vergini; Lc 14,16 ss. e Mt 22; Ap 3,20 e 19,9).
Il salmo 23

Il salmo si apre con una frase di due sole parole: JHWH ro‘ì = Signore mio pastore, dichiarazione tematica netta e concisa che dà il tono a tutto il salmo: tono di fiducia, espressa dal verdeggiare del pascolo, dalla tranquillità delle acque (menûchot = acque di riposo; al sing. menûchah = riposo), dalla sicurezza del cammino, dalla forza del vincastro.
Il pericolo è indicato dalla “valle di zalmawet = dell’ombra della morte (da zelem = ombra + mawet = morte), mentre la sicurezza del cammino è posta sotto il segno del bastone: scettro (shebet) = difesa, e del vincastro = guida (she‘an).
Dopo il simbolismo pastorale viene quello ospitale: la mensa (shulchan), l’olio con cui si unge il capo dell’ospite (segno di salute e forza, protezione dall’arsura del sole), la coppa traboccante che estingue la sete. Possono qui emergere allusioni ad un rito di comunione che conclude il pellegrinaggio a Sion, ma sono allusioni remote; è invece esplicita la menzione della casa di Dio, il tempio (v. 6). Tôb e chesed, bontà e misericordia di Dio, sono i compagni del viaggio.